S. Cecilia, la moschea della discordia - Le Cronache Attualità
Eboli Attualità

S. Cecilia, la moschea della discordia

S. Cecilia, la moschea della discordia

Peppe Rinaldi

La volta scorsa ci siamo occupati della probabilità che ad Eboli venga costruita una moschea dopo l’acquisto di una struttura a S.Cecilia da parte della comunità islamica. Ovvio che non la si farà per davvero per ragioni che non serve ora elencare (peraltro è in itinere la legge Foti, ora al Senato, che proprio alle moschee in senso stretto proverà a mettere un argine) e sarà il solito «Centro culturale islamico» come tanti: cambia poco, sia per il merito del problema che della discussione in corso. Nella stessa occasione ci siamo anche sbizzarriti nel racconto di come sembrano gestite alcune attività commerciali condotte dai maghrebini del posto, ma su questo continua il silenzio generale. Tra le reazioni all’articolo, oltre al sempreverde «razzismo», non poteva non fare capolino una delle ricorrenti «fobie» inventate da e per gli sconfitti del pensiero: l’islamofobia. Poco male, cosa pensiamo di questa parola-amuleto-patologia lo scriveremo nel finale. Tornando alla moschea, a parte qualche incursione social dalla durata massima di 18 secondi, l’unica voce finora emersa dall’oltretomba politico è stata quella del capogruppo di FdI, Damiano Cardiello, che ha presentato un’interrogazione dicendosi “assolutamente contrario fino alla fine”. Un rappresentante della maggioranza «SS» (Schlein-Salvini), il consigliere Vito Maratea, pure annuncia barricate. Infine, il Pci che, per quanto piccolo, ha i pregi di essere un partito a dispetto degli ircocervi che da anni sequestrano la gran parte di quel versante politico e, soprattutto, di non vergognarsi della parola «comunista», pur conservando, però, di una storia tanto importante quanto ambigua della vita italiana soltanto una certa simbologia, visto che anch’esso a volte cede dinanzi a quei miti «moderni» che il proprio leader religioso, Karl Marx, già al tempo disprezzava  – e a ragione – definendoli “frivolezze borghesi”. Diversi, poi, i costituzionalisti intervenuti sull’argomento che, certi di poter chiudere lì la faccenda, hanno svelato un dato che ignoravamo: vale a dire che in Italia c’è una costituzione e che questa garantisce pure la libertà di culto a tutti. Perfetto, il problema è dunque risolto. Ora torniamo alla realtà.

 

Prove generali di sottomissione

 

“Nessun musulmano dubita che un giorno la bandiera con la mezzaluna sventolerà su Roma”. “Conquisteremo l’Occidente con il ventre delle nostre donne”. Sono due tra le tante frasi tipiche, non letterali né attribuibili a fonti univoche, che tratteggiano la natura della mentalità islamica in rapporto al mondo occidentale, cioè a noi, o a quel che ne resta. Al progressista contemporaneo, ubriaco di dogmi e superstizioni intellettuali che per qualche misteriosa ragione lo inducono a pensarsi umano, colto e intelligente, luccicano gli occhi dinanzi a certo slancio «multiculturale» offerto dal contesto. Purtroppo, la realtà racconta altro. Le foto parlano chiaro ed evocano scenari, le immagini sono intercambiabili in tutta Italia, in Europa e nel resto del mondo: e tutte uniformi, omogenee, coerenti, vere, a dispetto della latitudine. Ciascuno dei fedeli presenti, in prospettiva, si moltiplicherà per quattro o per cinque nel volgere di poco tempo, mentre ciascuno dei non musulmani circostanti avrà comprato l’ultimo modello di barboncino, forse per combattere l’«eco-ansia». Siamo al “Pastena” di Battipaglia e al “PalaSele” di Eboli nel giorno dell’Eid El Fitr, la festa per la fine del Ramadan, il mese del digiuno islamico spesso confuso con la Quaresima cristiana. Sembrerebbe che un analogo summit ci sia stato anche nel centro sportivo “Spartacus”, sempre a S. Cecilia, una struttura pubblica oggi restituita all’ente dal comitato di quartiere, ma non se ne ha conferma. Lo Spartacus presenterebbe, tra l’altro, problemi di conformità urbanistica ma il fatto che le celebrazioni potrebbero essersi svolte comunque è, in fondo, un problema minore rispetto a ciò che si prepara da qui a una/due generazioni; difficile che qualcuno sollevi la questione dei permessi – chiunque altro, non musulmano, si beccherebbe come minimo un comunicato stampa tra capo e collo –  l’autocensura è il primo passo della sottomissione progressiva dell’Occidente, Italia compresa, quindi anche di Eboli, dove il problema della compatibilità tra culture è sentito meno che altrove (per ora), perché qui giocano la conformazione geografica e l’estensione territoriale. Diversamente, il comprensorio sarebbe sotto l’assedio visibile quasi ovunque: la vicina Battipaglia, ad esempio, che vanta da tempo la presenza di una «moschea», ha già l’area urbana antistante la stazione ferroviaria quasi tutta islamizzata, mentre le istituzioni della Piana sorridono, festeggiano, fanno convegni, indossano il velo, forse immaginando che la società in divenire sia la stessa cosa dell’amabilità delle singole persone sin qui incontrate. Eboli, va ricordato, è un luogo in cui una vasta area agricola assorbe la «umma» islamica nelle sue varie declinazioni etniche da anni e, tutto sommato, un equilibrio c’è stato nel tempo: ma ora i numeri (che vedremo meglio nella prossima puntata) sono cambiati e si addensano su tutti i diagrammi che regolano la lettura di una società, indicando fattori matematici di «cambiamento», che non è parola buona a prescindere. Inutile dire che uno scienziato che ci spieghi in quali guai sarebbe la nostra economia senza la manovalanza importata lo trovi sempre; così come trovi sempre un raffinato intellettuale che ammonisca, con strampalate teorie auto-colpevolizzanti, che bisogna agire sulle “cause dell’emigrazione di massa” – eludendo lo speculare problema degli effetti –  per poi aggiungere che “anche i nostri antenati emigravano”, a tacer di quanti cesellano dicendo che “abbiamo esportato la mafia”: gargarismi tardo-sociologici. Soprassedendo sul significativo contributo al caos offerto dal defunto Papa, osserviamo che il problema dell’immigrazione di massa non è solo di ordine pubblico, di costi sociali pagati da quanti non vanno dall’armocromista, di emarginazione o di delinquenza ma ha un nome preciso che, purtroppo, prima centrifuga e poi moltiplica la crisi: si chiama islam, con le sue note referenze – le etnie non c’entrano nulla – che, saldandosi con le pulsioni autodistruttive dell’Occidente, genera autentiche mostruosità.

 

 

La grande sostituzione

 

Solo pochi giorni fa, per dire, a uno dei massimi letterati francesi, il magnifico 80enne libertino e omosessuale, Renaud Camus, è stato impedito l’ingresso in Inghilterra perché “la sua presenza non è considerata vantaggiosa per il bene pubblico”. Come mai? Camus ha scritto un libro da centinaia di migliaia di copie intitolato Le Grand Remplacement (“La grande sostituzione”), concetto che è vietato perfino sussurrare. Di casi come il suo s’è perso il conto. “Se Camus fosse arrivato su un barcone gettando via i documenti e dichiarandosi profugo, avrebbe potuto rimanere tutto il tempo che voleva” ha ironizzato la scorsa settimana uno dei migliori analisti su piazza, il giornalista e scrittore Giulio Meotti, fotografando la realtà fuori dalle ciance umanitariste: il Regno Unito, ricordiamolo, è quel posto dove nei tribunali si cerca di legalizzare Hamas (e sui siti e pagine social delle «moschee», anche locali, non si trovano accenni a queste cose che stanno incendiando il mondo, come se riguardassero i buddisti o i Testimoni di Geova…), dove pezzi di sharia sono stati ammessi in alcuni distretti giudiziari di Londra per regolare le questioni tra musulmani; dove, se sbagli un pronome personale che qualche maschio svalvolato ha preteso fosse per sé femminile, perdi il lavoro; dove, se nei paraggi di una clinica che pratica aborti ti metti a pregare, in strada o finanche a casa tua, e lo fai perché da cristiano o da semplice essere razionale sei contrario all’uccisione dei bambini nel grembo delle madri come se si trattasse di estrarre molari cariati, piomba Scotland Yard e ti arresta perché “invadi la sfera di libertà e autodeterminazione” di chissà chi. Orwell e Huxley non avrebbero saputo fare di meglio. Per capirci, è una cosa analoga a quanto accade in materia di «gender» o altre paturnie con matrice semi-esclusiva a sinistra, anche di quella un tempo credibile, volendo, cioè quella rossa oggi corrosa dal fucsia e dal verde. Poi, ti arriva un vicepresidente Usa come J.D. Vance che, come accaduto a Monaco lo scorso mese, rileva quanto sia marcita l’Europa sotto i colpi, applauditi, di queste follie e subito nel parterre mediatico-politico delle prefiche woke si esce dai gangheri. A proposito di onanismi e distopie, infine, è stato pure inventato un concetto, divenuto già un nuovo reato in alcuni Paesi: l’islamofobia di cui sopra. Qui parla per noi il compianto Christopher Hitchens: “islamofobia è una parola creata dai fascisti e usata dai codardi per manipolare i cretini”. Perfetta. Insciallah. (2_continua)