Salerno vince nella fiction l'avvocato Malinconico - Le Cronache
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Salerno vince nella fiction l’avvocato Malinconico

Salerno vince nella fiction l’avvocato Malinconico

di Michelangelo Russo

Quello che stupì Goethe per tutta la vita fu la noncuranza con cui gli italiani trattavano le bellezze straordinarie delle loro terre. Per questo volle dare un giudizio dell’Italia che ne facesse un’istantanea. Lo calibrò sulla sua sorpresa quando, arrivato in albergo dopo l’ingresso nel nostro paese, chiese all’albergatore dove fosse il gabinetto di decenza. Con sua somma sorpresa, l’uomo gli indico con un gesto il cortile di fuori. Andasse a farla, insomma, dove più gli piacesse. E così Goethe definì l’Italia ”metà terra degli dei, e metà regno dell’immondizia”! Dal 1786, anno del viaggio in Italia di Goethe, non è cambiato niente. Lo splendore affonda nell’ immondizia dietro la porta. E così questa Salerno solenne e di inquietante bellezza ritratta nella buona fiction “L’ Avvocato Malinconico” fa scoprire ai salernitani quello che si sforzano di dimenticare e di distruggere. Vista dall’alto, compatta e luminosa di notte, oppure ammiccante di scenette napoletane di vicoli inzuccherati di umanità ironica e paziente, la città è apparsa ai suoi abitanti come la vedono gli altri, ma non noi cittadini che ne abitiamo gli sconquassi e la sciatteria strafottente di una comunità cittadina sempre più miope e arrangiata. Sempre più indifferente e servile verso un Potere che ha perso charme e capacità di presa. Sempre più vecchia, con i giovani che scappano senza lottare. La Salerno di Malinconico appare come la Castellabate di “Benvenuti al Sud”. Film di immenso successo, che ha reso famoso un luogo con le immagini dell’elegia. Malinconico ha fatto lo stesso con Salerno: ha regalato un’ora di elegia a una città che elemosina, per Natale, qualche festone di Luci d’ Artista, per illudersi di capacità attrattive mentre percorre il viale del tramonto. Malinconico è un po’ come l’avvocato fallito dell’indimenticabile “La Mazzetta” di Nino Manfredi, del 1978. Stessa coreografia pittoresca e scarpettiana; stesso mistero che circonda un delitto che non crea “suspense”, ma attesa per la battuta successiva di folclore. Il giallo, in Malinconico come in Manfredi, non è il colore del brivido ma è un pretesto per una sfilata di figurine che illustrano col movimento l’unica grande protagonista dello spettacolo: la “location”, il luogo della narrazione. Che è sempre stato l’ingrediente principale del successo quando la trama non è intensa né emozionante. Questa consapevolezza di abitare in un “luogo dei sogni” (con le dovute riserve) dovrebbe inorgoglire i salernitani più della squadra in serie “A”. Perché la gloria calcistica passa, ma le Terre degli Dei sono immortali, tendenzialmente. E così un semplice sceneggiato ha fatto capire anche ai meno attenti il tesoro nascosto della Città. Vista dall’alto e di notte, nella cornice dei monti che la attorniano, Salerno è apparsa per quello che è, e che nessuno si aspettava. E’ la prima città della Costiera Amalfitana, e non la sua porta d’ingresso. Con un po’ di lungimiranza e di attenzione, l’Imperatore che non ha la sua villa a Capri come Claudio, ma il suo trono a Palazzo Santa Lucia a Napoli, potrebbe iniziare a muovere passi costruttivi per fare inserire il centro storico di Salerno nel patrimonio dell’UNESCO. È una sfida che pare impossibile, ma a ben pensarci non ci vogliono moltissime cose. Per prima, un potenziamento di assessorati non litigiosi o obbedienti come valletti da camera. Una chiamata generale agli intellettuali liberi e non rassegnati, per il disegno complessivo dei luoghi della storia e della cultura da contrassegnare con l’etichetta della salvaguardia. La sciagurata pratica degli abbattimenti per ricostruire (come è avvenuta per la villa liberty di Tortorella) deve finire. Deve finire la follia dello skyline di grattacieli: vanno lasciati alle città rampanti dell’Asia e del Medioriente. Un minimo di pulizia migliore, per dare pace all’anima di Goethe tormentata dalla “munnezza” italiana. Vanno recuperati i musei, i pochi musei veri (lasciamo stare quelli clientelari ed elettorali). Va creato un grande Museo identitario di Salerno nell’infelice vecchio Tribunale abbandonato. Che risplende come un’opera d’arte nello sceneggiato di Malinconico, ma che cade a pezzi sul selciato nell’indifferenza degli stupidi. Ritorneremo su questa idea. Un Masterplan serio per la città di Salerno, e non uno affaristico per la litoranea!