Dopo 50 anni riappaiono i fantasmi del mistero della sua morte. Ma soprattutto i giudizi difficili e controversi sulla sua figura di intellettuale e sulla sua radicale condanna della società italiana del dopoguerra. Partiamo da qualche doverosa riga sulla sua morte. Penso soprattutto ai nati della Generazione X nel range temporale tra il 1965 e 1980, quelli dell’età della transizione dall’era analogica a quella digitale.
Pier Paolo Pasolini. Ucciso brutalmente all’idroscalo di Ostia nella notte tra l’1 e il 2novembre 1975
Il suo cadavere venne ritrovato con la testa spaccata. Dagli atti del processo si evinse che la morte fosse avvenuta attraverso “schiacciamento del torace”. All’epoca il principale sospettato dell’omicidio fu Pino Pelosi, appena 17 anni, un “ragazzo di vita”. Che dichiarò di aver commesso il crimine mentre si difendeva da un’aggressione a Pasolini. E che poi sarebbe scappato con l’Alfa Romeo 1750 del regista passando sul suo corpo inerme. Una autoconfessione che si sgonfiò subito. In primo grado fu subito valutata l’idea invece che Pasolini, noto iperantifascista, fosse stato ucciso da un gruppo di neofascisti. Ma data la scarsità di prove e i tentativi di insabbiamento, anche quell’idea venne quasi subito accantonata. Sono passati cinquant’anni, e quel ragazzo diciassettenne è diventato un adulto anziano. Oggi, ormai “fuori”, dichiara che non è lui l’autore dell’omicidio, e che in quella spelacchiata radura di Ostia un gruppo di neofascisti, nascosti nel buio, aggredirono i due, immobilizzando e pestando a morte Pasolini. Lui, Pino, sarebbe poi fuggito con la macchina, investendo accidentalmente il corpo di Pasolini. Ma anche questa versione appare subito incongruente con tutta la storia. Insomma oggi, dopo 50 anni, la sua morte resta un mistero. E lo resterà. Per gli inquirenti, per gli stessi protagonisti di allora, per la cultura e per la storia del nostro Paese
Perché scrivere e ricordare Pasolini? Perché a molti sembra uno straordinario anticipatore del destrismo mondiale di oggi. Con i suoi due fascismi
Un fenomeno internazionale certamente nuovo e moderno. Ma, per molti, incline oggi a conformarsi ad alcuni precetti di base, ideologie e politiche della destra di un tempo. Come conservatorismo, nazionalismo, anti-immigrazione, sovranismo e, non ultime, strategie comunicative aggressive, a volte manipolative, per diffondere le proprie idee e creare consenso. Certo, sono passati 50 anni dalla sua morte, ed un novantennio dal fascismo italiano. Ma di lui resta ancora vivo il ricordo del concetto che aveva del ventennio. Non fu per lui solo un regime storico, ma una sindrome, una vera e propria nevrosi sociale. E perché mai? Perché a lui si manifestava su due piani, due fascismi. C’era il fascismo storico, che lo perseguitò come una patologia. Ma soprattutto un nuovo fascismo, quello della civiltà dei consumi. Parliamo del consumismo che cominciò a manfestarsi già negli anni del boom economico, e che considerava una forma totalitaria e omologante, più subdola e pervasiva. Lui contestava l’antifascismo di quegli anni, ormai morto e archiviato. E denunciava che la società di quegli anni non si accorgeva del fascismo moderno, quello della nuova civiltà dei consumi, quella disidentitaria, capace di sopprimere le individualità e omologare tutto, insomma un nuovo potere totalitario e tirannico. Per lui quella degli anni dai ‘50 ai ’70 era un nuovo fascismo. Senza camicie nere, ma distruttivo delle culture popolari.
La destra oggi in Italia e nel mondo. Come la vedono i giornali e le riviste degli altri Paesi?
Cuny Center, una rivista culturale di Manhattan, spiega la rinascita della destra in Italia con la reazione all’eccessiva accoglienza di centinaia di migliaia di migranti ed all’alterata e depressa percezione di minaccia per noi italiani. Un fenomeno credibile. Soprattutto perché accompagnato dal crescente numero di italiani che promuovono la diversità e l’inclusione. E poi anche dal declino della sinistra italiana.
The Guardian, storico quotidiano indipendente britannico, come spiega il successo di FdI e della Meloni? Con un Paese come l’Italia che, a differenza della Germania, non ha mai dovuto confrontarsi con il suo passato. Di cui quindi ha continuato a nutrirsi, con la fiamma tricolore tra i suoi simboli, i saluti fascisti durante commemorazioni pubbliche, il ricordo che la stessa Meloni in un video del 1996 fece di Mussolini: “…un bravo politico, non ci sono stati altri politici come lui negli ultimi 50 anni”.
Sage Journals, casa editrice californiana, studia e condivide il concetto di continuità tra fascismo, Msi, Alleanza Nazionale e Fratelli d’Italia, lanciando l’avviso che si è davanti al tentativo di normalizzare le idee estremistiche e antidemocratiche. Cambridge University Press, rivista della prestigiosa università britannica, è convinta che, dopo 78 anni di democrazia, l’Italia continua a confrontarsi con il suo recente passato in ambito politico, sociale e culturale. Ma da noi fa di più. Continua a banalizzare il fascismo fino a fingere rinnegarlo. Secondo Cambridge Press sta intaccando l’opinione pubblica italiana in modo lento ed inesorabile e, assieme a Vox e ad Afd in Spagna e Germania, si sta trasferendo alle strategie politiche di altri Paesi.
Ed infine BBC, una delle più autorevoli emittenti tv al mondo. La concessionaria del servizio pubblico nel Regno Unito, come la Rai in Italia, ha riportato la dichiarazione del presidente del consiglio dei ministri secondo cui “il fascismo è consegnato alla storia”. Ma che non tutti gli italiani ne sono così sicuri.
D’altronde, diciamocelo, vi sono alcuni segnali inequivocabili. L’anti-europeismo radicato. L’avversione al green-deal, alla decarbonizzazione, alla tutela dell’ambiente e della biodiversità. Le politiche apertamente anti-migranti (sui cui eccessi degli scorsi governi di centrosx noi non siamo mai stati d’accordo). L’autoritarismo monocratico in politica. L’insofferenza contro il potere giudiziario, maturato in alcuni dispositivi contrabbandati per riforme della giustizia. La recente manovra fiscale che tutela i redditi medi ma non quelli dei meno ricchi e dei fragili. Il definanziamento che sta smantellando la sanità pubblica che il mondo ci ha sempre invidiato. E poi la sudditanza al governo di destra più forte del mondo, quello di Trump. Insomma, a nostro avviso, limmagine che si vuole accreditare dell’Italia all’estero è gonfiata e falsificata. Siamo un Paese che perde pezzi e che nel mondo non ha più il prestigio di una volta, e non conta affatto quello che si vuole che si pensi.