I violinisti Salvatore e Vincenzo, si sono ritrovati ad incrociare gli archetti nella loro Salerno, ospiti dell’Associazione AthenaMuse, nel terzo appuntamento della rassegna dedicata alle Primule Musicali. Perfetta esecuzione dei due concerti di Antonio Vivaldi. Bis sulle note di una ninna-nanna di famiglia
Di Olga Chieffi
Chi ama l’arte, ama il rischio e la sfida, rompe gli equilibri e brama tentare l’impossibile, per una causa, per un principio, in difesa della verità, per essere d’esempio alle future generazioni: la ricompensa è l’onore di trasmettere qualcosa, di accendere una scintilla in chi viene dopo, un piacere puro, “gratuito”. E’ questo il messaggio pervenutoci dalla performance dei violinisti Salvatore e Vincenzo Quaranta, ritrovatisi a incrociare i loro archetti a Salerno, nella chiesa di Sant’Agostino, ospiti della rassegna Primule musicali, promossa dalla Associazione Culturale AthenaMuse, in collaborazione con Scuola Italiana d’Archi e la sua orchestra giovanile, sotto la direzione dei maestri Joao Carlos Parreira Chueire e Stefano Pagliani. Nessuna “primula” solista in questo penultimo appuntamento in cartellone, che chiuderà il 16 giugno, nella chiesa di San Benedetto, ma l’intera orchestra di giovanissimi è stata “battezzata” dai fratelli Quaranta, solisti e direttori. E’ stato Salvatore Quaranta ad inaugurare la serata con “ Il favorito” di Antonio Vivaldi, in Mi minore RV 277 dall’op.XI, col suo energico motto formato da un arpeggio ascendente, la linea melodica frastagliata e adornata dell’Andante, che va a sublimarsi nell’Allegro finale, dal ritmo danzante. Alleggerimento della massa sonora e la purezza assoluta e difesa della bellezza della pagina, una mobilità totale nella dinamica e nell’articolazione: nulla di grandioso o monumentale, ma tutto vivo e luminosissimo, in cui si è “sciolta” la filologia in un risultato di ottimo livello. Vincenzo Quaranta ha, invece, esordito con il concerto in Re minore BWV 1052 di Johann Sebastian Bach, un originale perduto, una trascrizione celebre per clavicembalo, l’ombra di Vivaldi, sulla partitura, progressioni armoniche e veste ritmica dei temi che alludono senza troppe reticenze alla tessitura dei lavori italiani. L’incontro tra la fisionomia severa degli archi e i lirici lineamenti del solista, nell’Adagio, ricorda il tono mistico di molte arie vocali ispirate a soggetti sacri, così come l’Allegro finale evoca Vivaldi, roteando con un’inventiva inesauribile attorno a un tema quasi ossessivo. Un concerto non certo famoso, in cui i ragazzi hanno incontrato diversi ostacoli, un po’ in tutti i movimenti, in cui Vincenzo ha messo a servizio la sua esperienza a servizio dell’insieme. Violinista che può fare dello strumento ciò che vuole, Vincenzo e, per fortuna ha il gusto necessario e sufficiente per non approfittarne troppo: all’abilità si aggiungono una tecnica perfetta e una sonorità affascinante con cui ha sorvolato tutta l’orchestra con insostenibile leggerezza di voce che ha saputo dichiararsi, al tempo stesso, di una bellezza brillante e impalpabile, in cui l’incorporeo si è fatto incantesimo di emozioni stupite, nel suo giocare su ogni nota, schizzante un microcosmo di memoria cusaniana. Quindi, i due fratelli hanno scelto due pagine funamboliche, a cominciare dalla Ridda dei Folletti di Antonio Bazzini, uno Scherzo fantastico, dalla difficoltà tecnica incredibili, che Salvatore ha dovuto eseguire con sostegno molto “liquido” da parte dell’orchestra, che ci ha tenuto in ansia fino alla fine. Il tratto più evidente della musica a cavallo tra il tardo ’800 e il primo ’900 è l’ampio spettro di esperienze linguistiche, che vanno dall’approfondimento delle possibilità sonore degli strumenti, soprattutto attraverso l’esplorazione virtuosistica di compositori-esecutori ed ecco il Preludio e Allegro in mi minore, di Fritz Kreisler, nello stile di Pugnani, scelto da Vincenzo, che si muove su due piani: da una parte l’esplorazione virtuosistica, dall’altra il ricalco di musica del passato. Due movimenti in cui Kreisler articola figurazioni esplorando in successione i registri del violino, prima il grave, poi l’acuto, per giungere, nel secondo movimento, a uno straordinario sfogo virtuosistico, che ha rivelato ancora una volta il sentire violinistico del solista. Finale vivaldiano, con il concerto in La Minore op.3 n°8, sicuramente il compositore più congeniale ad un’orchestra ancora acerba per dar giusto sostegno in partiture così impegnative, evocante quel filo conduttore che percorre la sua intera produzione strumentale, caratterizzata da un’ansia onnicomprensiva, da un demone bruciante che spinge i musicisti ad una continua sperimentazione. I Quaranta hanno reso sensibile una concezione della musica e, quindi, della vita, della natura, come forza di fare, realizzazione, movimento, placarsi, patire, sopportare, amare. Infatti, Vivaldi che pone le note, imita lo sviluppo dell’elemento naturale, in quanto genio per nascita ed è, in questo senso, egli stesso forza attiva, creatrice, istinto puro, contrasto dialettico, originale sé, “linguaggio della passione”, per dirla con Herder. Applausi per tutti e dopo tanto virtuosismo e tensione, la distensione e l’omaggio al nonno di Salvatore e Vincenzo, con una ninna-nanna da lui composta, a sigillo di una serata satura di espressione emotiva e sentimentale.