Mons Pierro, tra laudatori e detrattori - Le Cronache Attualità
Attualità Salerno

Mons Pierro, tra laudatori e detrattori

Mons Pierro, tra laudatori e detrattori

Nicola Russomando

La morte di mons. Gerardo Pierro, arcivescovo emerito di Salerno, avvenuta alle soglie dei novant’anni, induce ad una riflessione sul suo lungo episcopato salernitano, segnato da non pochi conflitti interni ed esterni alla chiesa. Innanzitutto, va detto che non poche delle difficoltà cui Pierro è andato incontro a capo della chiesa di Salerno sono da imputare ad una certa semplicità di approccio, connotata anche da una bonomia di fondo, con cui ha valutato persone e circostanze ai fini della decisione finale. Gran parte del suo ministero episcopale a Salerno è stato caratterizzato dalla fiducia riposta nella realizzazione di grandi opere, dal nuovo Seminario metropolitano all’Angellara Home, ex colonia S. Giuseppe, con tutto lo strascico di questioni giudiziarie che lo hanno visto al centro di procedimenti penali, il cui risultato finale è stato però di molto inferiore al clamore mediatico. Inoltre, con Pierro arcivescovo di Salerno, antiche e risalenti divisioni intra-ecclesiali sono esplose in forma pubblica per la prima volta. Così è stato per il caso dell’associazione “Il Gregge di Gesù Bambino”, che ancora oggi, sotto l’arcivescovo Bellandi, secondo successore di Pierro, ha visto prima il commissariamento, poi la recente revoca dello stesso senza che ne siano state rese note le motivazioni, laddove, in precedenza, l’arcivescovo Moretti, immediato successore, ne aveva approvato lo statuto “ad experimentum”. Altro fronte polemico dell’episcopato di Pierro è stato rappresentato dal contrasto con l’Istituto per il Sostentamento del Clero, organo giuridicamente autonomo dal Vescovo nella gestione dell’8×1000 statale e più in generale del patrimonio diocesano, organo di rilevanza pubblicistica a norma di Concordato, ma compulsato da Pierro per le difficoltà finanziarie insorte nella realizzazione delle opere. L’opposizione del presidente dell’epoca approdò regolarmente a Roma con tutto il seguito di veleni e polemiche per una gestione di tipo personalistico dell’ente. Sul fronte più propriamente ecclesiale, è da ricordare il Sinodo diocesano indetto da Pierro e in un’epoca in cui la sinodalità non era certo uno slogan di moda, come oggi con papa Francesco, di cui è traccia un ponderoso volume di atti per lo più di carattere sociologico, ma senza ricadute apprezzabili nel vissuto dei fedeli. Ogni vescovo è naturalmente espressione anche di una stagione ecclesiale e mons. Gerardo Pierro lo è stato come risultato della politica di nomine episcopali perseguita sotto il pontificato di Giovanni Paolo II. Un illustre canonista di quella stagione, il cardinale Francesco Pompedda, etichettò quei criteri sotto il titolo della “acquiescenza”, intendendo con questo termine un certo grado di affidabilità dottrinale e disciplinare in linea con quanto auspicato da Roma. Alberto Melloni, storico della Chiesa e capofila della “Scuola di Bologna”, fondata da Giuseppe Alberigo e nota per l’elevazione a metodo dello “Spirito del Concilio”, a tale proposito dichiarava che “vescovi acquiescenti non creano problemi”. La realtà si rivela di solito molto più complessa delle previsioni al punto che tutte le contraddizioni sopite o occultate dalla gigantesca figura di Giovanni Paolo II sono poi esplose in forma clamorosa fino a travolgere il pontificato di Benedetto XVI e a trovare una confusa composizione nel pontificato di papa Francesco di cui si intravedono più i problemi che le soluzioni. Monsignor Pierro amava ripetere, di fronte ai ricorsi dei suoi oppositori, che a Roma si può anche vincere, ma quel che conta è l’obbedienza, vincolo dei preti verso il loro vescovo. Tanto clamore di polemiche passate cede ora il passo di fronte alla meditazione sulla condizione umana che non è diversa per un prelato, se non per la responsabilità delle sue funzioni. La storia della diocesi di Salerno sarà pur sempre fatta anche sull’analisi obiettiva del lungo episcopato di Pierro, al di là di ogni tono facilmente laudatorio o, all’opposto, detrattorio. Sullo sfondo vi sono tutte le contraddizioni di un’epoca contrassegnata dal gigantismo delle opere materiali cui si contrappone il ridimensionamento della fede in una società che ormai va al di là della stessa secolarizzazione, non ponendosi più neppure il problema dell’esistenza di Dio. È chiaro che queste opere sono state concepite in un’ottica di ottimismo ecclesiale e nella fiducia della loro intrinseca bontà, restando peraltro stabilmente legate al nome di Gerardo Pierro. “Altri semina, altri anche mieterà”: è scritto nel Vangelo, e questo vale di sicuro in una prospettiva metastorica il cui giudizio è riservato a Dio. Invece, il giudizio sui fatti è materia della storia, in cui si inserisce l’episcopato di mons. Gerardo Pierro e non solo in una dimensione locale in quanto espressione non marginale di tutta una stagione ecclesiale.