di Antonio Manzo
Se non fosse stato per la sparuta pattuglia di indomabili tifosi del Torino, il giornalista Renato Casalbore a Salerno sarebbe stato dimenticato, proprio nel giorno del ricordo della tragedia di Superga. Nessun ricordo pubblico per il giornalista salernitano che 70 anni fa morì a Superga insieme alla squadra del Grande Torino. Dell’allora direttore di Tuttosport che morì insieme ad altro due colleghi sull’aereo della sciagura il 4 maggio 1944 non rimase che la sua macchina da scrivere tra i rottami dell’aereo precipitato. Perirono oltre gli indimenticabili calciatori del Grande Torino anche altri due suoi colleghi in trasferta e avrebbero dovuto scrivere, al ritorno da Lisbona dopo la partita Benfica-Torino. Ma Renato Casalbore, fondatore del quotidiano Tuttosport, Renato Tosatti, capo dei servizi sportivi della Gazzetta del Popolo, Luigi Cavallero capo dei servizi sportivi della Stampa, con i suoi colleghi, non avrebbero mai immaginato che le macchine da scrivere sarebbero servite per l’Italia addolorata, da quel momento, solo per trascrivere e trasmettere allo storia la tragedia dello sport italiana. Furono inviati storici a Superga a trascrivere il dramma per i posteri a partire dal grande scrittore Dino Buzzati, giornalista del Corriere della Sera. Ma non potè utilizzare neppure un foglio, se l’avesse ritrovato tra quei rottami, degli appunti che Casalbore aveva preso assistendo alla partita di Lisbona perché c’erano, anneriti, tra il suo block notes e il passaporto. Buzzati, ma anche alti, trascrissero la tragedia alla storia senza certi volti delle vittime di quei grandi calciatori, certi personaggi, con certe luci che si erano purtroppo spente, e certi momenti di felicità e tante pagine che non sarebbero mai nate senza le gesta di Valentino Mazzola e dei suoi compagni. Il maggio più lungo e straziante della nostra storia, quello del 1949. Mai si sarebbe immaginato che una clamorosa tragedia, come è stata quella di Superga, avrebbe spazzato via in un momento la leggenda del calcio, il Grande Torino dei 5 scudetti consecutivi nel 1942-43 e dopo la guerra dal 1945 al 1949, dei 100 gol a stagione, dei 10 giocatori su 11 in campo anche con la Nazionale. Quel 4 maggio sparirono i sogni di un’intera generazione, che in Valentino Mazzola & C. aveva visto un simbolo eroico. L’aereo Fiat G.212 di ritorno da Lisbona, dove la squadra aveva affrontato in amichevole il Benfica per il fine carriera di Ferreira, alle 17.05 entrò in una barriera di nubi per schiantarsi sul colle della Basilica di Superga ed esplodere subito, malgrado gli strumenti di bordo indicassero la buona condizione di viaggio a 2000 metri di altezza, invece erano poco più di 200. Le vittime furono 31, tra cui 18 giocatori, i dirigenti e il personale tecnico, i piloti e tre giornalisti, Renato Casalbore, Luigi Cavallero e Renato Tosatti. Cadeva un mito inossidabile: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola, la formazione che persino i bambini imparavano a scuola. Ai funerali del 6 maggio parteciparono 500 mila persone in corteo da Palazzo Madama al Duomo: in testa il sindaco Coggiola, i giocatori della Juventus, il presidente della Federcalcio Barassi che pronunciò «Capitan Valentino, questa è la quinta Coppa, la coppa del Torino». Per il Governo italiano partecipò il sottosegretario Giulio Andreotti. Per onorare la memoria scrisse Gianni Brera: «Ci pare quella una maledizione biblica, non meritata dal Torino né dall’Italia». E Giovanni Arpino in dialetto torinese: «Russ cume ‘l sang, fort cume ‘l Barbera veuj ricurdete adess, me grand Turin». Il procuratore della Repubblica di Torino Gian Carlo Caselli anni fa avanzò una proposta, ancora oggi, da sottoscrivere: «L’Unesco ha introdotto il patrimonio dell’umanità, ancorandolo ai parametri dell’eccezionale importanza culturale delle memorie del mondo, anche di carattere orale e immateriale. Tutti concetti che si possono ritrovare nel Toro di Superga. Lo testimoniano: l’intera storia della squadra; il contributo decisivo che essa diede alla rinascita del Paese dopo la guerra; la sua inarrivabile perfezione calcistica e sportiva; gli inimitabili successi; la tragedia stessa con il pathos che ha immortalato il mito degli Invincibili. Il Grande Toro come patrimonio Unesco per i Valori e la sua storia unica». Nel dolore di Superga, il calcio cambiò. La tragedia non fu morire, ma dimenticare. Come avvenuto a Salerno che non ricorda Renato Casalbore.