Il libro di Marco Innocenti, solo apparentemente parla di calcio, ma c’e’ tutto quello che si e’ vissuto durante i meravigliosi anni ‘60.
Di Roberto Casella
“Quando il calcio ci piaceva più delle ragazze” di Marco Innocenti, edizioni Mursia, è un titolo molto bello per la sua quotidianità, senza strombazzamenti poetici né virate socio-storiche – scrive del calcio degli anni ’60 con riferimenti alla società, al costume, al quotidiano di quegli anni. Innocenti non sperimenta le possibilità semantiche della memoria soggettiva ma costruisce un corretto puzzle di fatti e biografie che il lettore recepisce come percorsi a lui noti e di cui ha piacere soprattutto nel momento del punto e a capo. Mette nel suo libro tutte le storie degli anni ’60 come la Storia e non la memoria narra, ma allo stesso tempo non è “il solito libro” della meglio gioventù, bensì un vero esercizio di approfondimento cronachistico sulle vite di quegli attori straordinari che hanno vissuto quella stagione, straordinari non perché hanno vissuto proprio quella stagione, ma perché chi è straordinario è straordinario sempre. Per dire, se Herrera è stato il personaggio degli anni ’60, anche negli anni ’80 restava tale e della sua parabola anche quegli anni contano. Degni di nota soprattutto i pezzi sulle squadre milanesi e sulla Roma di “Raggio di luna” Selmosson. Un libro che apparentemente parla di calcio, ma c’e’ tutto quello che si e’ vissuto in quel decennio meraviglioso. Dal boom economico, ai figli dei fiori, dal Vietnam, alla contestazione studentesca del’ 68, dalla beat generation, alla minigonna. In questo contesto si inserisce il pallone con storie oggi impossibili. Basta solo citare i tre scudetti di quel decennio. Bologna Fiorentina e Cagliari, gli ultimi della loro storia, e soprattutto quel pallone pentagonale in bianco e nero aveva nei calciatori simboli, le loro bandiere. Non esisteva una sola squadra, ma questo anche nelle categorie inferiori che non avesse un fedelissimo. Non a caso sulla copertina ci sono Rivera e Mazzola e sul retro i Beatles, il Piper con Patty Pravo, Gigi Meroni in automobile sportiva e George Best, forse il calciatore simbolo che racchiude un po’ tutto questo, infatti il suo motto era: “Ho speso gran parte dei miei soldi per alcool, donne e macchine veloci, il resto l’ho sperperato”.