Sfarzo, e belle voci, per il gran ballo di Anna Glavari, domani sera alle ore 21 sul sagrato della Basilica di Santa Trofimena per il terzo appuntamento di Camera in Tour
Olga Chieffi
“L’operetta – affermava il compianto Sandro Massimini, uno dei massimi interpreti di questo genere – è uno dei filoni di spettacolo più svillaneggiato in Italia. Si è perduta tutta una tradizione grazie a scelte culturali, se così si può dire, diminutive. Si è creduto che l’operetta sia avanspettacolo, e allora via con le battute aggiornate, coi doppi sensi, con le mediocrità. Invece, l’operetta è musica, è storia. E come tale bisogna rispettarla”. L’operetta, forma teatrale un po’ cantata, un po’ recitata, sbarca a Minori, quale terzo appuntamento di Camera in Tour domani sera alle ore 21.00 con la Compagnia Italiana dell’Operetta per una “ Vedova allegra” sul Sagrato della Basilica di Santa Trofimena. L’operetta ha visto nascere i suoi capolavori sulle rive del Danubio, come uno dei momenti della Belle époque. Il suo padrino è stato il valzer, la sua madrina l’eleganza e la sofisticata avventura sentimentale. E’ stata una forma di spettacolo compiutamente borghese, con le sue evasioni nel bel mondo, con i suoi principi fasulli e le sue belle dame oneste e avventurose. Il valzer, col suo girare in tondo, con le sue ebbrezze veloci, con il suo magico distendersi nella felicità più immediata, rappresentava lo scintillio di un momento di magia, di abiti svolazzanti e di divise che non avevano più nulla di marziale. Nelle feste mascherate dell’Impero in decadenza, i violini evocavano i bei caffè di Vienna e Budapest, i saloni dei nobili, e perfino i sogni delle sartine. In mancanza di un turismo organizzato ecco le puntate nell’esotico, fra paesi fantastici di ipotetiche Balcanie e crociere mentali in Orienti da cartolina. Un po’ di tenerezza e un po’ d’amore , da contrapporre agli eroi wagneriani con lance e scudi e al Risorgimento verdiano. Non più Nabucchi e Sigfridi, ma vedove allegre e dall’ago al milione, simbolo dello spirito borghese ispirato al dio danaro, anche in amore. L’aria di Parigi, coi suoi sapori un po’ vietati, col suo Chez Maxim’s, era come un profumo sopraffino, e l’operetta viennese non poteva farne a meno. Quando, lasciato alle spalle l’Ottocento, il genere scivolò nella più modesta piccolo borghese, fu soprattutto Franz Lehar a prenderne su di sé l’eredità. Le melodie divennero più facili, più bonarie, i dialoghi meno “letterati”: alla brillantezza si sostituì un pizzico di malinconia, con qualche dose di folklore tzigano. Ed ecco la nostra “Vedova Allegra”, capolavoro del genere, ancora sulla scia del valzer. Esempio di una piccola cultura danubiana, la “vedova” suggerisce una delle ultime avventure mondane, in un mondo di ambasciatori, contesse, gigolò, viveurs squattrinati e alcove proibite. Un mondo dove la pochade si unisce alla commedia di sentimenti e dove ci si può ancora commuovere. Elementi basilari per la riuscita di questa operetta sono tenori e soprano di buona qualità e dal fisico credibile, oltre che fini attori per realizzare uno spettacolo con scene e costumi alla pari col lusso del tempo: tra gli interpreti principali Hanna Glawary, che avrà la voce di Clementina Regina, il Njegus, Claudio Pinto il Conte Danilo Danilowitsch Massimiliano Costantino, il Barone Mirko Zeta, Riccardo Sarti; la Baronessa Valencienne, Irene Geninatti Chiolero, per la regia di Flavio Trevisan, le coreografie di Monica Emmi, i costumi di Eugenio Girardi, con la preparazione musicale di Maurizio Bogliolo, coi quali ci siederemo nei “cafè chantant”, per cenare a lume di candela, lasciando correre la fantasia sulle ali dei valzer. Anche se sappiamo che l’operetta è menzogna, che è incredibile, indossiamo il frac del conte Danilo e salviamo le finanze del Montenegro.