Alberto Cuomo
È indubbio che De Luca sia già immedesimato nel ruolo, del resto avuto in passato, di sindaco di Salerno. Infatti ha agito da sindaco allorché ha fatto togliere le panchine al Carmine sottraendole, non solo a quanti le usavano quali sedute defatiganti dopo aggressioni e risse, ma anche ai cittadini ed ai tanti anziani che ne fruivano. E qui, in tale atto di forza, ha forse voluto mostrare che il suo animo di “sceriffo”, di fustigatore dei “cafoni”, è ancora vivo e che presto tornerà in azione. In precedenza aveva rimproverato l’amministrazione comunale di essere attendista nella costruzione del palazzetto dello sport, poi, per far comprendere che siederà anche sulla prima poltrona del consiglio provinciale ha annunciato la nuova città che starebbe per sorgere tra Salerno e Agropoli definita dal masterplan firmato da Stefano Boeri. Peccato che in questo caso è stato subito smentito dal Consiglio di Stato che ha ribaltato la sentenza del Tar salernitano/regionale annullando sia il progetto, giudicato troppo invasivo dalla Soprintendenza, sia la conferenza dai servizi che l’ha approvato. Dopo queste performances De Luca, che tiene a mostrare di essere colto – laureato in filosofia quando quasi tutti i docenti della facoltà erano iscritti al Pci e frequentavano la federazione salernitana – e non solo il rude fustigatore delle violazioni al vivere sociale, si è dato alla pubblicizzazione del suo libro “La sfida”, uscito in libreria alla fine di settembre. In questo caso, dopo lo smacco sulla pista ciclabile, ha registrato un flop letterario, rivelandosi il testo un mattone in cui l’autobiografia, mescolandosi a superficiali analisi politiche sulle veloci trasformazioni sociali e tecniche attuali e sulla fine della democrazia, rende la lettura alla noia, non ravvivata dall’ironia o dall’invettiva quanto rafforzata dal sarcasmo. E non solo: perché, essendo colto, non spendere una parola sull’università messa sotto i riflettori per l’insediamento del rettore D’Antonio e l’arrivo del ministro Anna Maria Bernini? Mentre il ministro veniva contestato senza ragione dagli studenti e non dai ricercatori cui ha promesso il rinnovamento del loro precariato (sic!) il prossimo ex presidente regionale si è lanciato nel proporre, per il futuro sé tesso primo cittadino, “un campus nell’edificio del vecchio tribunale”, non sapendo forse che il termine “campus” si usa per gli atenei non urbani. Oltre tale gaffe, proprio De Luca, che insegue una proposta del nuovo rettore, non è il politico più indicato per ipotizzare un ritorno in città dell’università estorta, anche con il suo contributo, a Salerno e portata a Fisciano. Nel 1968 lo storico Gabriele De Rosa riuscì a far convertire il Magistero di Salerno in Università, aggiungendovi la facoltà di Lettere. L’anno successivo vinceranno il concorso nazionale per il Piano Particolareggiato del Centro Storico tre gruppi di progettisti e nel 1971, sindaco Gaspare Russo, l’incarico venne dato solo a uno dei tre, ovvero al gruppo capeggiato da Paolo Portoghesi che, sotto il motto “il futuro ha un cuore antico” ipotizzò, così come a Perugia, l’insediamento della nuova Università di Salerno nei grandi contenitori monastici, posti nella parte alta. In seguito a tale proposta si sviluppò a Salerno un dibattito politico sulla localizzazione dell’Università che vide schierato il Partito Socialista dalla parte di Portoghesi e il Partito Comunista con la DC a favore di un campus esterno alla città. Erano gli anni del cosiddetto “compromesso storico” e della prima ascesa di Antonio Bassolino eletto nel 1970 consigliere regionale e, nel 1976, segretario regionale del partito. In questa veste Bassolino commissariò la federazione di Salerno inviando quale commissario Paolo Nicchia ed estromettendo il segretario l’avvocato Franco Fichera. A Salerno la presentazione di Filiberto Menna, figlio dell’ex sindaco democristiano, quale candidato indipendente nelle liste del PCI, aveva condotto molti moderati a votare i comunisti e, si disse, il successo del partito salernitano aveva messo in ansia quello napoletano, timoroso di perdere prestigio presso la segreteria nazionale. In tale frangente Vincenzo De Luca si schierò con i napoletani collaborando all’azione di repulisti di Nicchia nella malcelata intenzione di divenirne il successore quale segretario provinciale. In precedenza l’urbanista Corrado Beguinot, democristiano, aveva condotto uno studio che, riferito all’intera regione, collocava la seconda università campana in un luogo per così dire baricentrico e, precisamente, nella zona tra Baronissi e Fisciano, secondo un’idea molto gradita a Ciriaco De Mita che avrebbe voluto l’università più prossima ad Avellino. Nel 1978, dopo la breve parentesi del rettorato di Savignano, si votò per l’elezione del nuovo rettore e i docenti organici al PCI che frequentavano la federazione salernitana boicottarono Filiberto Menna, aspirante alla carica, preferendogli il più grigio napoletano Luigi Amirante a sua volta comunista. La voce più autorevole nel PCI regionale e salernitano era quella di Biagio De Giovanni, migliorista come Bassolino e professore del giovane De Luca, ed era stato proprio De Giovanni a volere il dialogo con la corrente di sinistra detta “base” della DC il cui capofila era Ciriaco De Mita, sì da condurre a scegliere la localizzazione dell’Università a Fisciano, tanto più che già nel 1971 il rettore De Rosa aveva dato incarico all’architetto Michele Capobianco di progettare a Baronissi la facoltà di scienze. De Luca, quale collaboratore di Nicchia, era del tutto fedele al disegno di strappare a Salerno l’Università e, quindi, fa specie ora vederlo paladino di un suo ritorno in città. Non vi è chi non veda il fallimento del “campus” del tutto vuoto dopo le 19, ma ormai è tardi per tornare indietro e mettere un qualche dipartimento nel vecchio tribunale creerà solo disservizi.





