di Oreste Mottola
Erano di Cancellara oppure di Picerno le salsicce che Cicerone mangiò a Sicignano? Talmente buone che gli addolcivano gli incubi di un uomo in fuga dalla sua Roma e che voleva salvare la pelle. Aveva davvero tanta paura quel giorno di aprile del 58 a.C. quando viaggiando in incognito approda alla “statio” delle Nares Lucanae, l’odierna Zuppino, frazione di Sicignano degli Alburni. Già tirava un po’ il fiato, vicino com’era all’obiettivo di mettere almeno 500 miglia tra Roma e sé stesso. Il più famoso degli oratori romani era un condannato a morte in fuga. Sotto le pendici degli Alburni vedeva la salvezza vicina, poteva tirare il fiato. L’indecisione sulla meta da raggiungere era totale. In Sicilia? a Brindisi per poi riparare in Grecia? Non sapeva ancora cosa fare, quella notte, alla “Caupona”, la taverna dove avveniva il cambio dei cavalli e i viaggiatori. Lui viaggia tra soldati e mercanti, rischiando che qualcuno che lo possa riconoscere. Cerca una modesta luce ad olio che rischiari e nella locanda si mette a scrivere. Verga una lettera all’amico Attico, dove confessa le sue paure, ma fa un elogio sperticato al cibo servito, a partire dalle straordinarie salcicce, lui le chiama lucaniche, per marcarne la provenienza. Di Cancellara o Picerno che fossero. Racconta anche di una notte insonne, lo sveglia un sogno premonitore sul suo rientro in patria. A Roma le cose non erano andate bene. Si era rifiutato di votare la legge agraria a favore dei veterani di Pompeo e della plebe meno abbiente (per non apparire un traditore dell’aristocrazia romana), fu colpito dalla vendetta dei populares: nei primi mesi del 58 a. C.Clodio Pulcro, tribuno della plebe, suo acerrimo nemico, fece approvare una legge che condannava all’esilio chiunque avesse mandato a morte un cittadino romano senza concedergli la provocatio ad populum. Il pretesto per liberarsi di Cicerone. Riuscì a scappare. La sua prima tappa importante fu alle Nares Lucanae, l’odierna Scorzo di Sicignano. Siamo già dove tutto parla lucano, il vecchio confine dei monti della Maddalena, si tocca con mano.
Il nome qui lo presero da Sicinius, gregario di Caio Gracco, mandato qui a fare la Riforma Agraria Romana. “Nares Lucanae”, ovvero Scorzo, le “narici della Lucania”, fatto di cavalli, muli, e dove di buon mangiare, se ne intendono: l’elenco della loro clientela illustre va, a farla breve, da Cicerone a Garibaldi. “Chi passa pù Scuorzo e nun è saziato, o è muorto o è carcerato”, si diceva e si ripete ancora oggi. A tavola è cambiato poco. I cibi sono rigorosamente ipocalorici: lagane e ceci o caciocavallo arrostito, fusilli e ravioli o l’arrosto di carni miste. E poi le salsicce. Le migliori vengono dalla Lucania. Ogni stagione della storia ha detto la sua, ma la nomea di posto nel quale si mangia bene è rimasto: prima i carrettieri e poi camionisti, i preti sempre, e poi i briganti quando fu il loro tempo. Bravi anche nel reperire le migliori materie prima dal circondario. A Galdo, la frazione vicina, ancora oggi producono invece le migliori soppressate (salumi di carne di maiale) del salernitano. Molti sono i buongustai che le preferiscono a quelle, altrettanto rinomate di Gioi. La loro ricetta è più segreta della formula con la quale, ad Atlanta, confezionano la Coca Cola. A Castelluccio Cosentino, il paesino alburnino che, in autostrada, si vede sul cocuzzolo prima di infilarsi nell’ultima galleria che porta nel Vallo di Diano, amano particolarmente preparare piatti con le rane cucinate in diversi modi. Anche la plebea acqua di fontana è ottima. A maggior lustro di una sorgente – che in agro di Sicignano, lungo il percorso della vecchia Consolare delle Calabrie – aveva calmato, nel 1793, la gagliarda sete della regina Carolina, fu costruita la monumentale “fontana della Regina”, ancora in funzione. Chissà che l’arsura non gli venne dopo aver – anche lei – consumato salsicce lucane! Uno dei piatti forti a base di carne di maiale nelle mense romane era il “porcus troianus”, così chiamato perché ricordava il cavallo di Troia che nascondeva nel ventre i guerrieri achei, un maiale ripieno di salsicce, verdure e salse aromatiche. Ed è dalla Lucania che parte l’imbudellare la carne per poi chiamarsi lucanica, “Lucanicam dicunt quod milites a Lucanis dicerent”, chiamano Lucanica quella carne di maiale insaccata in budello che i nostri soldati affermano venire dai Lucani, così Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C). ne certifica le origini. La salsiccia, comunemente chiamata lucanica o luganega, era facile da fare e trasportare. Bastava salare la carne, profumarla e insaccarla, una leggera asciugatura al fumo del fuoco per conservare, trasportare e consumare. Addirittura la legislazione ne vietava, pena la morte, il pignoramento, perché la sua sottrazione, facendo venir meno la riserva alimentare primaria, poteva significare la fame e la miseria della famiglia. Un ricordo che i Longobardi hanno lasciato in alcune tradizioni è legato, tra tante manifatture sicuramente all’uso del coriandolo come spezia per insaporire la salsiccia ancora presente nella preparazione di questo eccelso salame a Carbone, Castelluccio, Pisticci. Il coriandolo come condimento veniva usato per conservare le carni perché essendo un potente antibatterico, svolgeva un’azione antiputrefattiva, poi soppiantata nell’uso del salame dal meno intenso finocchietto a cui la Scuola medica salernitana attribuisce doti di digeribilità.