di Gerardo Spira*
Accuse e arresti per corruzione, a tutti i livelli, sono ormai notizie all’ordine del giorno che non fanno più rumore tranne che queste non riguardino persone del territorio, clamorose poi se riguardano un personaggio di peso… politico. Ma vediamo come questo brutto termine si manifesta e cosa comporta. Gli amici avvocati ne parlano di passaggio frettoloso, con sorrisi tra il serio e il faceto, se interpellati per strada. Soffermati in crocchio in piazza o davanti al bar sfoggiano disquisizioni ampollose di studio arricchite da effusioni terminologiche, ma senza penetrare negli angoli polverosi della normativa di settore pubblica e penale che unisce il casone – Si parla di penale e si trascura cosa succede nella vita pubblica. Aspetto questo che si preferisce riservare alle Autorità competenti. Stessa sorte accade quando interviene il provvedimento giudiziale o amministrativo. Gl’istruiti che girovagano tra le carte amministrative, per opportunità solidarietà si rifugiano nel silenzio solidale o buttano fuori qualche “scarola” male scopiazzata. Alla notizia “hanno arrestato…!”, si formano capannelli tra chi ne sa di più e i curiosi incollati che raccolgono, aggiungono e diffondono. Col passare del tempo la notizia si perde per strade e la piazza. La discussione continua negli Uffici e nei luoghi di riunione pubblica. Noi che siamo i soliti rompiscatole vogliamo invece parlarne a libro aperto, cominciando da principio, e soprattutto per ragioni di etica pubblica, penetrando in un mondo in cui può accadere di tutto e di più. Partiamo quindi dal principio che fa obbligo alla Pubblica amministrazione di applicare lo stesso trattamento uguale per tutti coloro che cadono nel reato di corruzione: dipendenti e amministratori, ricordando che tutti sono uguali di fronte alla legge e che questa non fa differenza tra figli e figliastri: il corrotto è uguale sia dipendente e sia un amministratore o Sindaco. Il trattamento sanzionatorio, per principio costituzionale, deve essere uguale. Quindi entriamo nella problematica.
Naturalmente parliamo della corruzione propria, quella che commette appositamente la persona pubblica, quella che colpisce di più. L’art. 318 c.p. deve considerarsi come un baluardo al principio costituzionale di cui all’art. 97, del buon andamento, del corretto funzionamento e della imparzialità, elementi tutti che intaccano dignità ed onore della P.A.
“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge [95 c.3], in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. (…) Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.”
La legge stabilisce che il pubblico ufficiale che viola i doveri del proprio ufficio, riceve e accetta denaro o altre utilità, è punito con la reclusione da 1 a 20 anni a seconda delle diverse fattispecie. La pena è ridotta fino ad un terzo se il corrotto è un dipendente che svolge compiti inferiori al dirigente. La legge in questi casi è molto rigida e non lascia via di scampo. In caso di arresti di un pubblico ufficiale, dirigente o inferiore, scatta l’obbligo della sospensione dalle funzioni e tale rimane fino alla decisione della giustizia. Il funzionario/ incaricato resta a casa con trattamento economico al minimo vitale fino al provvedimento giudiziale.
Nel 2012 il legislatore è intervenuto con apposita legge n.190/2012, nel 2013 con il D.Lgs33/2013, nel 2015 con la legge 69/2015, la quale ultima ha modificato anche il CODICE di comportamento per i dipendenti pubblici. In buona sostanza il legislatore, correttamente, è stato puntuale nel ricorrere al riparo nel caso di pubblici dipendenti, mentre invece ha lasciato la porta aperta alla discrezione e volontà di interpretazione nel caso di amministratori pubblici, di presidenti e Sindaci, questi restano nel limbo del se e del ma, specialmente quando vengono arrestati con l’accusa di corruzione durante il corso dell’attività giudiziaria. Una prerogativa non prevista dalla legge che lascia molti sospetti e che fa ribollire quel principio di uguaglianza scritto nella Carta costituzionale. Se la legge è uguale per tutti, il reato di corruzione, che non ha colori o predilizioni, va trattato, per tutti i cittadini con la stessa dignità giuridica. Questa educazione costituzionale ci ha spinti ad approfondire l’argomento camminando in punta di piedi su norme e sugli stessi principi di diritto pubblico, validi sia per i dipendenti che per gli amministratori. Orbene la corruzione, come ben sappiamo, non è soltanto un reato ma un comportamento culturale pesantemente sanzionato dalla legge da cui conseguono danni economici alla collettività oltre che di immagine. Dunque, un comportamento da sanzionare assolutamente a cominciare sin dalla fase della prevenzione appena spunta. La semplice accusa giudiziaria, in fase di indagini, seguita da arresti sia per il dipendente che per un amministratore fa scattare il reato di corruzione per il venir meno dei doveri di uffici, principio questo valido per tutti. Un Sindaco, oltre alle competenze previste per legge svolge anche funzioni e doveri a cui è tenuto ad attendere per garantire il principio di cui all’art. 97 della Costituzione, oltre a quanto stabilito nell’art.78 del Tuel 267. A rigore scatterebbe anche l’art. 141 tuel 267/2000 comma 1, lett, a ( i consigli comunali vengono sciolti quando compiono atti contrari alla Costituzione) Principio collegato all’art. 97. La struttura organizzativa dell’Ente è la stessa con tutto l’apparato pubblico di organi politici e dipendenti. Dunque, se corre l’obbligo della sospensione per un funzionario pubblico nel caso di arresto per corruzione, lo stesso obbligo scatta anche nel caso di un amministratore o di un Sindaco. Infatti, il Sindaco arrestato non può svolgere competenze e funzioni, perché privo di struttura ed organizzazione, così come accade per il dipendente pubblico. L’impedimento normativo, per giurisprudenza costante non attiene a motivi penali, bensì ad altra natura, malattia o altro per ragioni familiari o professionali non rimandabili. L’impedimento, infatti, non riguarda la legge, ma una eventualità non rinviabile di natura occasionale. L’impedimento funzionale per il caso di arresti pone il dipendente, incaricato, amministratore o Sindaco nella impossibilità di svolgere le funzioni pubbliche. Queste sono poste, in gergo, agli arresti, come per il portatore delle funzioni e dei doveri. L’autorità competente, quindi, è tenuto a sospenderle. La funzione di diritto non ha colore politico. Nella organizzazione amministrativa del Comune l’obbligo di adottare il provvedimento di sospensione ricade sul funzionario responsabile della disciplinare, in caso di mancanza il già menzionato obbligo ricade sul segretario comunale. Per il Segretario comunale l’obbligo ricade sul Prefetto. Nel caso del Sindaco in condizioni di arresti con l’accusa di corruzione lo stesso obbligo ricade sul Prefetto, in quanto la carica per i poteri e le funzioni ricadono nell’ambito di competenza del Ministero dell’interno, delegata a livello provinciale. La sospensione dalle funzioni può intervenire anche in sede giudiziale con la condanna. Il principio costituzionale non fa differenze.
Gli effetti di certo, a nostro avviso si ripercuotono sugli Organi giunta e consiglio delegati alla sostituzione per impedimenti amministrativi, non certamente per quelli giudiziari.
*avvocato, segretario Fondazione Angelo Vassallo