Di Martina Masullo
Erano gli anni Ottanta quando tra gli abitanti della Valle dell’Irno iniziarono ad aumentare i casi di tumore e malattie autoimmuni, soprattutto a carico delle alte e basse vie respiratorie. La crescita delle patologie era particolarmente marcata nelle zone che circondavano le Fonderie Pisano, la fabbrica che si occupa della fusione di ghisa e bronzo, nata nel XIX secolo e trasferitasi nella zona alta di Fratte nel 1961. È proprio nei primi anni Sessanta che le Pisano diventano una società per azioni, partecipando attivamente a quella forte spinta di crescita che ha caratterizzato il boom economico di quegli anni. La nascita e la presenza sempre più massiccia di grandi fabbriche in tutta Italia raccontavano il benessere e lo sviluppo dei territori in quell’epoca, in cui acciaierie, raffinerie, industrie chimiche e fonderie rappresentavano il grande sogno dei lavoratori che dalle campagne si spostavano nelle città con la speranza di trovare lavoro come operai negli stabilimenti italiani. Tuttavia, parallelamente alla crescita industriale delle città un’altra trasformazione che stava prendendo forma a Salerno era l’incremento demografico e il conseguente insediamento urbano, tra le altre, anche nella zona circostante le Fonderie Pisano. Mentre le palazzine di via dei Greci venivano costruite e via via abitate, sempre negli anni Ottanta i vertici delle Pisano – nel pieno della propria crescita – decidono di espandere i confini dell’azienda ben oltre il Fiume Irno che un tempo costeggiava la fabbrica. Superando la carreggiata di via Dei Greci e proprio a bordo del fiume, viene costruito il deposito delle Fonderie Pisano, proprio di fronte alla fabbrica.
Negli stessi anni, iniziano anche le prime proteste da parte dei cittadini del posto che attribuiscono l’aumento delle malattie oncologiche all’inquinamento prodotto dalle Pisano. Per la prima volta, dunque, viene sollevato il problema dell’inquinamento ambientale ed atmosferico della Valle dell’Irno e individuate le prime potenziali responsabilità dell’opificio nell’aumento di patologie e morti tra gli abitanti della zona. Sono le famiglie del circondario a scendere in piazza prima ancora che la vicenda arrivasse alle istituzioni e al resto della popolazione salernitana. I fumi prodotti dalle fonderie si depositano in forma di polveri sottili sui balconi, sul bucato steso fuori ad asciugare e sulle finestre delle abitazioni: la cittadinanza inizia a comprendere che c’è qualcosa che non va in quella convivenza, forzata perché inconsapevolmente nociva, tra industria e uomo. Negli anni, i casi delle medesime patologie tra gli abitanti della Valle dell’Irno non sono diminuiti, anzi le tante morti sospette sono rimaste inizialmente silenti e il dramma di troppe storie si è consumato tra le pareti di quelle case dalle facciate annerite.
La questione delle Fonderie Pisano inizia a riscuotere una forte risonanza nei primi anni Duemila, quando nasce il Comitato Salute e Vita, di cui è attualmente presidente Lorenzo Forte, attivista e politico salernitano, che nella lotta per la chiusura alle Fonderie Pisano è sempre stato in prima fila. Tra le proteste in piazza, i cortei e le fiaccolate in memoria di chi negli anni aveva perso la propria battaglia per la vita, i sit-in e le innumerevoli lettere inviate alle istituzioni salernitane in cerca di risposte e azioni concrete, il Comitato Salute e Vita di Forte è diventato un punto di riferimento fondamentale per i cittadini di Salerno e ha portato avanti, formalmente e non, un prezioso lavoro che la politica e le istituzioni, troppo spesso, non hanno saputo gestire.
Una delle figure politiche centrali in questa vicenda è, senza dubbio, l’attuale Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca che, già quando rivestiva la carica di sindaco di Salerno, si è sempre detto convinto della necessità di trasferire le fonderie in un altro luogo, lontano dalle abitazioni sorte durante gli anni, eppure dopo tutto questo tempo la fabbrica è ancora lì, nel pieno della propria produttività.
Era il 2006 quando De Luca – allora primo cittadino salernitano – propose per la prima volta un accordo ai proprietari dell’azienda per la sua delocalizzazione giungendo ad un accordo: trasferire la fabbrica in cambio delle concessioni edilizie residenziali e commerciali sui terreni che sarebbero stati liberati dallo stabilimento industriale. Ma cosa è stato di questo accordo? A marzo del 2007, il Tribunale di Salerno con la sentenza N.415/2007 condanna i Pisano per l’inquinamento prodotto dallo stabilimento. Il processo si chiude con un patteggiamento per danno ambientale, una multa di poche migliaia di euro e con l’Agenzia Regionale per l’Ambiente della Campania, l’ARPAC, della sezione di Salerno che dichiara di non riscontrare anomalie o sforamenti. Ma se il danno ambientale sussiste, perché le Fonderie Pisano continuano a lavorare a pieno regime?
Nel 2016, dopo due mandati di Vincenzo De Luca come sindaco di Salerno e dopo un secondo processo per danno ambientale nel 2015 – legato allo sversamento delle acque reflue – si conclude con una multa da 800 euro per i proprietari delle fonderie. Ben dieci anni dopo, dunque, la situazione è esattamente la stessa. L’idea dell’allora primo cittadino salernitano è ancora quella che l’azienda debba adeguarsi “alle prescrizioni di carattere sanitario e ambientale prendendo poi necessariamente la strada della delocalizzazione”, tuttavia concretamente politica e istituzioni non muovono passi concreti verso lo spostamento dell’impianto industriale.
A inizio 2016, la magistratura dispone l’intervento dell’Arpac della sezione di Caserta – che si è occupata anche della Terra dei Fuochi – e le analisi dell’istituto, che si concludono il 26 febbraio, evidenziano diverse criticità ambientali riscontrate nello stabilimento delle Fonderie Pisano. Il presidente della Regione Campania, De Luca, emette quindi un provvedimento di sospensione temporanea delle attività. Sui social e tramite i Tg locali, si susseguono le immagini dei comitati, dei cittadini e degli attivisti che negli anni si sono uniti alla lotta in piena esultanza: dopo tanti anni di battaglie, per la prima volta è possibile davvero avere giustizia per i tanti, troppi concittadini che hanno pagato a caro prezzo e con la propria vita le scelte sciagurate delle amministrazioni che si sono susseguite nel tempo.
Il 9 marzo arriva, però, da Palazzo Santa Lucia l’ok per riprendere le attività produttive. Rimane iconica l’immagine di un presidio permanente che gli attivisti hanno messo in campo proprio ai piedi dei cancelli delle Fonderie Pisano e, in particolare, di Martina Marraffa, una ragazza di trent’anni che ha perso per tumore il padre e uno zio, che pianta la sua tenda all’entrata della fabbrica e passa alcuni giorni e alcune notti a protestare. Una delle questioni più cocenti nella vicenda delle Fonderie resta il difficile equilibrio tra il diritto alla salute e il diritto al lavoro. Proprio per questo motivo, il presidio permanente del 2016 si conclude in rissa: alcuni operai delle Pisano si scagliano contro gli attivisti e si richiede l’intervento delle forze dell’ordine per placare il caos. Via dei Greci, in quei giorni, diventa palcoscenico di una delle pagine più cruente e esasperate nella vicenda dell’inquinamento ambientale delle Fonderie Pisano.
Dopo alcune chiusure (e altre relative riaperture), oggi le Fonderie Pisano sono una fabbrica che è nel pieno della propria attività produttiva. Negli ultimi sette anni, la battaglia per la chiusura delle Fonderie Pisano è andata avanti e il nesso di causalità tra le attività della fabbrica e le patologie e le morti sospette tra la popolazione della Valle dell’Irno non è stato ancora confermato, nonostante i numerosi studi e le analisi che si sono susseguiti negli anni. Ma a raccontare gli ultimi risvolti della storia, è giusto che siano i protagonisti stessi della vicenda.