Una testimonianza attinente la giornata del ricordo dell’esodo degli istriani e dei dalmati, dell’ex segretario generale della Uil profugo giuliano assieme alla sua famiglia, madre e padre e poi la sorellina piccolissima, abbandonò, in tenera età, la città di Pola, allora italianissima. Il racconto parte dalla vicenda storica, che vede Giorgio trasferirsi in Istria a causa degli impegni di lavoro del padre, ufficiale di Marina
Di Giulia Iannone
Abbiamo chiesto a Giorgio Benvenuto una sua testimonianza attinente la giornata del ricordo dell’esodo degli istriani e dei dalmati, istituita nel 2004. L’ex segretario generale della Uil è profugo giuliano ed assieme alla sua famiglia, madre e padre e poi la sorellina piccolissima, abbandonò, in tenera età, la città di Pola,allora italianissima. Il racconto parte dalla vicenda storica, che vedeGiorgio trasferirsi in Istria a causa degli impegni di lavoro del padre, ufficiale di Marina, allora Capitano (a fine carriera diventò Ammiraglio).
“I miei genitori, Luisa Rita Corsi e Giuseppe Benvenuto, si sono sposati a Chieti il 10 ottobre 1936”. Questo l’incipit della nostra conversazione telefonica” La prima destinazione di mio padre, ufficiale di Marina, è stata Brindisi. Io sono nato alla fine del 1937. Dovevo venire al mondo a Brindisi, sennonché mio padre venne trasferito a Gaeta. Dopo mio padre è stato mandato a Pola, ove siamo rimasti quasi per 5 anni. Pola era una base navale italiana, prima era stata un porto della Marina austriaca. Mio padre era Capitano: era stato trasferito a Pola alle scuole CREM (Corpo Reali Equipaggi di Marina) per i sottufficiali. In quella città abbiamo vissuto alcuni anni.Mia madre sentiva in cuor suo il desiderio di ritornare a casa per avvicinarsi, nell’Italia centrale quanto più possibile a Chieti, sua città natia. Ecco perché mia sorella Rosanna, è nata a Pescara nel 1942, mentre eravamo ancora residenti a Pola. Mio padre aveva ottenuto di venire al Centro Italia per andare in Albania, a Tirana e a Durazzo. L’8 settembre del 1943 ci fu l’armistizio.. Mio padre aveva avuto una peritonite e non era potuto partire per l’Albania. Le forze armate italiane si disfecero. Mio padre, assieme ad altri ufficiali e militari, entrò in clandestinità e riuscì, con l’aiuto del Vescovo di Chieti e del Vice Parroco della Parrocchia della Trinità, dove si era sposato con mia madre, a passare il fronte, che era quello di Cassino, che arrivava in Abruzzo fino a Castel di Sangro e Vasto (la cosiddetta linea “Gustav”). Mia madre non ebbe notizie di mio padre per un anno. Fu un periodo interminabile e terribile. Noi stavamo a Chieti, ma mio padre era a Bari, Messina…sapevamo solo che era vivo. Non c’erano infatti comunicazioni tra il regno del Sud e la parte dell’Italia occupata dai nazisti e dai fascisti. Nel 1944 cade il fronte di Cassino. Ci giungono finalmente notizie certe di mio padre. Nel 1945 lo raggiungiamo a Messina con un viaggio avventuroso, lungo la Puglia, poi scendendo per la Calabria. Non c’erano ferrovie e non c’era nulla per rendere sicuro, agevole e semplice questo nostro viaggio. Siamo giunti a Messina ove ci siamo riuniti come famiglia dalla fine del 1945 fino al 1947. Quanto al ricordo della vita e dei giorni trascorsi a Pola”in quella città avevamo la casa” ha continuato il Presidente della Fondazione Bruno Buozzi”: era la casa di servizio; era una abitazione molto confortevole. La città era ed è bellissima, affacciata sul mare, antica, romana, ha l’arena, l’anfiteatro, il Tempio di Augusto di epoca romana affiancato dal Palazzo Comunale di Pola che risale al XIII secolo, l’Arco dei Sergi, poi ha dei dintorni bellissimi , c’è anche l’isola di Brioni ove andavo d’estate a trascorrere le vacanze, perché era sede di un distaccamento della marina militare, ed era stata aperta alle famiglie dei militari. È lì, che una estate mia madre mi insegnò a nuotare: mi lasciavo trasportare in alto mare dalla mamma – che nuotava benissimo – mettendomi a cavalcioni sulle sue spalle e così , perfettamente sicuro, attraversavo le acque limpide e cristalline di quella costa adriatica che era molto italiana. Serbo dentro di me dei bellissimi e tenerissimi ricordi di questo periodo e di questi luoghi.Ripeto, la casa era molto bella, c’era un bel giardino, imparai privatamente a leggere e a scrivere con un maestro privato, la gente era simpatica. Fino al dicembre de1942 non c’erano stati bombardamenti e situazioni che facessero sentire di essere in guerra. Per l’Italia la guerra stava andando male: agli inizi del 1943, perché ci fu la tragica ritirata in Russia, la perdita della Libia e la resa dell’armata italiana in Tunisia. L’Italia stava per essere invasa. Noi fino alla fine del 1942 siamo stati bene e, dato importante da ricordare, ci eravamo dovuti iscrivere all’anagrafe di Pola, per cui risultavamo cittadini di Pola. Poi, siamo andati via. Una parte delle cose che avevamo, abbiamo fatto a tempo a riportarle giù a Chieti, ma non tutte. Venne con noi Angela Del Bianco, la persona che era stata assunta anche in previsione della nascita di mia sorella Rosanna. Ricordo benissimo che Angela, la nostra tata, aveva perso suo padre: era stato nel 1945, avvenne quando Tedeschi e Slavi dettero una caccia spietata agli italiani. Il suo papà, italiano ed originario di Carnizza, piccolissimo paese agricolo dell’Istria, fu preso, ucciso e gettato orribilmente nelle foibe. Angela venne via ed è rimasta con noi quasi 10 anni, poi nell’ultimo trasferimento di mio padre, a Roma, lei decise di restare a Chieti, dove si è poi sposata ed è così diventata abruzzese. Per l’affetto che aveva nei confronti di mia madre, ha dato alla sua prima figlia il nome Rita.Ed ecco” Le battute finali amare e decisive di questo racconto, che mescola tratti teneri di bambino, storia di una famiglia in fuga, in viaggio, in bilico, tra le alterne vicende della carriera militare di un padre, di una madre giovane nella disperata ed eroica forza e coraggiosa tensione di tenere unita la famiglia”. C’è stato nel 1947 il trattato di pace. Pola e l’Istria, Fiume, la Dalmazia sono state cedute alla Jugoslavia. Le clausole prevedevano che, chi era iscritto prima del 1947 all’anagrafe di Pola, poteva optare se rimanere lì come cittadino slavo o venire in Italia. Noi non accettammo quella cittadinanza e siamo rimasti in Italia come profughi Giuliani. Siamo sempre stati iscritti alla Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia ( che da sempre si occupa di onorare e mantenere vivo il ricordo degli esuli, caduti e martiri delle foibe) e penso che quel giorno, i miei genitori, decidendo per me e per mia sorella, di essere italiani ed aiutandoci con grande forza e coraggio ad uscire da quella situazione tragica, hanno consentito, oggi, come da molti anni, di testimoniare e ricordare la storia di quei luoghi e di quei fatti, quando altri non possono più farlo.