
di Alfonso Malangone*
La piantina allegata è stata estratta dalla pagina web di ARPA Campania Balneazione. Riproduce la condizione del litorale storico cittadino ai fini della fruibilità del mare. La fascia nera, che va dal porto commerciale fino al Masuccio, cioè a Piazza della Concordia, segnala la presenza di un DIVIETO DI BALNEAZIONE A VITA perché ‘area portuale’. Quindi, FINCHE’ CI SARA’ IL PORTO, CI SARA’ IL DIVIETO. La porzione in grigio corrisponde al tratto tra la foce dell’Irno e i giardinetti dopo la Piscina Vitale dove è vigente un eguale divieto a causa della qualità ‘scarsa’ del mare negli ultimi cinque anni. Cioè, è inquinata da batteri di Escherichia coli e di Enterococchi fecali provenienti dalle fogne. Se, poi, c’è necessità di una conferma di tutto questo, basta andare a consultare il Decreto della Regione Campania n. 157 del 27/03 scorso che, come ad ogni inizio di stagione, riassume le condizioni della costa dell’intera Regione. Con queste premesse, la notizia di una spiaggia da cartolina sul lungomare, con la possibilità di fare anche i bagni, sembra una suggestione indotta da una visione fantasiosa. CHI SOSTIENE CHE SUL LUNGOMARE SI POTRA’ FARE IL BAGNO DOVREBBE PRIMA LEGGERE LE CARTE. Detto con tutto il rispetto. Per questo, la consultazione della piantina è essenziale ai fini di un discorso serio, fatto con i piedi per terra, sugli effetti concreti delle opere che si vogliono realizzare in questa zona per dare alla Città una ‘nuova identità’, come pure è stato recentemente scritto. Però, prima di affrontare l’argomento, è indispensabile una precisazione. L’identità di un luogo non è un prodotto che si acquista, né l’effetto di una volontà superiore che l’assegna per decreto. Neppure è un dato anagrafico, né l’esito di un calcolo matematico. E’ la risultante di un continuo processo di adeguamento tra natura e vita che fonde conoscenze, esperienze ed emozioni prodotte dai ‘ricordi’ nelle menti di ogni componente di una Comunità per trasformarle, nel corso dei secoli, in un ‘ricordo collettivo condiviso’ in grado di uniformare i comportamenti sociali e morali, nonché di influenzare l’arte, il sapere, il fare, le tradizioni, l’intera vita. E’ questa ‘memoria’, patrimonio originale e inconfondibile, a costituire l’‘identità’ di un popolo, la sorgente della linfa che consente lo sviluppo nella continuità al pari delle radici di un albero che alimentano i rami per farli salire verso il cielo. In verità, Salerno non ha bisogno di una ‘nuova identità’, sebbene smodati progetti abbiano oltraggiato, a parere di chi scrive, quella donata dalla natura e da oltre 2.400 anni di storia. Salerno ha bisogno di impegnarsi nella ricerca dei caratteri-simbolo del suo passato per ritrovare, al loro interno, le fonti della ricchezza materiale e di quella spirituale che hanno prodotto la sua diversità tuttora espressa da specificità territoriali, ambientali, culturali e umane. Peraltro, parlare di ‘nuova identità’ significa che, nell’attuale periodo fluido, la Città debba considerare ormai superata quella precedente, forse perché di ostacolo all’obiettivo di una globalizzazione uniformante ritenuta idonea a coniugare modernità e progresso. E, quindi: “sul serio se ne vuole creare un’altra?” Ci vorranno secoli. Intanto, non è negabile che le scelte di gestione stanno davvero compromettendo il residuo patrimonio identitario così tagliando ogni legame tra passato e futuro per sostituire al potere della ‘memoria collettiva’ quello di ‘una incolta e selvaggia omologazione’. Non a caso, oggi, nessuno si preoccupa della mancanza di una Biblioteca, di un Museo Civico, di luoghi dedicati alla cultura, al sapere, alle abilità, al talento, alla conservazione della storia. Nella confusione si perde l’identità, nell’indifferenza si perde la libertà. E, purtroppo, proprio l’assenza di una visione realistica delle condizioni della Città costituisce la concreta dimostrazione di una forte sofferenza identitaria che spinge alcuni a entusiasmarsi per lavori che starebbero creando spiagge Caraibiche attraversate, però, dagli scolmatori fognari. Al riguardo, si dovrebbe chiarire che il colore bianco-turchese dell’acqua nell’area dell’attuale ripascimento è prodotto dalla polvere dello sversamento della ghiaia di cava. In una Città dove tutto si può arrivare a desiderare, spesso si è obbligati a sognare. Comunque sia, una ‘nuova identità’ non potrà certo essere la conseguenza di un nuovo ‘fronte del mare’, detto in italiano perché molto più espressivo del vuoto waterfront, anche se meno qualificante. La spiaggia da Santa Teresa al Masuccio potrà al massimo consentire di andare a prendere il Sole, pure una insolazione, e di passeggiare tra i rifiuti portati dalle onde, magari pure gettati dalle navi in transito verso il Porto. Oppure, provenienti dagli scarichi di quello Turistico. C’è la piantina di ARPA a chiarire che le attività portuali, le presenze del Fusandola, del Rafastia e degli scolmatori del troppo pieno della condotta fognaria, pongono insormontabili problemi di inquinamento contro ogni fantasia di balneazione. Senza dimenticare che, in quel tratto di lungomare la spiaggia non c’è mai stata in tempi moderni e che il cosiddetto ‘ripascimento’ determinerà una vera e propria ‘modifica dei luoghi’. Così, se le opere a oriente possono concretamente consentire di riproporre le favolose stagioni balneari degli anni 60, una spiaggia al centro non migliorerà l’offerta turistica dimostrandosi utile solo a soddisfare gli ‘interessi’ di portatori di specifici ‘interessi’. Si spenderanno altre decine e decine di milioni di euro solo per spostare la barriera di massi già presente e disperdere milioni di metri cubi di pietre ‘sfrantummate’ sulle quali non sarà comodo camminare senza una spessa, e costosa, coltre di sabbia. Questi soldi si potrebbero usare per fare un borgo marinaro utilizzando il sotto-piazza del Masuccio, per ripulire i fiumi e per favorire il recupero della balneabilità delle spiagge a oriente, tra il Fuorni e il Picentino, dove non ci vuole molta fantasia per fare attrezzature balneari. Sarebbero meglio spesi anche i 50milioni della piscina per consentire ai pescecani di farsi i selfie. Intanto, la cronaca ha riferito di 200 euro mancati al Comune per acquistare le corone per il 25 Aprile. Salvo errore. Davvero, non c’è limite alla vergogna. Il futuro non si costruisce con le opere mostruose e incoerenti. Con esse, si distrugge la forza di un passato che tuttora rende fiero il Paese e accresce il benessere delle sue Comunità. Altrove, non da noi. Una domanda: “quale utilità ha apportato ai pensionati al minimo, o ai giovani privi di lavoro, la realizzazione di opere faraoniche che potevano costare anche meno della metà evitando di portare la Città al pre-dissesto?” Il bene della Comunità si costruisce con interventi a sua misura, per i suoi bisogni e nel suo interesse. Valutando con obiettività e onestà. Non esaltando o, peggio, mistificando. Salerno ha certamente bisogno del mare, ma ha soprattutto bisogno di amore. *Ali per la Città