Scarano, la Cassazione annulla la condanna - Le Cronache Ultimora
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Scarano, la Cassazione annulla la condanna

Scarano, la Cassazione annulla la condanna

Antonio Manzo

La Cassazione annulla la sentenza di condanna per riciclaggio per monsignor Nunzio Scarano e rinvia il processo alla corte di appello di Napoli. La Seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha disposto l’annullamento della sentenza della Corte di Appello di Salerno del 16 aprile 2024 con la quale monsignor Nunzio Scarano e la commercialista Tiziana Cascone erano stati condannati rispettivamente a cinque anni e tre mesi di reclusione e 5.000 euro di multa con le pene accessorie di legge il primo, e a due anni, cinque mesi di reclusione e 3.200 euro di multa la seconda, per i reati di riciclaggio aggravato continuato, disponendo anche il rinvio per nuovo giudizio nei confronti davanti alla Corte di appello di Napoli. Entrambi sono imputati per le accuse di usura e riciclaggio. Il prelato era stato responsabile dell’ufficio contabilità dell’Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica). Dopo ben dieci anni di processo, cade il ramo secco della Vaticano Connection. Cancellata la condanna di Salerno che in tribunale (primo grado) aveva portato alla condanna di Scarano e della commercialista Tiziana Cascone a tre anni. Dieci anni passati, in primo grado e poi in Appello per un reato insussistente. <La Cassazione ha ascoltato la nostra richiesta di verità per un delitto, riciclaggio, che non esisteva> ha sostenuto l’avvocato Riziero Angeletti che ha assistito monsignor Scarano con Carlo Longobardo docente di diritto penale all’università di Napoli. Dopo il rinvio alla corte di Appello di Napoli non si esclude, da parte delle difese, un esposto al Consiglio Superiore della Magistratura per la gestione dell’inchiesta condotta dalla procura di Salerno con un presunto accanimento inquisitorio, espresso persino con costose intercettazioni telefoniche poi divulgate nonostante non appartenessero logicamente alla funzione accusatoria. I giudici di Appello (Presidente Patrizia Cappiello, giudici Clemente e Conforti; il procuratore generale non fece replica) confermarono la sentenza per il reato di riciclaggio che sarebbe stato compiuto con i conti esteri degli imprenditori D’Amico. Gli armatori, ricchissimi, avrebbero inviato, secondo l’accusa, al Fisco una dichiarazione dei redditi infedeli, per una presunta evasione fiscale, mai accertata e mai provata. Accusa archiviata dal tribunale di Roma nel 2015 a favore dei D’Amico proprio in relazione ai rapporti con Scarano per presunta evasione fiscale. Che, quindi, non ci fu per i giudici romani. In primo grado i giudici del tribunale di Salerno si erano limitati ad affermare la sufficienza della “prova logica” non l’accertamento del reato presupposto. < Riciclaggio, ripulitura di danaro, cioè un reato pregresso. E dov’è il reato?> dice ora il professore Carlo Longobardo docente di diritto penale all’università di Napoli. Al centro dell’accusa della procura di Salerno c’era la opaca tracciabilità dei titoli come, ad esempio, quello di 60.000 euro pagati per restaurare il sarcofago di Papa Gregorio VII finanziato con denaro del cavaliere Antonio D’Amico che, secondo l’accusa, gestiva i fondi di beneficenza utilizzando la cassaforte vaticana di Scarano per riciclare fondi di dubbia provenienza dall’estero. Si trattava, quindi, di un processo che riguardava i flussi di denaro e, soprattutto, la loro provenienza presunta illecita. il Vaticano per disposizione e volontà precisa di Papa Francesco avviò una sorta di revisione della documentazione contenente i presunti reati contestati a Monsignor Scarano. Tant’è che incaricò una nota società di consulenza americana Promontory per un report di analisi con tutti i documenti contabili prodotti da Scarano non solo quelli oggetti del processo. L’analisi della società americana portò ad escludere eventuali reati commessi da Scarano nell’esercizio delle sue funzioni di contabile dell’Aspa. Questa circostanza tutt’altro che secondaria risultò decisiva per il riconoscimento del lavoro di Scarano mai entrata nella valutazione inquisitoria dei giudici salernitani. Ora è crollato il processo per riciclaggio , processo fondato secondo la difesa, sulla mancanza di un controllo da parte della Guardia di Finanza che avrebbe instradato gli stessi giudici in una condanna, già in primo grado, su una non ben spiegata “inaccettabile verifica etica” degli imputati. Scarano scontò una sorta di pena anticipata con un duro regime carcerario e restrizioni alla sua libertà, con successivi arresti domiciliari e il parallelo monitoraggio costante della sua vita effettuato perfino con costose intercettazioni telefoniche e ambientali disposte dalla procura impianti fatti installare nelle fessure del campanile della cattedrale di Salerno. Ma quelle intercettazioni, alcune delle quali impropriamente diffuse, riguardavano circostanze del tutto estranee al processo ma che servirono solo a prospettare una capacità delittuosa dell’imputato utilizzando così la perniciosa attitudine inquisitoria nazionale delle indagini “buco della serratura”.