Di Peppe Rinaldi
La fabbrica delle archiviazioni produce mostri, come la storia che torniamo a raccontare sembra dimostrare. Intanto chiariamo: per “fabbrica delle archiviazioni” si intende quel costume diffuso in diversi tribunali italiani per il quale le richieste di archiviazione di indagini da parte del pm risultano accolte pedissequamente dal gip in una sorta di ciclostile semi continuo che, se in apparenza sfoltisce i mitici carichi di lavoro, spesso sbriciola diritti e garanzie.
Perché è proprio da una storia di questo tipo che oggi un magistrato di lunga e consolidata esperienza come Sergio Marotta, ieri gip a vallo della Lucania oggi trasferito a Nocera Inferiore, si trova iscritto nel registro degli indagati a Napoli. Succede. A suo carico ipotesi di reato piuttosto antipatiche, diciamo, specie se riferite a un magistrato: calunnia e falso in danno di un penalista di Vallo, Giulio Valiante, anch’egli non nuovo alla scena forense tra Salerno e Napoli. Ne abbiamo qui scritto la scorsa estate, ripercorrendo i tratti salienti di un braccio di ferro che dai confini cilentani si è via via spostato ai livelli successivi fino a sbarcare sulle frastagliate e insidiose coste del Csm, dove con verosimile certezza si arenerà come un cetaceo fuori bussola. Una vecchia storia. Venendo, però, a quella nuova e per capire di cosa parliamo va fatto un passo indietro, anche più d’uno se necessario.
Il caso Vassallo, origine della storia
Da uno stralcio della famosa indagine sull’omicidio di Angelo Vassallo, ex sindaco di Pollica ucciso nel settembre 2010 da una mano misteriosa, emerge che “qualcuno” aveva piazzato una radiospia nell’auto di un cittadino ascoltato in precedenza come testimone. Il problema fu che ci si accorse di questa attività di monitoraggio per puro caso. Il soggetto controllato, infatti, in seguito a un incidente andò in officina dove, con reciproco stupore di elettrauto e proprietario, saltò fuori il marchingegno piazzato sotto al cruscotto. Fosse stato pure Al Capone, quella microspia doveva per forza essere stata autorizzata dall’autorità giudiziaria secondo un preciso schema legale e regolamentare, non è che si possano infilare cimici nelle auto delle persone come fossero caramelle. Se non è stata la magistratura possono essere state soltanto le forze dell’ordine, o, peggio, chissà chi. Il cittadino si rivolge al proprio avvocato, Valiante, il quale avvia tutte le procedure del caso. Si apre un’indagine contro ignoti, si fa questo e si fa quello, o almeno si sarebbe dovuto, alla fine il pm assegnatario del fascicolo, Vincenzo Palumbo, fa richiesta al gip (Marotta) di archiviazione. Se ne deduce che la cosa sia stata sviscerata, che si sia compreso come quella cimice sia finita lì e chi l’abbia materialmente fatto rispondendo agli ordini di chi e che, ciononostante, la procura non abbia ritenuto necessario andare avanti. Sono valutazioni autonome che ogni pm può e deve fare. Ricordiamo che qui non si parla di un abigeato o una tettoia abusiva in fondo agricolo, bensì di roba altamente invasiva, indipendentemente da chi ne sia destinatario. Il gip accoglie la richiesta del pm ma, dato che (per fortuna) la legge offre garanzie al cittadino altrove impensabili, esiste l’opposizione all’archiviazione che, però, deve contenere elementi nuovi e/o utili a che l’autorità giudiziaria prosegua nelle indagini o indichi limiti nell’attività inquirente.
Busta ancora sigillata
Dalla lettura degli atti si rileva che di approfondimenti investigativi non v’è alcuna traccia perché si scoprirà che la cimice risultava ancora sigillata come il giorno del sequestro, che il sigillo non era stato neppure rimosso, il che induce a pensare che nessuno ha fatto alcun cosa. Se tutto è andato veramente come le carte dicono, si poteva archiviare una roba così? Certo, motivando la scelta però, quindi svolgendo attività. Ma se non apri manco la busta che contiene la cimice sequestrata significa che non ti sei interessato di capire da dove provenisse, quale fosse il gestore telefonico, il server del segnale di appoggio e via dicendo. Ovvio che dinanzi a un quadro del genere si chieda di non archiviare. Niente da fare, l’opposizione sbatte contro un muro. Il “guaio”, da quanto si legge, è che nel seppellire il caso l’ufficio del Gip avrebbe copia-incollato un provvedimento estraneo alla questione, addirittura pare si tratti di un parere legale di giuristi lombardi su materia diversa. Scavando, di questi casi ne sarebbero poi emersi alcuni altri, legittimando l’immagine giornalistica della fabbrica di archiviazioni o delle archiviazioni in ciclostile. Un fatto diffuso nei tribunali italiani, non è che Vallo sia un caso patologico. Finisce questo primo round tra denunce ed esposti, mentre a quel punto le carte continuano a camminare, come si dice. Ecco che arriviamo alla lite finale che ha originato questa antipatica grana per il magistrato che oggi troverà appuntata nel proprio fascicolo disciplinare a Palazzo dei Marescialli, un vero incubo per tutte le toghe: e qui starebbe la vera notizia di tutta questa storia, ma lo diremo tra poco.
Udienza di tensione e scontro
Quando il caso della cimice, alla fine, arriverà in aula, il cittadino monitorato da chissà quale entità misteriosa, tramite il suo avvocato troverà nuovamente lo stesso giudice. Che avrebbe dovuto astenersi invece, non solo la legge indica modalità e ragioni di ciò, ma pure la logica. Ad ogni buon conto inizia il botta e risposta in udienza, l’avvocato rileva l’incompatibilità del giudice, questi risponde dicendo la sua, insomma un siparietto gustoso per qualunque palato curioso delle umane attività. Valiante dirà: giudice, ma ha letto la memoria preliminare a questa udienza nella quale dico questo e dico quello? Il giudice interpreta quelle parole come sarcasmo indisponente, l’avvocato spiega che si tratta di una semplice domanda, la tensione risale, il cancelliere va nel panico nonostante sia il classico caso in cui la sua garanzia di terzietà vada esercitata, insomma l’affare si ingrossa. Il giudice fa mettere a verbale che Valiante lo abbia in qualche modo sfottuto e oltraggiato, questi al contrario rinuncia alla discussione in quanto a sua volta intimidito e condizionato dicendo di essersi limitato a chiedere al magistrato se avesse letto le carte depositate e che se lo avesse fatto avrebbe per forza dovuto astenersi. Il magistrato denuncia Valiante alla procura e manda l’avvocato dinanzi al Consiglio disciplinare forense (dalle quali uscirà indenne). Valiante a quel punto denuncia di nuovo il magistrato al Csm (oltre che al ministro di Giustizia e via via a tutti gli organi sovraordinati) e, naturalmente, alla procura di Napoli, competente per legge, accusandolo di calunnia (cioè l’ha denunciato sapendolo innocente) e falso (il verbale conteneva circostanze non vere o alterate).
Qui viene il bello, si fa per dire, perché in genere quando si tratta di magistrati che devono indagare su altri magistrati le cose assumono un ritmo particolare. Il caso viene infatti iscritto a Modello 44, cioè contro ignoti, eppure erano indicati chiaramente nomi e cognomi. Si tratta di una prassi non rara che induce a pensare che si voglia favorire il magistrato raggiunto da una notizia di reato perché così il suo nominativo non viene iscritto nel registro per il Modello 21 (contro soggetti noti) e, quindi, senza l’obbligo di comunicare il fatto al Ministero, organo deputato ad attivarsi allorquando è portato a conoscenza di un’ipotesi di reato ascritta ad una toga. Solitamente – ed al di là dell’accusa mossa contro il magistrato – il “collega” iscrive la notizia di reato o “contro ignoti” o “contro persona da identificare” o come “fatto non costituente reato” (i tre distinti registri previsti dal nostro ordinamento) e si attiva per articolare una richiesta di archiviazione (modalità con cui viene definito il 99% dei fascicoli contro magistrati) appena è pronto, magari facendo passare un po’ di tempo per poter sostenere che ha fatto delle indagini, iscrivendo poi il nominativo del magistrato ma contestualmente avanzando richiesta di archiviazione così da non dover comunicare nulla al ministero. Ogni casta (a partire dai giornalisti) sa il fatto suo, in pratica.
Nel caso nostro il difensore di Valiante, il penalista napoletano Gennaro Lepre, noto anche per avere alla cintola diversi scalpi di magistrati, non ha voluto attendere e ha iniziato a piantare grane, diciamo, sollecitando il pm di Napoli, la dottoressa Giugni, di procedere alla iscrizione del nominativo del magistrato indagato. Detto fatto.
Sarà verosimilmente archiviato anche stavolta, il che ci fa piacere: ma una storia così non poteva non essere raccontata.