“Senza parola non si può tacere, senza dialogo non ci può essere silenzio. Senza la memoria, senza l’immenso corpo storico della cultura da cui il corpo esistenziale della nostra coscienza emerge, resteremmo non in silenzio, bensì muti. Le parole non si agiterebbero nell’anima, sussurrate, trattenute dall’uscire all’aperto, nella piazza del dialogo pubblico, come per pausa o per attesa, ma semplicemente non esisterebbero, anzi non sarebbero mai esistite. Senza memoria, il dialogo non sarebbe custodito nel silenzio, anzi non nascerebbe neppure. Assente sarebbe il Sentir-si”. Facciamo nostre le parole del filosofo Aldo Masullo per inaugurare una nuova rubrica, dedicata interamente ai testimoni di quella gloriosa istituzione che fu l’ Orfanotrofio Umberto I, su suggerimento di Vincenzo Sica che continua ferace e indefessa la sua missione, votata ritrovare e riconnettere tessere e personaggi di quanti furono ospiti del famigerato e temuto “Serraglio”, il social Facebook, sul quale ha fondato nel 2012 unitamente a Michele Sirico un gruppo molto seguito “Il Serraglio” Orfanotrofio Umberto I Canalone, i cui iscritti tutti “serragliuoli”, come amano orgogliosamente definirsi, e parenti di quanti hanno condiviso quella esperienza, pubblicano immagini, nomi ricordi, relativi a quella istituzione nata nel 1813, quale deposito di mendicità, negli ambienti conventuali di S. Nicola della Palma e S. Lorenzo, poi trasformatasi in orfanatrofio con scuola musicale nei primi mesi del 1819, alla quale negli anni si aggiunsero le scuole di calzoleria, meccanica, tipografia, ceramica, falegnameria, scomparsa nel 1977.
E’ questa una istituzione legata ai nomi di Gioacchino Murat, come un po’ tutti i collegi della nostra città e provincia e del Sindaco Alfonso Menna, che fece rinascere negli anni ’50 la gloriosa scuola, rendendola umana e vivibile, restituendole quel forte legame con la città, attraverso l’eccelsa qualità della sua banda musicale e maggiormente con la tipografia, che stampava tutti i tipi di manifesti e libri, sino agli inviti di nozze. Il gruppo de’ Il Serraglio, ha inteso, quindi, riannodare quelle fila, tra chi ha vissuto e, ancora oggi, ringrazia quell’istituzione, dura, severa, a volte inumana, ma che ha preparato alla vita schiere di uomini, attraverso lo studio, il sacrificio, la fame. E’ noto che dove termina la testimonianza inizia la storiografia e noi invitati da Vincenzo Sica, concederemo di settimana in settimana il giusto spazio a quanti, passati dagli spazi dell’Orfanotrofio Umberto I, vorranno raccontarsi aprendo una finestra anche sui fatti cittadini di diversi decenni. In questi otto anni di vita del gruppo Fb, si sono state organizzate diverse riunioni tra Roma e Salerno di ex ospiti dell’istituzione e una, in grande stile, dovrebbe svolgersi proprio qui in città anche per ritrovarsi in occasione del quarantennale della fondazione del nostro conservatorio, figlio proprio della scuola di musica, poi Liceo musicale, dell’ Orfanotrofio Umberto I. Di seguito i primi ricordi di due allievi formatisi tra quelle mura
“La nostra quotidianità era fatta di rigore, molte volte in fila per due con istitutori che delegavano ai capisquadra i nostri movimenti, di ore in uno spazio enorme che non so perché chiamavamo “villetta”. Si giocava a “pezzotto” che rubavamo al calzolaio, ovvero un’insieme di ritagli di cuoio e stracci incollati e cuciti insieme. Il “pezzotto”era il nostro pallone, eravamo talmente tanti a giocare in quello spazio che si facevano due o tre porte e molte volte si ci confondeva perché non sapevi se era o meno il tuo di avversario…la vita lì scorreva lenta, infinita, motivo per cui aspettavi le feste comandate per passare un po’ di tempo a casa. L’ Orfanatrofio Umberto I è stato un pezzo importante della storia salernitana, a ritrovarci tutti gli ex si formerebbe una cittadina…bei ricordi? Non so ma, certamente un ricordo passato che ti resta dentro: gli ex serragliuoli hanno un qualcosa che si trascinano dietro per tutta la vita.” Ercole Leo (allievo Umberto I-1968).
“Eravamo oltre 104 mischiati tra di noi, ma rimaneva il magone della famiglia, appena salutata. Ore 12.30 adunata in villetta per il sospirato pranzo, salivamo le scale, fino al refettorio sempre in fila per due, sotto lo sguardo vigile dei professori attenti a tavoli di sei-otto ragazzini con la scodella piena di pasta che il capo tavola o il professore distribuiva. Prima del pranzo il segno della croce e la preghiera, poi via a infossare il cucchiaio o la forchetta per ingoiare subito la pasta, il secondo accompagnato sempre con contorno di patate o piselli, la frutta e qualche volta, la domenica, non sempre, un dolce. Al termine del pranzo, di nuovo tutti in fila per due si rientrava in camerata per un riposino: chi ascoltava la radiolina, chi giocava, chi riposava sul lettino, fino alle 17.00 ora di cena adunata nella villetta. La sera ammaina bandiera, un po’ di gioco in villetta, quindi, si rientrava in camerata. Per i più fortunati un po’ di tv fino a carosello e poi, tutti a letto si spegneva la luce. L’istitutore se ne andava e noi tutti a dormire, a sognare, a piangere.” Vincenzo Sica (allievo Umberto I, 5° Camerata-1968)