
Matteo Acconcia
Sono un geometra settantenne di Mercato S. Severino al quale, circa un anno fa, è stato diagnosticato un tumore al pancreas, malattia gravissima, come tutti sanno, che mi ha rivoluzionato la vita, oltre che metterla pericolosamente a rischio. Spesso allontaniamo il cancro dalle nostre vite non pensandoci, ritenendolo un problema esclusivamente degli altri. Quando, invece, la malattia arriva – con tutti i suoi dolori fisici e morali – ciascuno è costretto a farsene una ragione e a conviverci serenamente. Talvolta, però, le sofferenze sono tali che non è pensabile agire e resistere da solo. Si ha bisogno di supporti scientifici adeguati e anche di tanta umanità. La cosa che spaventa, in quei momenti iniziali del percorso terapeutico, è quella di essere considerato un numero, di vivere, cioè, anche una condizione di solitudine, che non aiuta, anzi deprime e aggrava la condizione fisica. Dopo la diagnosi, formulatami a Brescia circa un anno e mezzo fa, sono diventato un paziente del “Ruggi” di Salerno: mi rivolsi al personale di quell’ospedale già prima di iniziare il ciclo di chemio. Avevo forti, lancinanti, insopportabili dolori. Dopo la sosta al Pronto soccorso, fui accolto in reparto, dove sono stato e, a distanza, vengo ancora seguito, perché sono alla vigilia di un secondo ciclo di chemio. Proprio in questo reparto non ho corso né il rischio della solitudine né quello di essere considerato un numero, circostanze che avrebbero reso ancora più difficile la mia vita. E se ho deciso di scrivere al vostro giornale è proprio per segnalare, nel reparto in cui mi curano e con il quale sono costantemente in contatto, la presenza di un medico giovanissimo e preparato che, per umanità e dedizione, sembra venire da altri tempi, lontano cioè dalle atmosfere della Sanità di oggi, che è così precaria e priva di umanità e di assistenza da spaventare tutti gli italiani. Si tratta del dottore Riccardo Ronga, un medico oncologo di rara competenza e disponibilità. Mi ha detto di essere nato a Mugnano, nel Napoletano, il primo maggio 1990 e attualmente risiede a Napoli. Mi ha riservato, dal primo giorno in cui l’ho conosciuto e gli ho parlato del mio complesso e grave caso, un’eccezionale cura e attenzione. Le sue strategie terapeutiche, delle quali ho parlato a Brescia con il professore che mi comunicò per primo la diagnosi relativa alla mia patologia, sono state tutte condivise senza alcuna riserva. Il dottore Ronga, che nonostante la giovane età ha già una ricca produzione scientifica, molte importanti pubblicazioni e varie partecipazione a congressi non soltanto nazionali, si è distinto, quindi, non soltanto per il suo straordinario impegno professionale, ma anche per le sue intuizioni, la sua empatia e l’attenzione verso di me. Ho così capito che, oltre alla preparazione impeccabile nel trattare la mia malattia, è anche un professionista che pone l’etica al centro della sua giornata di lavoro. Un approccio umano e umanistico che, credetemi, non è facile trovare nei nostri ospedali disorganizzati e disumanizzanti. Il dottore Ronga mi spiega ogni cosa – le evoluzioni pericolose del male, qualche non trascurabile successo terapeutico, le fasi di letargo della malattia, le sue insidie, le opzioni terapeutiche, le prospettive sperate e quelle reali – e lo fa sempre con una comunicativa invidiabile, senza mai drammatizzare, evitando che la paura o l’angoscia prendano il sopravvento nella mia interiorità messa a così dura prova. Questa si chiama buona Sanità.Dicevo che la mia ansia iniziale derivava dal timore di essere considerato un numero al quale applicare le previsioni di un protocollo di cura. Con il dottore Ronga non è così: egli ricerca soluzioni alternative e ne discute con me, prospettandomi ogni conseguenza della scelta che si va a compiere. Insomma, ho capito che egli adatta, così come dovrebbe sempre essere, il trattamento alle necessità individuali del paziente. La sua azione costante, supportata dalla sua formazione accademica e ospedaliera nonché dall’esperienza maturata sul campo, ha avuto un impatto positivo, quindi, non solo sulla mia salute, ma anche sul mio benessere psicologico. La buona sanità è un concetto che si traduce, nel caso del dottore Ronga, in un impegno incessante per il miglioramento della vita dei pazienti, nella cura delle loro necessità fisiche, ma anche nel sostegno morale e umano che accompagna ogni fase della terapia. Non si nega mai, né a me né agli altri suoi pazienti. Gli ho inviato messaggi telefonici a qualsiasi ora, soprattutto nelle fasi più difficili e dolorose della malattia e negli snodi terapeutici. Le sue risposte sono state quasi sempre simultanee alla chiamata e, credetemi, questa non è poca cosa per chi vive malattie così gravi e debilitanti. Sono stato fortunato, e con me tutti i malati che si sono affidati a lui. Un medico così competente e sensibile, capace di restituire non solo la speranza, ma anche il coraggio di affrontare le sfide più difficili, è davvero una rarità. Quindi, a nome mio e di tutti coloro che, come me, sono assistiti dal dottore Riccardo Ronga, esprimo un sentito grazie per la sua dedizione e per l’eccellenza del suo lavoro. Perché ho voluto rendere pubblico questo mio sentimento? Perché non è facile incontrare un sanitario che mette il cuore nella sua professione e che, prima di essere un valido professionista, è innanzitutto un Uomo (sì, con la “U” maiuscola).