Posti di lavoro in cambio di denaro. Le 15 vittime del dirigente ministeriale - Le Cronache
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Posti di lavoro in cambio di denaro. Le 15 vittime del dirigente ministeriale

Posti di lavoro in cambio di denaro. Le 15 vittime del dirigente ministeriale

di Peppe Rinaldi
Il primo febbraio 2020, durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario nel distretto di Potenza, un dirigente amministrativo del posto, dinanzi a ermellini e rappresentanti ministeriali e professionali vari, prese la parola e per circa otto minuti e mezzo si rivolse all’uditorio sostenendo una tesi che, grossolanamente, possiamo riassumere così: «La carenza d’organico affligge i nostri uffici, spesso non siamo in condizioni di poter operare al minimo; questo dato causa enormi conseguenze sulla società ed evidenzia, tra l’altro, anche una discriminazione tra gli uffici giudiziari del Nord e quelli del Sud; urge, pertanto, che il rappresentante del ministero della giustizia, cui sarà consegnato questo mio intervento, si impegni fortemente per far sì che si sblocchino le procedure per assumere altro personale». Argomento fondato e ragionevole ancorché non inedito.
Trascorso vanamente – si presume – un ampio lasso di tempo, quello stesso dirigente si farà «giustizia da solo» istruendo pratiche e concorsi per l’assunzione di personale fresco nei ranghi dell’amministrazione giudiziaria. Non lo fate voi? lo farò io, diciamo. Ma c’è un “ma” grande quanto una casa perché dietro l’impavida rimostranza si nascondeva altro. Come ora proveremo a raccontare.
Circa tre anni e mezzo dopo quella pubblica presa di posizione, infatti, quello stesso dirigente del ministero della Giustizia finirà in manette sommerso da una sfilza di reati ipotizzati dalla procura di Potenza e temporaneamente ratificati (in larga parte) dal primo giudice, il gip Salvatore Pignata, che ne ha ordinato gli arresti domiciliari il 16 ottobre scorso. Misura cautelare eseguita tre giorni dopo dalla polizia.
Si tratta di Girolamo Cicinati, 58enne di Eboli, dipendente del ministero con qualifica dirigenziale in servizio a Potenza fino al suo trasferimento a Roma determinato proprio dall’avvio delle indagini a suo carico per alcune ipotesi di reato piuttosto gravi che, a quanto sembra prima facie, non lascerebbero troppo spazio all’immaginazione.
LE MANETTE
Cicinati è stato tratto in arresto perché, in sintesi, avrebbe promesso posti di lavoro ad ignari cittadini residenti in massima parte proprio ad Eboli, la sua città. In tutto sono quindici quelli sinora individuati dalla magistratura potentina ad esser caduti nella rete del dirigente pubblico. Il punto è che, secondo il prospetto accusatorio della procura di Potenza, Cicinati per far ciò si faceva pagare: piccole somme, in verità, dai 50 ai 100 euro mediamente, ora per le pratiche burocratiche del “concorso” ora per le marche da bollo ora per i certificati penali dei candidati che «mi raccomando, devono essere puliti e non scaduti se no al ministero della Giustizia non ti prendono» come hanno raccontato quasi all’unisono agli inquirenti le quindici parti lese.
Il diavolo, si sa, fa le pentole ma trascura sempre i coperchi e in questo antichissimo, saggio adagio si racchiude la vicenda di un dirigente pubblico che, verosimilmente, non sarà più tale per ovvie ragioni. A giugno di quest’anno Cicinati, già indagato e sotto controllo dal novembre 2022, subisce una perquisizione a casa e sul posto di lavoro, le cose si ingarbugliano maledettamente per lui, farà i soliti errori che fanno tutti quelli che sentono il terreno franare sotto i piedi e, infatti, dopo cinque mesi finirà ammanettato e ristretto ai domiciliari con un lungo elenco di addebiti. In sintesi, questi: falso materiale commesso da pubblico ufficiale; falso ideologico commesso da pubblico ufficiale; possesso e fabbricazione di documenti falsi; calunnia (poi derubricata dal gip a simulazione di reato); depistaggio e truffa, il tutto condito dalla contestazione di pesanti circostanze aggravanti quali l’aver commesso un reato per occultarne un altro, per aver ingenerato nelle parti offese il timore di un pericolo immaginario e, soprattutto, per aver profittato dello stato di necessità, malattia e/o indigenza delle parti offese. Insomma, come si direbbe, è un gran casino per il dirigente-ispettore del ministero della Giustizia, del quale lo stesso giudice di prima cura scriverà che sono molto alte le probabilità che, a valle di tutto, venga condannato ad una pena che non gli consentirà (in teoria) di godere di alcuna sospensione o beneficio. Insomma, parliamo di carcere vero e proprio e non cautelare. Si vedrà.
Scendendo un po’ più nel dettaglio di questa brutta faccenda, che ha notevolmente scosso l’opinione pubblica vista la relativa notorietà del personaggio, andando anche un po’ oltre quanto già accertato dagli inquirenti, pare che tutto sia iniziato intorno al 2010, sebbene agli atti della magistratura il calendario cominci dal 2015, probabilmente a causa delle solite esigenze di contrasto dei termini di prescrizione.
ALLA FERMATA
DELL’AUTOBUS
Dicevamo che tutto sarebbe nato nel 2010 quando una mattina qualunque di un giorno qualunque, alla fermata del bus che lo avrebbe portato al lavoro (al tempo il dirigente prestava servizio a Salerno) alla fine del viale Amendola, Cicinati conosce casualmente M.A., di professione muratore o carpentiere.
«Di cosa ti occupi? Cosa fai nella vita?» Domande così, si sa come cominciano le cose quando ci si conosce da poco. Finché non scatta la prima trappola: «Sai, sono in corso selezioni di nuovo personale al ministero» – dirà Cicinati all’ignara vittima – «perché non fai la domanda anche tu così lasci questo lavoro precario e faticoso, al massimo dovrai spostare faldoni e carrelli». M.A., incredulo del colpo di fortuna che gli avrebbe potuto cambiare la vita, subito abbocca. Da quel momento passeranno circa 13 anni durante i quali il “dottore”, come lo chiamavano le sue vittime presunte, incasserà dalle mani del povero disgraziato (e poi di altri quattordici) piccole somme di danaro, all’incirca ogni 5 o 6 mesi («I certificati scadono e bisogna ogni volta rifarli» si legge nelle intercettazioni telefoniche e ambientali allegate all’ordinanza) per un totale di circa ottomila euro complessivi, anche se gli inquirenti sospettano si tratti di molto di più. Questo, naturalmente, lo accerteranno le indagini tutt’ora in corso in materia di accertamenti bancari e patrimoniali. (1_continua)