Processo Vassallo, le tre falle dell'inchiesta - Le Cronache Attualità
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Processo Vassallo, le tre falle dell’inchiesta

Processo Vassallo, le tre falle  dell’inchiesta

Antonio Manzo

“Verrà il giorno della giustizia. Oggi è quello del dolore” dice il colonnello Fabio Cagnazzo, alla vigilia dell’udienza di oggi che lo vede imputato nel processo per l’omicidio di Angelo Vassallo con l’accusa di aver depistato le indagini. “Alla luce della tragedia di Castel d’Azzano dove tre carabinieri , tre fratelli d’ arme, hanno perso la vita –dice il colonnello Cagnazzo – chiedo, abbracciando le oltre 250 persone che erano pronte a raggiungere Salerno, il rinvio a data da destinarsi della manifestazione di solidarietà per me”.

E prosegue: “L’Arma dei Carabinieri  alla quale sono certo di tornare presto operativo, avendo piena e incrollabile fiducia nella magistratura, è a lutto con il Paese. Ritornerò con la certezza della  mia assoluta estraneità ai fatti contestati”.

Oggi riprende il processo dinanzi al giudice per l’udienza preliminare per l’omicidio di Angelo Vassallo, dopo 15 anni di vuoto accusatorio sul gravissimo fatto di sangue. Fabio Cagnazzo, colonnello dei Carabinieri, fu arrestato a marzo scorso e poi scarcerato a maggio con l’accusa di aver depistato le indagini nella ricerca dell’assassino Vassallo, Il passato pesa, come dimostra la prima indagine di ben 15 anni fa sull’omicidio Vassallo, che aveva indicato come presunto colpevole Umberto Damiani, pregiudicato poi arrestato per altre vicende ma da tempo scagionato da ogni responsabilità nel delitto del sindaco di Acciaroli con il proscioglimento in istruttoria. “Non possiamo correre in rischio di andare in corte d’assise con un processo fortemente indiziario” disse uno degli inquirenti dell’epoca.

La procura salernitana, allora, chiese scusa per l’errore. Il processo ora riprende ma restano incredibilmente ancora aperte tre falle dell’inchiesta.

Le carte di Vassallo

La prima: chi prese e chi controllò le carte di denuncia sulle strade fantasma nel Cilento che lo stesso Vassallo aveva prodotto e che conservava sotto il sedile anteriore destro la sera che fu ucciso

I mazzieri di Montecorice

 

La seconda: il ruolo della “cricca di mazzieri” di Montecorice comune vicino Pollica che aveva il compito di sequestrare, violentare e far parlare gli oppositori del “partito del cemento” che faceva affari con edilizia illegittima. Proprio Angelo Vassallo poco prima di essere ucciso si oppose al progetto di lottizzazione per 191 villette sulla spiaggia di San Nicola a Mare di Montecorice. Il progetto ora è stato cancellato grazia al coraggio dell’ex sindaco Piccirilli che si oppose fino al Consiglio di stato per le indicazioni del  nuovo piano regolatore poi bocciato. Era il progetto per le ville a mare presentato da Mario Felice Nusco, l’imprenditore di Nola ora morto. Era noto a Nola non solo quale industriale di peso (produceva porte e infissi)  ma anche presidente della locale  squadra di calcio e ritenuto dagli investigatori  in un presunto legame con il clan di Carmine Alfieri. Ma Vassallo è morto con l’opposizione al progetto Nusco e non ha potuto avere ragione in vita con l’esito della bocciatura del progetto Nusco. A Montecorice non è tutto fermo: c’è ancora in giro un gruppo di affaristi che avrebbe la disponibilità operativa di una cricca di mazzieri Fu quando la cricca sequestrò un oppositore del sindaco dell’epoca, tuttora sindaco, per farlo tacere a suon di aggressioni fisiche, Di quella cricca facevano parte anche Giuseppe Damiani detto “Peppe ‘a catena” e il figlio Umberto Damiani detto “il brasiliano”, l’uomo che sarebbe stato poi scagionato per il delitto Vassallo. Padre e figlio furono prima assolti a Vallo della Lucania e poi dalla Cassazione rimessi in un processo alla corte di Appello di Napoli per l’aggressione  a Francesco Malzone.

Il delitto e il generale

 

La terza falla: una fonte anonima aprì  un nuovo fronte nell’inchiesta televisiva “Le Iene” di Giulio Golia e Francesca Di Stefano sull’omicidio di Angelo Vassallo: ci fu un ruolo del generale Pisani e della sua famiglia nel caso della morte del sindaco  di Pollica?

La fonte spinse i giornalisti ad approfondire il possibile ruolo di una figura molto importante: l’ex generale dei Carabinieri e fondatore dei Ros Domenico Pisani. Il militare, originario di Pollica, tornava spesso nella cittadina cilentana. E sembra che i rapporti tra lui e il sindaco Vassallo non fossero esattamente idilliaci. Dietro a queste tensioni ci sarebbe stata la richiesta del militare di concedere ai fratelli imprenditori di Salerno una concessione balneare, rifiutata però da Angelo. Vassallo, aveva deciso di non permettere ulteriori concessioni: atteggiamento che gli avrebbe provocato molti nemici, secondo il ricordo della vedova di Angelo

Il lido in questione avrebbe dovuto essere gestito dalla figlia del generale, Ausonia. Ausonia, vigilessa ad Albano Laziale, fu coinvolta l’anno successivo alla morte del sindaco in un famoso caso di cronaca: si trovò coinvolta in un caso di spaccio di droga, sfociato in una sparatoria in cui morirono due persone.

La persona che materialmente sparò alle due vittime è Sante Fragalà, all’epoca compagno di Ausonia. Entrambi furono condannati per quegli omicidi: Fragalà a 26 anni di carcere, la figlia del generale Pisani a 16 anni. Questo fatto di cronaca sarebbe collegato alla morte di Angelo Vassallo per un dettaglio, cioè la pistola del raid di morte era posseduta da Ausonia ma originariamente proprietà del generale: l’arma era simile a quella che avrebbe ucciso il sindaco di Pollica (una baby-Tanfoglio calibro 9). La perizia svolta sulla pistola escluse che si trattasse della stessa arma. Sembra che nei giorni della morte del sindaco i telefoni di Ausonia Pisani e Sante Fragalà si fossero agganciati alla cella della zona di Pollica.

Fu  fatta una perizia trovata nel 2013 sulla pistola uguale  quella dell’omicidio Vassallo con matricola abrasa e rinvenuta a casa di Ausonia Pisani? Dopo la condanna per quel doppio omicidio Sante Fragalà  divenne collaboratore di giustizia e contribuì a far arrestare quasi tutti i componenti della sua famiglia.

 

Oggi, le indagini dopo 15 anni e proscioglimento in istruttoria di Umberto Damiani sono ripartite da una nuova costruzione accusatoria della Procura della Repubblica, ma con fondamenta ancora incerte così come ribadito dai giudici della Cassazione che annullarono le ordinanze di custodia cautelare per lo stesso Cagnazzo  e gli altri indagati. Il nodo è la posizione del colonnello dei Carabinieri Fabio Cagnazzo, del brigadiere Lazzaro Cioffi e dell’imprenditore Giuseppe Cipriano. Un processo complicato, che si sviluppa sullo sfondo di un’indagine tormentata e che, come spesso accade nei grandi casi italiani, lascia dietro sé una lunga scia di domande senza risposte in ordine al movente prim’ancora che sul mandante oltre che esecutori, non individuati. La Cassazione rese note le motivazioni con cui  smontò le basi dell’ordinanza cautelare della Procura di Salerno firmata dal Gip e confermata dal Riesame. Tra le criticità rilevate, l’inutilizzabilità delle dichiarazioni del collaboratore Eugenio D’Atri, la dubbia attendibilità di Romolo Ridosso e la mancata prova concreta della partecipazione di Fabio Cagnazzo a un traffico di stupefacenti.

Ancora più fragile, secondo la Suprema Corte, fu la dimostrazione dell’accordo preventivo per inquinare le indagini, considerato uno dei presupposti chiave per giustificare la detenzione. “Quali elementi – si domandarono i giudici – indicano davvero il rafforzamento del proposito criminoso altrui da parte di Cagnazzo mediante l’assicurazione di un successivo depistaggio?”. È una delle tante domande che attendono risposta oltre a quelle tuttora esistenti sulle cause scatenanti del delitto Vassallo. Nel frattempo, la figura del colonnello Cagnazzo continua a dividere: accusato, detenuto, eppure ritenuto non pericoloso sul piano sanitario dai periti incaricati, che  esclusero la possibilità di detenzione domiciliare nonostante le sue condizioni cardiache. Una vicenda che si aggiunge alla sensazione di un’inchiesta in bilico, in cui il tempo ha sgretolato prove e contesto.

E intanto il contesto storico ed ambientale dell’inchiesta non cambia: lo stesso “Sistema Cilento” contro cui Vassallo lottava continua indisturbato è ancora lì dove solo dopo ben venti anni è stato scoperto il caso di Santa Marina di Policastro (presunte tangenti e concessioni edilizie).

Il presunto movente dell’inchiesta Vassallo, legato al traffico di droga, resta affidato solo alle parole dei collaboratori di giustizia. E i rischi di inquinamento probatorio o di reiterazione del reato appaiono oggi, a distanza di quindici anni, sempre più fragili e scoloriti. Viene quasi spontaneo sperare che i pm della Procura di Salerno abbiano tra le mani qualcosa in più di quanto da loro riportato nell’ordinanza di custodia cautelare. Resta un mistero, infatti, come si possa contestare il depistaggio delle indagini sull’omicidio senza indicare il benché minimo indizio di questo, con un’inchiesta fin dall’inizio giocata anche sul piano mediatico: denunce aggressive, verbali che grondavano più aggettivi che fatti, poi il via libera semiautomatico del gip, e a quel punto gli imputati erano già colpevoli.

L’intero impianto accusatorio del nuovo filone della procura di Salerno, che coinvolge Cagnazzo e gli altri imputati, si basa su un dato grave, dal quale però i Pm fanno discendere con una certa fantasia tutta un’altra serie di ipotesi di reato che non sembrano essere così scontate. Il dato è questo: il pool antimafia della procura di Salerno è caduto la seconda volta: il primo con l’accusa poi archiviata per Umberto Damiani, la seconda con l’inchiesta Cagnazzo annullata dalla Cassazione.

Un grave smacco per la procura, smentita due volte  nel corso di lunghi, faticosi quindici anni di inchiesta Vassallo con l’intera costruzione d’accusa a mostrare crepe.

L’inchiesta fin dall’inizio fu giocata sul piano mediatico: è la camorra che ha voluto l’omicidio, immagine fornita dall’allora procuratore Roberti pur di far trasferire il processo da Vallo della Lucania alla sua Direzione Distrettuale Antimafia.   E molta fanfara mediatica populista-giustizialista propagandata su reti nazionali per un delitto eccellente 15 anni dopo ancora irrisolto e facendo capire che l’inchiesta sul drammatico caso è chiusa. “Giustizia è fatta”.