Una Traviata allo specchio - Le Cronache
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Una Traviata allo specchio

Una Traviata allo specchio

di Olga Chieffi

Lo specchio quale Vanitas, quale strumento di conoscenza del visibile e dell’invisibile, lo specchio quale simbolo di seduzione, sarà il protagonista della Traviata, presentata ieri mattina nel foyeur del teatro Verdi, qualche ora prima della prova generale, dal segretario artistico del massimo, Antonio Marzullo, dal direttore d’orchestra Pier Giorgio Morandi, che sarà alla testa dell’ Orchestra Filarmonica Salernitana e del coro preparato da e dal regista Massimo Gasparon, alla presenza del cast, che rialzerà il sipario del massimo su di un’opera lirica dopo quasi due anni di assenza. Due anni fantasmatici perché l’opera, lo spettacolo, è fatto anche dal pubblico, altrimenti viene meno l’agone, la sfida, tra l’artista che si esibisce e l’uditorio che parimenti rischia nell’affermare il proprio giudizio. Sarà un omaggio anche a tutti noi e al nostro teatro con questi specchi, inclinati e al latere dove si rifletterà anche la sala per riprendere quel gioco serio di cui noi tutti facciamo parte. E’ quanto ha rivelato il regista Massimo Gasparon che ha lavorato a quattro mani con lo scenografo Alfredo Troisi per ideare e montare questo nuovo allestimento, che saluterà una Traviata nel rispetto della purezza filologica della pagina verdiana nella sua globalità, ovvero in partitura e nei consigli di regia, prendendo i suoi tempi e i suoi luoghi, ovvero offrendo i giusti intervalli tra gli atti e le scene, attraverso anche i giochi di luci e colori che segneranno ogni atto, dall’azzurro e nero del primo, all’ocra e i verdi del secondo al viola del salotto di Flora. Non avrà mai cedimenti nei secoli la Traviata di Giuseppe Verdi, ed ecco ritornare sul palcoscenico del massimo cittadino, lo splendido soprano Nino Machaidze, la quale avrà al suo fianco, il tenore Antonio Poli, che debuttò a Salerno proprio nel ruolo di Alfredo, poi un Duca e la messa da Requiem, che ritroviamo oggi più consapevole, avendo traversato quella “sottile” linea d’ombra che lo ha portato a cantare nei grandi teatri, ormai da confermata voce verdiana e, ancora l’esperienza di Massimo Cavalletti, per il ruolo Giorgio Germont, mentre a completare il quartetto di voci vi sarà Sofia Koberidze, che darà corpo a Flora Bervoix. Con loro sul palcoscenico Gastone, Francesco Pittari, il barone Douphol e un commissionario, Angelo Nardinocchi, Annina, Miriam Artiaco, il marchese d’Obigny, Maurizio Bove, il dottor Grenvil, Carlo Striuli, Giuseppe, Salvatore De Crescenzo, mentre due etoile agli ordini del coreografo Luigi Ferrone andranno ad impreziosire le danze, Anbeta Toromani e Alessandro Macario. Il tanto celebrato “moderno”, così di moda, ne’ “La Traviata” lo troviamo proprio in Verdi, in primo luogo per la tempestività (la versione teatrale del romanzo di Alessandro Dumas jr., La dame aux Camélias, era andata in scena solo un anno prima), poi, per l’attualità del soggetto e della psicologia, favorita dallo spostamento della trama su di un solo personaggio. Conta, però, soprattutto l’apertura musicale, basti ricordare la costruzione di tutto il primo atto, intorno ad un unico, inarrestabile ritmo di valzer e del terzo su un sommesso parlato, la pulsione erotica mondana e la delusa intimità borghese. Echi, forse, dell’amato Schubert. Nel valzer si riflette al negativo la mondanità del Secondo Impero, una spettrale “vie parisienne”. Simmetrie. “Libiamo ne’ lieti calici” ha (in tonalità maggiore) lo stesso avvio dello sconsolato “Addio al passato”, in minore, introdotto dall’evocativo suono dell’oboe. Verdi “borghese”, organico e ribelle insieme, come ben si conviene in un’epoca in Italia ancora rivoluzionaria, in cui era tale essere anticlericale e patriottici, magari convivere con una donna senza sposarla. L’amore attraversa fremente la diseguaglianza dei ranghi sociali, ma non è questione di ricchezza, ma di gap fra buona società e demi-monde, e pretende di associare stabilmente il giovane di buona famiglia e la cortigiana, che dovrebbero avere per unico legame legittimo il piacere mercenario e temporaneo. La comunicazione s’interrompe per un dislivello incolmabile di amore. L’esistenza dissipata ha preparato Violetta alla passione senza ritorno, alla dedizione assoluta, mentre Alfredo si è soltanto infatuato della brillante esperienza della cortigiana, è temporaneamente abbagliato da quel mondo, ma prontissimo a ritornare al proprio, al solido matrimonio con qualche algida e illibata fanciulla da tradire, poi, con altre più sostanziose amanti. Non ingannino i reciproci slanci amorosi del primo atto. Invero, già allora, il “croce e delizia al cor” di Alfredo è soltanto una galante serenata. Ben altro è lo spessore emotivo della “povera donna, sola, abbandonata/in questo popoloso deserto/che appellano Parigi”, che vorrebbe, in un congedo estenuato al belcantismo, “sempre libera folleggiar di gioia in gioia” e sospetta giustamente che “sarìa per me sventurata un serio amore”. Viene da pensare alla solitaria morte parigina della Callas, Violetta per sempre, al di là dell’incomparabile maestria tecnica che associava drammaticità e coloratura, per quanto di personale, di incolmabile eccesso di amore irricambiato è fluito nelle sue esecuzioni. Lo scoppio della passione compromette l’accasamento delle vergini (Germont si preoccupa di sistemare la sorellina di Alfredo e intona soave “Pura siccome un angelo”) e turba la pubblica opinione. Germont rappresenta la figura e la Legge del Padre nei confronti di una Violetta chiaramente dedita al libertinaggio per mancanza di una sana educazione paterna. Il sacrificio della passione e il saper tenere la bocca chiusa – secondo le buone tradizioni borghesi – è il contributo dell’onesta puttana all’equilibrio sociale. L’innamorato Alfredo, finge di non capire, rinfaccia alla donna che l’ha abbandonato i soldi spesi per lui, eccedendo in villania per gli stessi canoni mondani. Sul prezzo che paga si inteneriscono i carnefici, Alfredo stesso e l’odioso genitore. L’inizio dell’ultimo atto, contribuisce decisamente allo sfaldamento della struttura tradizionale a numeri chiusi, dissolti in un tessuto continuo di recitativi, slanci lirici e ricadute nel pianissimo, in piena corrispondenza alla tempesta sentimentale che investe l’affranta Violetta e alla sua illusione, proprio in punto di morte, di un ritorno delle forze vitali. Violetta morirà sull’etereo suono del violino che ricorderà ancora una volta la prima frase d’amore di Alfredo.