Ilya Grubert e i protagonisti del futuro - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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Ilya Grubert e i protagonisti del futuro

Ilya Grubert e i protagonisti del futuro

Di Olga Chieffi

Secondo e intenso appuntamento, domenica sera, tra gli angeli musicanti della chiesa di San Giorgio, per la rassegna Primule musicali, promossa dalla Associazione Culturale AthenaMuse, in collaborazione con Scuola Italiana d’Archi e la sua orchestra giovanile, sotto la direzione dei maestri Joao Carlos Parreira Chueire e Stefano Pagliani. Dopo Florin Paul è stato Ilya Grubert, a “battezzare” i giovani solisti Enrico Cavaliere, Nicola Cicchino e Annastella Gibboni, il quale ha scelto per il pubblico salernitano, la trascrizione per violino ed orchestra della celebre Sonata per arpeggione di Franz Schubert D.821. La sensibilità e l’intelligenza di Ilya Grubert è apparsa, sin dal primo attacco, adatta a questa pagina impegnativa, in particolare, perché resta in bilico tra una diffusa ispirazione lirica e una scrittura sciolta e brillante, culminante nell’Allegretto conclusivo. Una interpretazione vibratile, interiore ed elegante quella di Grubert, fatta di intenzioni sfumate e sensitive, nelle suggestioni, in particolare dell’Adagio, certamente la più fervida espansione lirica, dalla peculiare impronta liederistica, con Grubert a cantare su quella linea melodica sognante e rapinosa. Il solista nel primo e terzo movimento ha sottolineato, poi, quegli atteggiamenti volubili disposti su di un grafico di variegata e a tratti quasi capricciosa intensità, in particolare quell’ampia catabasi verso la cadenza dell’Allegro moderato, intrisa di una Stimmung fortemente malinconica ed introversa, evocante l’incipit. Standing ovation per il Premio Paganini 1977 che ha ceduto la ribalta alla prima primula, il suo allievo Enrico Cavaliere, il quale ha inteso cimentarsi con il Rondò Capriccioso op.28 in La minore di Camille Saint-Saens, scritto per una primula di fine Ottocento, Pablo de Sarasate. Scrittura strumentale sopra le righe per Enrico Cavaliere, erede di una schiatta di musicisti, tra papà Felice, mamma Tiziana e il fratello Giuliano, che pone in risalto abilità e  tecnica violinistica su di un’orchestra relegata a ruolo di accompagnamento. La tensione interpretativa non ha subito cali né interruzioni, anche se è questo un classico di repertorio ancora da cesellare e perfezionare, per tutte le sue difficoltà tecniche, per realizzare la sua volontà di andare al cuore dell’opera, cassando enfasi e retorica, per centrarne essenza e carattere.

Seconda primula in campo, una vera e propria sorpresa, Nicola Cicchino. Se gli altri due giovani sono già addivenuti all’attenzione della stampa musicale, il violinista che si è presentato in pubblico con l’Allegro Moderato del concerto n° 5 op.37 in la minore “Grétry” di Henri Vieuxtemps, ha benevolmente impressionato l’attenta platea. Concentratissimo, freddo, il volto non ha tradito una smorfia, ha profuso talento tecnico e musicale, naturalezza e immediata eloquenza espressiva, estremo nitore e incisività. Un’interpretazione impeccabile, quella di Nicola Cicchino, governata da un mirabile senso dell’equilibrio tra le atmosfere e i diversi registri espressivi, con promettente suono e inappuntabile intonazione e in particolare in quei momenti in cui ha avuto la possibilità di far apprezzare la propria corda lirica, distendendo una cavata di intensa cantabilità ed emotività. Finale affidato al violino virtuoso e maturo di Annastella Gibboni, la cui parola d’ordine, come dell’intera famiglia, che è entrata tutta a pieno merito nella storia del violinismo nazionale, è suonare col sorriso. E’ andata sul sicuro Annastella, con le “Variations on an original Theme” op.15 di Henryk Wieniawski, anche questa una trascrizione con orchestra, una pagina che lei, come Giuseppe e Donatella suonano sin da ragazzini. Energia torrenziale, nel violino di Annastella, in toilette rosso fuoco, una fiamma che accende l’intera famiglia, in questo genere di composizioni, forse non del tutta espressa, per una scelta di tempi, un po’ timida da parte del direttore Stefano Pagliani, che avrebbe comodamente spingere e venir fuori un po’ di più. Una esibizione, quella della solista, con un archetto leggero, volante, quanto pesante e responsabile, poiché dono di matrimonio del fratello Giuseppe, ispirazione per performance al di fuori degli schemi della tradizione, con attenzione assoluta alla produzione di un’esecuzione coerente e compatta, allo stesso tempo elasticissima nell’agogica e capace di rendere conto delle più sottili tensioni espressive manifestate dal suo violino. Il tutto racchiuso in una visione chiara ed efficacissima della scrittura del compositore polacco, messa a fuoco ormai da diversi lustri, sotto la lente di un microscopio potente e implacabile, capace di far esplodere in ogni momento la sua capacità di sorprendere e meravigliare.