
di Erika Noschese
L’elezione di Leone XIV al soglio pontificio ha suscitato un’ondata di riflessioni sul futuro della Chiesa cattolica. La professoressa Claudia Santi, docente di storia delle religioni presso l’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, offre una lettura approfondita del nuovo pontificato, tracciando un quadro di continuità con il pontificato di Papa Francesco e interpretando la scelta del nuovo pontefice come un segnale di decisa attenzione verso la “rievangelizzazione dell’Occidente”: un’urgenza dettata dal crescente allontanamento dalla pratica religiosa nei paesi di antica cristianizzazione. Secondo la docente, sebbene la scelta del nome Leone XIV possa apparire inattesa, richiama la figura di Leone XIII, il “papa sociale”, suggerendo una possibile attenzione alle sfide contemporanee come il lavoro povero e l’impatto dell’intelligenza artificiale. L’analisi della professoressa Santi offre spunti cruciali per comprendere le dinamiche che animano l’inizio di questo nuovo pontificato e le sfide che attendono la Chiesa nel mondo contemporaneo.
Un quadro dogmatico su Papa Leone XIV è già realizzabile?
«Io insegno storia delle religioni, non mi posso occupare soprattutto della parte dogmatica del cristianesimo mentre posso studiare il cristianesimo delle origini, nel momento in cui conviveva con il politeismo. Non significa che non mi sia interessata di Cristianesimo, non potrei. Credo che il nuovo Papa, Leone XIV, andrà nel segno della continuità con Papa Francesco, che significa sostanzialmente rottura rispetto a quello che c’era in precedenza. Credo che la linea sia stata tracciata e probabilmente la Chiesa continuerà su questa strada».
Ci si aspettava un Papa di continuità.
«Si prevedeva sarebbe stato un cardinale preso dall’Occidente. Abbastanza anomalo, nonostante ciò, perché il mondo anglosassone ha dato soltanto un Papa, Adriano IV. Qui, secondo me, quello che è prevalso è il fatto che è occidentale: quindi né asiatico né africano. Va letto nella direzione della rievangelizzazione dell’Occidente».
Potrebbe esserci qualche segnale di discontinuità?
«Non credo ci sia una grande rottura. Le grandi rotture le hanno già fatte, da questo punto di vista, Paolo VI quando ha rifiutato tutte le insegne del potere secolare, già papa Francesco che ha eliminato gli ultimi segni e simboli che erano sopravvissuti. Penso che un papa adesso debba assumersi la responsabilità di rievangelizzare l’Occidente. Il problema è assolutamente questo, perché in Occidente è vero che la stragrande maggioranza dei cittadini e delle cittadine sono battezzate, ma la pratica è a livelli molto molto bassi: i praticanti stanno grossomodo tra il 18 e il 22%, cosa che invece non succede nei Paesi dove il Cristianesimo è stato importato».
Serve dare un’ulteriore scossa a chi la religione la professa, o meglio ancora a chi se ne è allontanato.
«Non so se da questo punto di vista un Papa, per esempio asiatico come il filippino Tagle, sarebbe potuto riuscire in questa missione. La prima urgenza della Chiesa è rievangelizzare l’occidente, perché le chiese sono deserte, è una piccola minoranza quella che frequenta la Chiesa».
Ad esempio, come o su quale argomento?
«La caratteristica principale del cristianesimo è che è una religione escatologica. Tutto viene rimandato all’aldilà. Perché ci sia un’accettazione piena del cristianesimo, della missione salvifica di Cristo, l’individuo deve credere fondamentalmente in due cose: che l’anima sia personale e immortale e che quindi esista un aldilà. Questo, in tempi di materialismo, di secolarizzazione, di ibridazione, non è più così semplice. Leggevo statistiche che davvero sono preoccupanti, perché persone che praticano e vanno in chiesa sono convinte della reincarnazione. Ovviamente è in contrasto con la dottrina salvifica della Chiesa: l’anima deve essere immortale, sì, ma personale. Ognuno di voi deve e avere la sua anima».
Questo cosa significa?
«Che c’è una difficoltà, a mio modesto parare, da parte della Chiesa, di convincere o riconvincere le persone nella bontà di questo progetto. Questo, secondo me, è il problema principale, ecco perché papa Francesco l’aveva capito e ha fatto queste aperture, per cercare di far tornare all’interno della Chiesa le persone che erano state allontanate: separati, divorziati, gay. Forse lì, dicendo una parola diversa, si può convincere queste persone a tornare nella Chiesa. Ho letto, ad esempio, l’intervista alla Luxuria che diceva: “Quando Papa Francesco ha detto ‘chi sono io per giudicare?’ mi sono riavvicinata alla Chiesa”. È un compito molto delicato ma qualcuno deve pur farlo, e chi se non il Papa?».
Papa Leone XIV si è subito presentato come “agostiniano”.
«Il fatto che sia un agostiniano ci dice due cose: uno, che ha una preparazione teologica formidabile, cosa che è molto importante. Bergoglio e Wojtyła non erano dei campioni dal punto di vista teologico, Ratzinger era troppo invece. È probabile che lui interpreti nella giusta misura la preparazione teologica ma anche l’apertura verso l’esterno. Credo, senza voler fare dietrologia, che ci sia molto dietro la parola da lui pronunciata, “pace”. Ma non intesa come diciamo noi: è pace che va letta in una prospettiva salvifico-metastorica che in prospettiva intramondana, cioè dell’aldiquà. Non ci può essere certamente pace nell’aldilà se non c’è nell’aldiquà, ma è importante che il Papa abbia richiamato l’attenzione sul fatto che la promessa di Cristo risorto sia una promessa di pace. Nel pontificato di Bergoglio la missione salvifica della Chiesa non è sempre stata molto evidente. Mi ha colpito che abbia molto puntato sul costruire ponti, incontri, parlare dell’abbraccio. Quindi questa idea di collegarsi, di dialogare. Non credo siano ponti all’esterno, perché sul dialogo interreligioso si sono fatti grandi progressi e secondo me, per i miei gusti, si è andati anche un po’ troppo avanti».
Perché Leone XIV?
«Difficile interpretarlo. È vero che abbiamo Leone XIII che è stato il papa della “Rerum Novarum”. Mi sarei aspettata qualcosa di più vicino all’attualità, non voglio dire Giovanni Paolo III ma qualcosa di diverso. Devo dire che Leone mi ha un po’ spiazzata. Certamente, però, è un segnale di chi vuol mettersi in continuità con quello che è stato il papa sociale. Ci sono battaglie che la Chiesa deve combattere anche sul piano sociale, come per prima cosa il lavoro povero o anche gli scenari che si vanno a delineare con l’intelligenza artificiale e ciò che ne sarà di noi come lavoratori e cittadini. La ritengo una scelta coraggiosa, com’è stata coraggiosa quella di Benedetto XVI».