Quel bel tipo dell’Arlecchino - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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Quel bel tipo dell’Arlecchino

Quel bel tipo dell’Arlecchino

Olga Chieffi

“La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”, diceva Gustav Mahler. L’Arlecchino che ha inaugurato al teatro Verdi l’ultima settimana di Carnevale riletto da Marco Baliani, per Andrea Pennacchi è un omaggio a queste parole. esempio di una commedia dell’arte, ricca di inganni, scambi di identità e situazioni comiche. La storia si sviluppa secondo la tradizione, attorno all’ intricato intreccio di relazioni amorose e malintesi di Carlo Goldoni, il personaggio di Pantalone che rappresenta l’autorità paterna e il suo desiderio di sistemare la figlia Clarice attraverso un matrimonio vantaggioso, Arlecchino, noto per la sua astuzia e il suo ruolo di servitore, che da sempre aggiunge un elemento di caos e comicità, mentre Beatrice, travestita da Federigo, sottolinea il tema del travestimento e dell’identità, quindi, l’errore del servitore con i bauli che amplifica la tensione comica e la confusione, portando a momenti di disperazione per Beatrice e Florindo, i quali credono erroneamente che l’altro sia morto, il finale, in cui tutti i personaggi trovano il loro lieto fine. Gli elementi ci sono tutti, ma Baliani ha giustamente inteso avventurarsi in un percorso in cui l’arte tutta afferra il presente, lo ripartisce e ci costruisce un ponte che conduce verso il tempo della vita. Colui che ascolta e colui che recita vi ci trova un amalgama perduto di passato, presente e futuro. Su questo ponte, finchè il teatro persiste, si andrà avanti e indietro. E’ questo il senso del povero palcoscenico costruito da guitti che guarda sia agli inizi della commedia dell’arte, sia ai tempi moderni. La scenografia di Carlo Sala è, infatti, anche simbolo delle restrizioni economiche e creative del teatro contemporaneo. Utilizzando esclusivamente teli maneggiati dagli attori, Sala guarda alle limitazioni di budget, ma crea anche un’interazione dinamica tra gli interpreti e lo spazio scenico. Questo approccio picaresco ha permesso di trasformare semplici materiali in elementi narrativi, dando vita a un’esperienza visiva particolare La scelta di usare teli non solo riflette una certa precarietà, ma diventa anche un simbolo della flessibilità e dell’ingegno delle compagnie teatrali antiche e odierne, che devono spesso fare di necessità virtù. In questo modo, Sala riesce a portare il pubblico a riflettere non solo sulla bellezza estetica del teatro, ma anche sulle sue sfide contemporanee, rendendo il suo lavoro un’importante testimonianza del panorama teatrale attuale. Musica dal vivo con un bel duo composto da Giorgio Gobbo voce e chitarra elettrica e Riccardo Nicolin alla batteria, i quali hanno arricchito notevolmente l’esperienza teatrale, creando un’atmosfera immersiva che ha saputo valorizzare le interpretazioni degli attori. L’intreccio di stili e generi, che caratterizza questo spettacolo, ha portato una ventata di freschezza e vitalità, rendendo la narrazione avvincente sin dalle prime battute. La capacità di reinterpretare la tradizione teatrale in modo intelligente e innovativo ha permesso di evitare la monotonia all’uditorio. La rappresentazione di Andrea Pennacchi nei panni di un Arlecchino, certamente inusuale ha offerto una visione fresca e originale di questo personaggio che, nella tradizione ha i suoi ineludibili passi, i suoi inchini, una specie di danza. La scelta di enfatizzare una fisicità goffa e sovrappeso, abbinata a un’ironia tagliente, permette di distaccarsi dalla tradizionale figura agile e scattante, portando in scena una riflessione profonda sulle dinamiche sociali contemporanee. La mescolanza di dialetti veneti e bergamaschi non solo arricchisce il personaggio, ma genera anche situazioni comiche che catturano l’attenzione del pubblico. Il monologo che richiama Shakespeare è un momento di forte impatto, in cui si denuncia l’arroganza e la supponenza delle classi dominanti, rendendo lo spettacolo non solo divertente, ma anche incisivo dal punto di vista critico. La compagnia di attori, ognuno con il proprio personaggio ben delineato, contribuisce a creare una sinergia perfetta: dal Pantalone di Valerio Mazzucato alla vivace Clarice di Margherita Mannino, fino alla combattiva Smeraldina di Anna Tringali, l’eclettica Beatrice travestita da Federigo Rasponi di Maria Celeste Carobene e su tutti, Marco Artusi che è passato con disinvoltura da Brighella a Florindo Aretusi e Miguel Gobbo Diaz che ha interpretato Silvio, promesso sposo di Clarice e figlio del dottor Lombardi, nonché un facchino e un cameriere. Ogni attore, su perfetti ritmi, ha portato una dimensione originale alla storia, rendendo il tutto godibile, con un pubblico salernitano, finalmente partecipe. Il ritmo frizzante dello spettacolo, abbinato a temi di grande rilevanza sociale come il femminicidio, la paura dello straniero e le ingiustizie lavorative, ha reso l’opera di Baliani non solo un momento leggero, ma anche un veicolo di riflessione per il pubblico. La capacità di affrontare questioni attuali con leggerezza e intelligenza, senza mai scadere nel banale. Applausi per l’intera compagnia, un vero congegno ad orologeria, per tutta la durata dello spettacolo.

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