S. Cipriano. Inchiesta sui rifiuti al Comune - Le Cronache Ultimora
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S. Cipriano. Inchiesta sui rifiuti al Comune

S. Cipriano. Inchiesta sui rifiuti al Comune

Peppe Rinaldi

I rifiuti sono una croce eterna per le amministrazioni locali, in un senso e nell’altro. Vale a dire che rappresentano un problema dal punto di vista pratico-operativo e lo sono pure perché la quantità di danaro che vi gira attorno trascina spesso politici, imprenditori e funzionari pubblici nei vicoli bui della tentazione, non raramente seguita dalla perdizione vera e propria. Al di là delle evocazioni «morali», sul terreno più prosaico della vita concreta degli uomini e delle comunità, va segnalato che per regolare lo svolgimento ordinato di funzioni, poteri e responsabilità, gli organismi investigativi sono stati inventati apposta per questo. E’ quanto sta (starebbe) facendo il Nucleo di polizia economica e finanziaria della Guardia di Finanza di Salerno da qualche mese sul Comune di San Cipriano Picentino. Al centro degli approfondimenti c’è la gara d’appalto per il servizio di raccolta dei rifiuti, circostanza che, in sé, incarna uno dei canovacci classici della cronaca giudiziaria. Tutto nasce da una denuncia depositata da un gruppo di consiglieri comunali di minoranza lo scorso febbraio. Il leitmotiv è il solito: io (Comune) stringo un accordo con te (società appaltatrice) a valle di una gara pubblica che hai vinto pattuendo un importo da riconoscerti a condizione che tu faccia quello che ti sei impegnato a fare secondo quanto stabilito dal contratto, dalle leggi, dai regolamenti, etc. Bene: se tu, società appaltatrice, non fai ciò che è scritto nel contratto, dovrai sopportarne le conseguenze ed io, Comune, non solo non ti pagherò ma sarò obbligato a sciogliere il vincolo contrattuale, ci sono leggi ad hoc che regolato l’intera procedura. Ma se io, Comune, nonostante sappia che tu non stia adempiendo agli obblighi contrattuali che ho sottoscritto in nome e per conto della collettività che amministro e continuo a pagarti come se tu stessi regolarmente facendo il tuo dovere, ecco che le cose iniziano a farsi complicate. Con conseguenze non sempre indolori, sia che la cosa prenda una piega sia che ne prenda un’altra.

 

L’inizio della vicenda

 

Vediamo di capirci qualcosa in più. A febbraio scorso i consiglieri comunali decidono di presentarsi alla Guardia di Finanza per denunciare fatti e circostanze che, evidentemente, sul piano politico non riescono a far progredire. Si vedrà a valle se ci sia sostanza o meno ma, a giudicare dalla statistica e un po’ anche dall’esperienza di anni e anni di «emergenza rifiuti», specie nella Campania del famoso Rinascimento, questa «sostanza» in qualche misura emerge quasi sempre. Gli elementi al centro dell’indagine sono, banalmente, questi: la società che ha vinto l’appalto, una nota azienda specializzata con sede a sud di Salerno, per aggiudicarsi la gara si impegna, tra altre cose, ad aprire una sede a San Cipriano; al lavaggio dei cassonetti della spazzatura con frequenza stabilita; all’utilizzo di un certo tipo di automezzi che tengano conto delle normative anti inquinamento; che sul territorio comunale vengano dislocati i cosiddetti bidoni carrellati; infine, di dotarsi di una specifica attrezzatura per la pesa dei rifiuti per il calcolo del materiale di scarto lavorato. In cambio, i cittadini di San Cipriano pagano 62mila euro al mese (precisamente 61.422,19) nell’ambito di un importo complessivo della gara di circa 2,7 milioni in quattro anni (2.680.240,82) a partire dal 2023. Non solo: ma il contratto stesso, nonché la legge generale, com’è ovvio, prevedono, in caso di inadempimento delle relative obbligazioni, la rottura dell’accordo, con le diverse conseguenze emergenti; oppure, a seconda della tipologia della violazione, una serie di penali specificamente individuate e calcolate. E qui casca l’asino, o, meglio, cascano gli asini, perché pare – stando alle doglianze politiche fattesi denuncia penale – che siano state più di una le violazioni delle prescrizioni contrattuali.

 

I punti dolenti

 

Da verifiche effettuate e controlli vari sul territorio di competenza, dopo oltre un anno dall’avvio del servizio, pare che la sede operativa nel Comune di San Cipriano non esista; che i cassonetti non siano stati lavati secondo regola; che gli automezzi impegnati siano diversi da quelli previsti dal contratto; che non ci sia alcuna pesa per i rifiuti e che dei bidoni carrellati non vi sia chiara traccia. L’unica cosa certa è che il Comune paga puntualmente, ogni mese, le fatture che la società presenta alla Ragioneria, come se tutto si stesse svolgendo in perfetta armonia. Si tratta di capire ora che tipo di «armonia» sia stata trovata tra l’ente e l’appaltatore, visto che per un solo punto non onorato sono previste conseguenze giuridiche importanti, che è inutile qui elencare vista la piena intuibilità delle stesse. Il problema è qui: perché il Comune, che sa o dovrebbe sapere (e se non lo sa è, forse, ancor peggio) ha pagato e continua a pagare 62mila euro mensili nonostante sia evidente – a detta dei consiglieri denuncianti – che il servizio non è svolto correttamente? Mistero, proprio quello che gli inquirenti stanno approfondendo. Non si possono escludere sviluppi successivi che, sebbene ineriscano cifre apparentemente poco roboanti, per una comunità delle dimensioni di San Cipriano rappresentano invece importi significativi: del resto, la sostanza non cambia sia che ballino 10 euro, sia che ne ballino 3 milioni, la legge non distingue in base alle cifre se non in casi specifici individuali di altre fattispecie. Si consideri questo «dettaglio»: la penale prevista per il mancato lavaggio dei cassonetti è di cento euro giornalieri; considerando che i contenitori sono all’incirca trecento e che i cento euro sono riferibili a ciascuno di essi, facendo due conti si capisce subito che – come si dice a Oxford – i verbi cominciano a farsi difettivi.

 

Licenziato a Fisciano, incaricato a San Cipriano

 

Ma non è soltanto questo il problema che la magistratura proverà a inquadrare. Infatti, dietro quei presunti inadempimenti contrattuali, che sul terreno pubblicistico acquistano peso e significato diversi da quanto avviene tra privati cittadini, si celerebbero ulteriori ipotesi di illeciti, una volta riscontrato il merito dell’esposto. In effetti, a ben ragionarci, se consideriamo che per vincere una gara d’appalto bisogna presentare offerte appetibili per l’appaltante, se una società dice di fare “X” e di fare poi anche “Y”, aggiungendo che il proprio servizio è migliore rispetto alle offerte altrui in quanto si dispone di questo o quell’altro strumento che ne accresce il valore agli occhi delle commissioni che dovranno scegliere, se alla fine si scopre che tra quanto detto, scritto e poi realizzato non vi sia corrispondenza, ciò implica che questa società possa essere stata avvantaggiata rispetto alle concorrenti. Insomma, io responsabile della partita avrei in qualche modo «turbato» la gara ricavandone un arricchimento fuorilegge. E questo diventa, o diventerà, un capitolo a sé nell’economia generale del discorso. Che si unisce, infine, a un altro piccolo mistero infilato all’incrocio di quell’ammasso di leggi, norme, sigle, regolamenti, acronimi ostici e maledetti che ammorbano la vita degli enti locali, per non dire di imprese e individui: il servizio, allo stato, non avrebbe figure responsabili del procedimento. Come mai? Semplice, perché pare che un funzionario precedentemente incaricato, resosi conto che le cose andavano storte nei termini qui riassunti, si rifiutasse di firmare gli atti che avrebbero attestato la regolarità del servizio in ogni sua fase per liquidare le fatture. Questo lavoratore sarebbe stato destinatario pure di minacce in una chat di colleghi, per poi ritrovarsi trasferito d’ufficio in un altro settore. Ciliegina sulla torta: al suo posto arriva un esterno, nominato dal sindaco “Consulente tecnico-politico”, un ingegnere in precedenza impiegato nel Comune di Fisciano, dal quale sarebbe stato licenziato dopo un procedimento disciplinare per la classica mala gestio.