di Erika Noschese
Il governo nazionale ha ufficialmente dato il via all’iter per l’approvazione del nuovo Codice dell’Edilizia e delle Costruzioni. Lo scorso 4 dicembre, infatti, il Consiglio dei Ministri ha approvato il Disegno di Legge delega di “razionalizzazione e riordino dei regimi amministrativi edilizi e urbanistici e dei connessi titoli abilitativi“.
Ad affrontare il tema Gianluca Urti, ingegnere e fondatore di Urti RE Projects, società multidisciplinare attiva a livello nazionale nelle valutazioni immobiliari, nel project management e nella consulenza tecnica per investitori istituzionali. Con oltre quindici anni di esperienza sul campo, Urti offre una lettura tecnico-strategica del nuovo Codice dell’Edilizia e delle trasformazioni in corso nel settore delle costruzioni.
Il governo approva il nuovo codice dell’Edilizia e delle Costruzioni. In sintesi, quali le novità?
«Era ora. Il Testo Unico del 2001 era diventato un labirinto: ventiquattro anni di modifiche stratificate ed interpretazioni che cambiano da un Comune all’altro. Orientarsi era diventato complicato per tutti: professionisti, imprese, cittadini. Il nuovo Codice rimette ordine. La novità più attesa è la sanatoria semplificata per gli immobili costruiti prima del 1° settembre 1967, la data spartiacque prima della quale spesso non serviva nemmeno la licenza edilizia. Attenzione, non è un nuovo condono bensì uno strumento per chiudere pratiche aperte da decenni. Si abbandona poi il concetto di “doppia conformità”, quel meccanismo che impediva di sanare situazioni legittime nella sostanza. Vengono infine ridefiniti anche i titoli abilitativi (CILA, SCIA, permesso di costruire) con criteri finalmente chiari e uniformi su tutto il territorio nazionale. Poi c’è la digitalizzazione: un unico punto di accesso per tutte le istanze, banche dati che dialogano tra loro, un fascicolo digitale per ogni edificio. Il silenzio-assenso viene rafforzato e arriva il silenzio-devolutivo, per velocizzare le tempistiche di gestione pratica; in una regione come la Campania, dove i tempi delle amministrazioni sono spesso lunghi, queste novità possono fare davvero la differenza. La rigenerazione urbana è ancora una volta centrale: permessi in deroga come strumento strategico, oneri modulabili per incentivare interventi sostenibili. Il potenziale è enorme: 660 miliardi di investimenti nei prossimi venticinque anni, 100.000 posti di lavoro, oltre 320 milioni di metri quadrati di vuoti urbani da valorizzare».
Si parla di regolarizzazione degli abusi storici. Secondo lei è la strada giusta per ripristinare la legalità?
«Assolutamente sì, ed è importante capire di cosa parliamo. Gli immobili ante 1967 hanno quasi sessant’anni: generazioni di proprietari si sono succedute ed il territorio è cambiato radicalmente. Pretendere oggi una “doppia conformità” su queste situazioni non ha senso pratico e ottiene unicamente l’effetto della paralisi edilizia. Per quanto attiene i condoni, non c’è riapertura dei termini ma viene definita una data certa per la chiusura delle pratiche aperte. Ci sono infatti famiglie ed imprese che hanno presentato domanda di sanatoria nel 1985 e attendono ancora risposta, dopo quarant’anni di limbo. Si tratta di case e di immobili ad oggi formalmente “abusivi”, per cui si incontrano difficoltà nella vendita e nell’ottenimento di prestiti bancari e che non accedono ai bonus. Ritengo quindi si tratti di una risposta di buon senso per le migliaia di pratiche in attesa: sanatoria oppure demolizione se l’immobile è in contrasto con i vincoli di zona».
Qual è lo stato di salute del settore edile?
«Il settore sta attraversando una fase di transizione. Fino al 2023 la ripresa era evidente: avevamo recuperato i 90 miliardi persi nel decennio di crisi, le imprese si erano rafforzate, l’occupazione cresceva. Il 2024 ha segnato una frenata — investimenti giù del 5,3%, manutenzione straordinaria in calo del 30% con la riduzione dei bonus — e per il 2025 si prevede un ulteriore rallentamento. Il problema è, soprattutto, nell’edilizia privata: le compravendite residenziali hanno rallentato, i mutui sono diventati più costosi e il mercato del nuovo sconta anni di scarsa produzione. In Italia si costruiscono appena 1,6 nuove abitazioni ogni mille abitanti e siamo ultimi in Europa, ben lontani da Francia e Germania che viaggiano sopra il 3. In città come Milano la carenza di nuovo prodotto residenziale sta diventando strutturale: chi cerca casa si trova davanti un’offerta dominata dall’usato, spesso da ristrutturare integralmente. A Salerno e provincia vediamo dinamiche a due velocità: il capoluogo e la fascia costiera tengono, con una domanda sostenuta soprattutto sulla riqualificazione; l’entroterra e le aree interne fanno più fatica e tendono a svuotarsi. In generale. il patrimonio edilizio è spesso datato e necessita di interventi importanti. La rigenerazione urbana non è più un’opzione ma una necessità. La buona notizia è che le basi per ripartire ci sono: il patrimonio da rigenerare è enorme e il nuovo Codice può sbloccare migliaia di situazioni ferme. Se accompagnato da incentivi stabili e credito accessibile, il settore ha tutte le carte per tornare a crescere».
Si parla di semplificazione e sburocratizzazione. La strada è ancora lunga ma è sicuramente un passo avanti.
«Un passo avanti importante. Il nuovo Codice prevede digitalizzazione integrale, tempi certi, procedure proporzionate, titoli abilitativi ridefiniti con criteri uniformi. Le premesse ci sono tutte. La sfida ora è l’applicazione: se i decreti attuativi saranno scritti bene e le amministrazioni locali riceveranno le risorse e l’organico per adeguarsi, possiamo davvero aprire una stagione nuova. La direzione è quella giusta».
Di cosa ha bisogno oggi il settore dell’Edilizia?
«Di stabilità normativa prima di tutto. Negli ultimi anni gli incentivi fiscali hanno cambiato aliquota continuamente, dal 110% giù fino al 36% attuale. Le imprese hanno cicli di progettazione lunghi e gli investitori hanno bisogno di regole che non cambino ogni sei mesi. Un incentivo prevedibile e stabile per cinque anni vale più di un bonus alto con vita breve. Gli investitori internazionali guardano con interesse al nostro patrimonio immobiliare — posizione geografica, qualità della vita, prezzi ancora competitivi rispetto ad altri mercati europei — ma troppo spesso si fermano davanti all’incertezza normativa. Un quadro di regole chiaro e duraturo è la prima condizione per attrarre capitali stranieri, soprattutto nei settori della riqualificazione turistica. Per un territorio come il nostro, che ha tutto da guadagnare da questo tipo di investimenti, è un passaggio fondamentale. Poi serve accesso al credito: i finanziamenti bancari per le costruzioni si sono ridotti significativamente dal 2007 a oggi e nel Mezzogiorno le condizioni sono spesso più stringenti. Ma soprattutto serve una visione: una politica di rigenerazione urbana come priorità nazionale. Non solo costruire nuovo, ma riqualificare il patrimonio esistente. In provincia di Salerno ci sono centri storici di grande valore che aspettano interventi da anni, borghi che potrebbero rinascere con le giuste politiche. Le competenze ci sono, le opportunità anche, serve solo la volontà politica ed amministrativa di coglierle».
Si parla di crisi del mattone, da cosa nasce secondo lei quest’emergenza?
«Si parla spesso di una crisi del mattone, ma in realtà siamo di fronte a un fenomeno più complesso, determinato dalla convergenza di vari fattori macroeconomici e strutturali. L’aumento dei tassi di interesse ha rallentato l’accesso al credito, mentre l’inflazione ha innalzato in modo significativo i costi di costruzione, comprimendo i margini delle imprese. A questo si aggiunge un tema demografico rilevante: la riduzione della popolazione giovane, l’invecchiamento del patrimonio edilizio e una domanda abitativa che si polarizza tra grandi città in forte attrazione e aree interne in progressiva rarefazione. Il paradosso del mercato italiano è evidente: un patrimonio residenziale con oltre il 27% di abitazioni vuote e, contemporaneamente, una difficoltà crescente per molte famiglie nel comprare casa. Le città metropolitane attraggono domanda ma presentano prezzi elevati e un’offerta nuova limitata; le aree interne, invece, soffrono spopolamento e scarsità di investimenti. La conseguenza è un mercato dominato dall’usato, spesso in condizioni tali da richiedere interventi significativi di efficientamento e riqualificazione. Il nuovo Codice dell’Edilizia non risolve tutte le criticità del settore, ma introduce finalmente un quadro di regole più semplice, uniforme e prevedibile. Questo riduce l’incertezza normativa e rende più agevole programmare interventi e investimenti. Se sarà supportato da politiche abitative stabili, strumenti finanziari adeguati e amministrazioni locali in grado di applicarlo con efficienza, potrà davvero segnare un cambio di passo».





