Pisano: Dsa e tecnologia. Niente schermi almeno fino ai 4 anni - Le Cronache Ultimora
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Pisano: Dsa e tecnologia. Niente schermi almeno fino ai 4 anni

Pisano: Dsa e tecnologia. Niente schermi almeno fino ai 4 anni

di Erika Noschese

 

 

Continua il dibattito sui DSA su queste colonne, con l’ausilio di personalità autorevoli del mondo della sanità. Abbiamo potuto parlare del tema con il prof. Simone Pisano, associato di neuropsichiatria infantile Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali Università Federico II di Napoli.

I DSA non sono mai stati un semplice “fenomeno”. Soltanto oggi si inizia a parlarne, spesso con accezione negativa, per “giudicare” chi ne è affetto o perché alcuni docenti temono che quello dei DSA sia un pretesto per giustificare il cattivo andamento scolastico dei propri figli. Cosa c’è di vero?

«È vero che i disturbi specifici dell’apprendimento sono un fenomeno talora frainteso, usato male talora dai genitori talora dagli insegnanti a volte anche dagli esperti. In realtà si è fatto un passo avanti importante in questi ultimi anni nel concettualizzare in modo corretto il disturbo che, ricordo, rientra tra i disturbi del neurosviluppo ed è un disturbo di tipo neuropsichiatrico, per quanto meno impattante e meno drammatico rispetto ad altri disturbi neuropsichiatrici. Ricordo che si tratta di un disturbo di neurosviluppo che ha come funzione compromessa la funzione dell’apprendimento, della lettura, della scrittura o del calcolo. Già questa semplice definizione fa ben comprendere come, purtroppo o per fortuna, non ha niente a che fare con l’intelligenza del soggetto e con l’insegnamento, e qualsiasi esperto si occupi di disturbi specifici dell’apprendimento sa riconoscere chiaramente se uno studente ne è affetto e non può esistere il misunderstanding, il non riconoscere invece uno studente che va male perché non studia. Quindi non può essere considerato un pretesto per un cattivo andamento scolastico, semplicemente perché un esperto che si occupa di disturbi specifici dell’apprendimento è assolutamente in grado di distinguere le due fattispecie diverse. Purtroppo, talora avviene. Purtroppo, c’è ancora un po’ di pregiudizio: per quanto grossi passi avanti siano stati fatti, ancora c’è un certo stigma sugli studenti affetti da DSA. Va sgombrata questa prassi. Sono pazienti da aiutare. Talora basta poco per aiutarli, per incoraggiarli, lo possono fare gli insegnanti, lo possono fare psicologi, lo possono fare neuropsichiatri infantili e questo, oltre a delle terapie specifiche, sicuramente migliorerà poi la resa scolastica di questi pazienti».

Qual è l’età “migliore”, se esiste, per diagnosticare o per iniziare ad attenzionare potenziali DSA?

«Sebbene l’età di 8 anni, circa, sia spesso considerata ideale per una diagnosi, la cosa importante è iniziare a monitorare segnali potenziali di potenziali DSA anche prima, anche tra i 6 e i 7 anni, perché da allora si rilevano appunto segnali precoci che possono essere predittivi di una successiva diagnosi di disturbo specifico dell’apprendimento. Una valutazione precoce può fornire indicazioni preziose per interventi terapeutici, come il potenziamento didattico e il lavoro con la famiglia, aiutando i bambini a sviluppare strategie efficaci per poi affrontare quello che potrebbe essere un DSA fin da subito, fin da prima di una diagnosi certa, e questo è molto importante».

Anche in età adulta, da quel che si vede, si registrano referti di DSA. Cosa cambia, se cambia qualcosa, nell’analisi dei disturbi?

«Anche se la diagnosi avviene in età adulta, è comunque utile rilevarla. Questo perché aiuta le persone affette a comprendere che le loro difficoltà non sono legate alla loro intelligenza. Talora possono essere stati tacciati di svogliatezza, di scarso impegno nello studio o quant’altro e questo può favorire un processo di accettazione. È molto interessante vedere come qualche volta arriva una diagnosi adulta e il soggetto affetto da DSA comprende, vede in un’ottica diversa tutta la sua vita scolastica e questo aiuta in un processo di accettazione. Inoltre, ci possono essere opportunità per utilizzare sistemi compensativi nel lavoro: per esempio, migliorando la qualità di vita e delle prestazioni lavorative. E quindi ben venga la diagnosi, anche se si è al di fuori di un contesto strettamente scolastico».

Sempre più specialisti affermano che l’aumento dei DSA in età pediatrica sia dovuto a un disagio abnorme legato alla didattica a distanza nel periodo clou delle restrizioni legate al Covid. È davvero solo questo il problema?

«È vero che la didattica a distanza può aver creato molte difficoltà psicologiche, di vario genere, a bambini e adolescenti, questo è abbastanza dimostrato e ha anche ritardato molte diagnosi di disturbo specifico dell’apprendimento. Tuttavia, non ritengo che si possa attribuire in modo diretto l’aumento di prevalenza di disturbi specifici dell’apprendimento esclusivamente a questo fattore. L’apprendimento è influenzato da molti elementi e non credo che la sola didattica a distanza possa giocare un ruolo assolutamente causale».

Può esserci un collegamento diretto tra la crescita smisurata dei DSA e l’abuso di smartphone sin dai primi mesi di vita di un bambino?

«La questione rapporto tra uso/abuso di smartphone o dispositivi digitali in genere e lo sviluppo di un DSA è piuttosto complessa. Quello che sicuramente si sa è che l’abuso di smartphone o anche di video in genere, sin nei primi mesi di vita, può influenzare lo sviluppo cognitivo, lo sviluppo del linguaggio e le abilità di apprendimento. Quindi assolutamente moderare l’esposizione a screen in genere, quindi a video in genere nei bambini molto piccini. L’organizzazione mondiale della sanità sconsiglia l’esposizione a screen nei bambini sotto i 2 anni in modo assoluto. Permette l’utilizzo di un’ora di video dai 2 ai 4 anni al giorno, un’ora al giorno, ma comunque dice specificamente “less is better”, quindi meno di un’ora è anche meglio. Quindi nei primi 4 anni di vita è altamente sconsigliato l’uso eccessivo, ma direi l’uso in generale di screen digitali, quindi inclusa la televisione. Qualsiasi tipo di schermo video, non solo gli smartphone o altri nuovi dispositivi. Certamente però non si può affermare in modo assoluto e diretto che ci sia un collegamento univoco tra uso di smartphone e DSA. Certamente è meno probabile che questo avvenga tardi nello sviluppo, cioè se l’utilizzo dei device elettronici avviene dopo i 4-5 anni. Questo è altamente improbabile. Ribadisco che un uso eccessivo e precoce, sotto i 4 anni, ma ancora di più sotto dopo i 2 anni, è altamente sconsigliabile e può avere un impatto su tante funzioni, non solo sulla funzione dell’apprendimento, tante funzioni cognitive, non solo sullo sviluppo dei processi di apprendimento. Se poi un’esposizione ai video “ci deve essere”, è altamente consigliabile che nei bambini un po’ più grandi sia condivisa con i genitori. Questo è fondamentale. È molto sconsigliabile l’utilizzo di video in solitaria o anche il cosiddetto “background screen”, cioè il tenere la televisione in background che parla, che espone, che mostra immagini non canalizzate e non supportate nel cosiddetto “shared vision”, cioè visione condivisa con i genitori. Ma tutti questi fenomeni si stanno studiando ora, mentre stiamo parlando: è un ambito di ricerca e quindi è fondamentale continuare a studiarli per comprendere meglio le interazioni tra tecnologia e apprendimento».