Nicola Russomando
L’arcivescovo di Salerno Andrea Bellandi ha emanato il 27 agosto scorso un decreto di riforma dei Vicari foranei insieme con la ridefinizione territoriale delle foranie, in particolare quella di Eboli che si ritrova aggregata al territorio dell’antica diocesi di Campagna. I vicariati foranei, infatti, sono circoscrizioni ecclesiastiche endo-diocesane, presiedute da un vicario foraneo, scelto direttamente dal vescovo per un triennio tra i presbiteri di quella frazione territoriale, per assicurare un coordinamento efficace tra vescovo e presbiterio. Tuttavia, se questo corrisponde alle linee dell’istituto così come delineato dal Codice di diritto canonico nell’ambito della legislazione universale, il decreto di Bellandi si segnala per il suo riformismo. Infatti, all’art. 9 dove si disciplina la composizione del vicariato foraneo, si legge che sono membri di diritto tutti i presbiteri che risiedono nel vicariato, anche cessati dall’ufficio per limiti di età, i religiosi, i sacerdoti con incarichi sovra o extra parrocchiali, i diaconi permanenti e -novità assoluta- alcuni laici. Su questo punto, evidentemente, Bellandi recepisce le suggestioni della svolta sinodale profilate dalle assemblee nazionali della Chiesa italiana con tutta la prudenza e circospezione richieste dalla materia. La partecipazione di fedeli laici è prevista in cinque unità per i vicariati con popolazione superiore a 50.000 abitanti, al di sotto nella misura di tre laici. Viene precisato che, per quanto possibile, in questo numero dovranno essere scelti almeno due “referenti sinodali”, che si immagina siano laici già coinvolti nel processo sinodale nazionale e selezionati negli apparati diocesani, processo che il prossimo 24 ottobre prenderà il suo abbrivio definitivo verso l’approvazione del documento predisposto dalla segreteria generale. Documento, è bene ricordarlo, su cui si sono misurate le opposizioni incrociate di gruppi LGBTQ+ e componenti femministe, tesi entrambi ad un riconoscimento esplicito nella compagine ecclesiale, con rivendicazioni anche ministeriali in ambito femminile. E, in tema di definizioni, risulta folgorante la chiosa del vescovo norvegese Erik Varden alla sigla LGBTQ+ quale “acronimo ineffabile che indica un regno apparentemente infinito di possibilità, come un’appropriazione secolare del Tetragramma”. Cosicché, l’unico risultato conseguito è stato quello di far saltare l’approvazione di cinquanta proposizioni prevista semplicisticamente dalla CEI già per l’aprile scorso. Tornando al decreto di Bellandi dalla portata più limitata, l’innovazione risulta pur circoscritta da un limite ben preciso. Laddove sono in causa “dinamiche e situazioni personali di presbiteri, afferenti questioni delle parrocchie”, sono esclusi dall’esame e dalla discussione i laici e gli stessi diaconi permanenti, che pure appartengono, ad ogni effetto, al clero. Evidentemente non vale la semplice spiegazione dell’esclusione nei termini del rispetto del diritto alla privacy, visto che il collegamento è stabilito in ordine all’attività parrocchiale, generalmente sotto gli occhi di tutti. Un limite in verità piuttosto anodino, che preserva quell’idea di segretezza intra-ecclessiale, spesso all’origine di vicende incresciose poi rimbalzate agli onori della cronaca, o, nella migliore delle ipotesi, di fraintesi comunicativi in danno delle comunità parrocchiali. Allo stesso modo, per quanto riguarda l’elezione di un rappresentante del vicariato nel Consiglio presbiterale, “la voce attiva e passiva”, com’è logico nel caso di specie, resta riservata ai soli presbiteri. La stessa selezione dei laici tra i membri del vicariato foraneo avviene a cura dei soli presbiteri. Di fatto, sembra di capire che la funzione riservata ai laici nei vicariati foranei sia di mera recezione di quanto trasmesso dal vicario nelle riunioni mensili su “varie comunicazioni riguardanti le attività diocesane di maggior rilievo, nonché ogni atto di Curia rilevante per la vita della Forania”. Dall’esame del decreto di Bellandi emerge tutta la prudenza, se non la circospezione, di un riformismo ispirato alle linee-guida dell’attuale corso della Chiesa in Italia tra Francesco e Leone. Il refrain è costituito dal continuo richiamo alla sinodalità nel governo della Chiesa, da Francesco promossa a “mentalità”, da Leone ridimensionata a “stile”. Cosa significhino compiutamente queste espressioni è difficile da capire. Un contributo però ci viene fornito dallo statuto dei vicariati foranei della diocesi di Salerno che, nei processi decisionali, mantiene ferma la priorità della potestà d’ordine nella giurisdizione con forti limitazioni alla partecipazione piena e consapevole dei laici. Sta di fatto che la dicotomia potestà d’ordine – potestà di giurisdizione è stata superata nella costituzione sulla Curia romana “Praedicate Evangelium” voluta da Francesco, che vede oggi laici al vertice di dicasteri romani con tutte le aporie e contraddizioni di questa epocale svolta teologico-giuridica.





