Di Olga Chieffi
Si è addormentato nella notte di ieri Mario Pantaleone, dopo aver trascorso la giornata nella sua dolceria, in un periodo particolare dell’anno, il periodo natalizio che è paragonabile ad un “Time – Out”, tempo sospeso, vacatio, che sembra indicare come uscita di sicurezza per l’umanità la “cura” del proprio essere, della propria anima, per, ri-generare la vita. Oggi nella prima festa di Luce, il saluto in cattedrale a Don Mario Pantaleone, che è entrato nel vissuto di quanti gli anno affidato i momenti più importanti, di festa, le ricorrenze, le occasioni, della propria vita familiare. E’ festa “passare” da Pantaleone, non per il dolce in sé, ma per partecipare ad una certa “scansione” del tempo, attraverso la tradizione delle Feste “comandate”, San Giuseppe, San Matteo, San Martino, le domeniche di Avvento, che rendono più consapevole il trascorrere del tempo in sé. Una parola, il sorriso di Mario, potevano assolverti e redimere. Oggi, sull’affiorare insistente, sottile e nostalgico di emozioni, colori, profumi, vivificati dall’ascolto di una specie di racconto, un filo di storia breve e pur intenso “pieno”, oggi reso disperato, e insostenibile, per la famiglia e tutti gli amici, dall’agire quieto, incessante e inesorabile, delle grandi leggi di natura, piangiamo Mario, maestro d’amicizia, quel breve scambio di giudizi dell’uomo di cultura, attento, il quale sapeva ben tastare, in ogni settore, il polso della città in cui viveva. E’ questo l’anno del centocinaquantenario, un anno particolare che ha salutato anche la felicissima nascita del nipotino Mario. L’idea delle celebrazioni di questo anniversario che guarda a prima dell’Unità d’Italia era nata da un incontro domenicale tra noi, un “trio” fisso Mario, il M° Antonio Marzullo ed io. “Lasciamo dialogare i due festeggiati, i 150 anni di storia di Pantaleone e le celebrazioni rossiniane. La verve, il genio, la creatività, l’armonia, i linguaggi delle arti sono spesso osmotici, poi, una delle frasi famose di Gioacchino è «Mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verità i quattro atti di questa opera buffa che si chiama vita e che svanisce come la schiuma d’una bottiglia di champagne. Chi la lascia sfuggire senza averne goduto è un pazzo». Un motto questo che racchiude l’allegria spensierata delle sue celebri arie e la malinconia di uno sguardo spesso celato dietro la parola arguta e irriverente, che lega a filo doppio con il carattere di Mario”. Tutto era deciso con Antonio Marzullo per una serata-concerto al teatro Verdi, sotto lo sguardo ironico di Gioacchino Rossini, qualche celebre ouverture da il Barbiere di Siviglia, la Gazza ladra, l’Italiana in Algeri, qualche aria, come quella della sortita di Figaro, qualche canzone, della nostra tradizione. Quindi, la premiazione, da parte del Comune di Salerno, della Confcommercio, per la Dolceria Pantaleone, che porta il nome di Salerno nel mondo, anche attraverso i tanti giovani che hanno imparato l’arte dolciaria nel suo laboratorio. Spazio, luogo, anzi tòpos, poiché di generazione in generazione, i Pantaleone hanno trasformato la pasticceria, ospite di una chiesa sconsacrata, in un simbolo. E’ qui, che con Mario, si poteva discutere di teatro o della Salerno di un tempo, musica, politica, economia, un istante infinito, in quel luogo-non luogo che è il palcoscenico di un teatro, in cui tante volte si trasforma la dolceria di Mario Pantaleone. Mario ha vissuto e ha visto il meglio dello spettacolo del secolo scorso, tra Parigi, Roma, la sua carismatica Napoli, dalla cui tradizione, non solo dolciaria, discende per intero, quella del suo magico “antro”, dove sono passati tutti gli artisti che recitavano al massimo cittadino, da Pupella Maggio, alla Compagnia dei Giovani, da Nino Taranto, ad una giovanissima Virna Lisi, ai fratelli Giuffrè, unitamente a tante personalità che hanno goduto dei suoi dolci, da Garibaldi a Gorbaciov, dai vari papi, a Luciano De Crescenzo, sino a Daniel Oren che non si fa mai mancare pasticceria da the e qualche bottiglia del famoso elisir. Se il dolce che nell’ultimo Barbiere, ha gustato in scena Don Bartolo era firmato da Pantaleone, estro e creatività è stata trasmessa ai suoi giovani, Giulia, Francesco e i nipoti Lucio, sicuramente il suo erede spirituale, quasi lo stesso tono di voce, Alfonso, a capo del laboratorio. Esiste un legame stretto tra il pensiero filosofico dell’esistenza e della ragione umane e il sapere del progettare-costruire, entrambe hanno un comune, e fondamentale riferimento, lo spazio. Noi uomini della fine ereditiamo il concetto di spazio come extensio, con esso Cartesio pensava lo spazio quale pienezza e continuità della materia e quindi quale medium del movimento, del tendere avanti a sé, quale sinonimo dell’amplificazione. Non troveremo più Mario “fisicamente” dinanzi alla porta della sua Pasticceria, ma oggi possiamo immaginarlo in ogni luogo, sacerdote dinamico di un tòpos, che oggi, ancor di più, nel coacervo di emozione di noi tutti, “Pantaleone”, la Dolceria, potrà considerarsi così il segno, di un infinito cammino.