Salerno. Il pontificale di San Matteo - Le Cronache Salerno
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Salerno. Il pontificale di San Matteo

Salerno. Il pontificale di San Matteo

di Olga Chieffi

E’ nella tradizione tutta salernitana l’ascendere in cattedrale e il saluto ai santi durante il solenne pontificale. Grandissima partecipazione dei fedeli alla messa che è stata officiata dall’Arcivescovo Monsignor Andrea Bellandi che ha passato il testimone per l’omelia a Frate Massimo Fusarelli Ministro generale dell’Ordine dei frati minori. Prima fila occupata dal presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, il sindaco Enzo Napoli, il Prefetto Francesco Esposito, il Questore Giancarlo Conticchio, il Sindaco di Pellezzano Francesco Morra Provincia, diversi rappresentanti dell’amministrazione comunale e i vertici provinciali delle forze dell’ordine. Frate Massimo Fusarelli, è riuscite con poche parole a legare tutto il dolore e i “rami storti”, per dirla con Aldo Masullo, che stanno avvinghiando la nostra società. Il messaggio è chiaro, decisivo nella vita e nella missione della Chiesa – anche di questa Chiesa pellegrina in Salerno – è coltivare la relazione “cordiale” con Dio e tra noi. San Matteo nel suo Vangelo ecclesiale richiama questa dimensione in 5,43-45: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”. Non basta un vago sentimento di amore al vicino: cane non mangia cane è un detto popolare: anche i cani hanno l’amore del prossimo. Quindi, il parallelo con Francesco, il poverello di Assisi parla dei sacerdoti, si riferisce alla misericordia nell’accettarli anche nella loro debolezza morale e pastorale. L’aggressività, spesso brutale, che registriamo oggi a tutti i livelli, dai social agli scambi verbali, è segno di un deterioramento del “Noi”, dove l’ego prevale e scioglie i legami che ci tengono uniti come comunità. Celebrare san Matteo ci deve aiutare a centrare questo focus, che ci chiede nuove sintesi ed esperienze reali di incontro e di solidarietà, oltre il puro soddisfacimento dei nostri bisogni. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. (Ef 4, 1-2). San Paolo si rivolge agli Efesini (4,1) e ricorda loro ciò che tiene insieme la comunità e lo fa ancora con il linguaggio dell’amore: “Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”. Poi, il passaggio sulla guerra. San Francesco 800 anni fa saliva alla Verna in una situazione personale di “grande tentazione” e di fatica con la sua stessa fraternità, che aveva preso strade diversa da quella che lui aveva abbracciato in povertà e umiltà. Frate Francesco non si arrende, se non all’amore di Cristo, inseparabile dal suo dolore. È in questo insieme che trova un cammino nuovo. Non ci spaventi o paralizzi nessuna situazione di blocco nel dialogo nel cammino comune. Lo Spirito del Signore ci invita a guardare le cose e le persone, le situazioni e le nostre realtà da un punto di vista più alto. Osiamo! Il Vangelo ci fa ascoltare la vocazione di Matteo, chiamato “un uomo”, perché il suo mestiere di esattore, pur spregevole, non gli ha tolto la dignità più profonda. Il racconto è veloce, si concentra tutto in uno sguardo, quello di Cristo verso di lui. Matteo si è «convertito» a Cristo, perché ha visto Cristo «convertirsi» a lui, fermarsi e girarsi dalla sua parte. Un incrocio di sguardi, occhi negli occhi, o solo quella luce salvifica che raggiunse San Matteo dentro un magazeno, o ver salone ad uso di gabella con diverse robbe che convengono a tale officio con un banco come usano i gabellieri con i libri, et danari, in atto d’aver riscosso qualche somma, dal qual banco San Matteo, vestito secondo che parerà convenirsi a quell’arte, si levi con desiderio per venire a Nostro Signore che, passando lungo la strada con i suoi discepoli, lo chiama all’apostolato; e nell’atto di San Matteo si ha da dimostrare l’artificio del pittore”. Queste le minuziose istruzioni del memorandum preparato dal cardinale Contarelli per Caravaggio Matteo come uno di quei «pubblicani» (agenti delle tasse) che Gesù menziona con disprezzo nel discorso della Montagna, e condensano la scena in pochissime parole: “passando per strada, Gesù vide un pubblicano chiamato Matteo seduto al banco delle imposte e gli disse “Seguimi!”. Ed egli si alzò e lo seguì”. Finale dedicato al termine Misericordia di cui ci ha parlato Francesco, che porta a vivere non come chi sa tutto e sta sempre sopra, gonfio del vento del proprio orgoglio e piccolo potere. Scrive a tutti i fedeli (2Fed IX, 47: FF199): “Mai dobbiamo desiderare di essere sopra gli altri, ma anzi dobbiamo essere servi e soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio. È qui che ci opponiamo alle forze di morte che suscitano guerre e odio, trasformando l’altro in nemico e la stessa Terra Santa e l’intero Medio Oriente in un campo di battaglia e di divisione. San Francesco ha attraversato la frontiera che lo separava dal mondo musulmano ed è andato – disarmato – nel campo di battaglia dove gli eserciti nemici si fronteggiavano. Non era un ingenuo. Conosceva la guerra e le sue logiche perverse. Ha osato pensare oltre e porre gesti di pace, paradossali e apparentemente inutili. Eppure, ancora ne parliamo e sono un lievito di pace e di incontro tra culture e fedi diverse. Francesco “piccolino” ci indica la strada del diventare piccoli, di non voler prevalere, nella fiducia che lo Spirito Santo qui agisce e prepara la strada all’umanità nuova. Un messaggio di pace che viene oggi dalla cattedra di Matteo nella città della Schola Medica, una grandezza compresa in tutto il mondo, della Civitas Hippocratica, un vero e proprio ponte teso nello spazio dei secoli, tra il mondo classico e quello medioevale: un ponte attraverso il quale passa il non sopito retaggio classico, per immettersi in una più ampia distesa dove confluirono strade di altre culture ed indirizzi. In una sede mai definita con precisione, un ebreo, un arabo, un latino ed un greco, si incontrarono per caso a Salerno. Il pellegrino greco di nome Pontus trovò rifugio per la notte sotto gli archi dell’antico acquedotto cittadino, attualmente sito in Via Arce, raggiunto dal latino Salernus, ferito e malconcio, il quale iniziò a curare le sue ferite e guardando alla loro opera guarire le ferite del mondo e far tornare al dialogo il nostro mondo con quelle delle fiabe, oggi coperto dalla polvere delle bombe.

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