di Marta Naddei
Uno schiaffo, chissà se volontario o meno. Ma le parole di monsignor Luigi Moretti, pronunciate domenica mattina al principio dell’ultima celebrazione di don Luigi Zoccola nella sua chiesetta di san Felice, sono piombate come un manrovescio non solo sul volto del sacerdote picentino (che probabilmente non gli avrà dato peso), ma su tutta la sua comunità. Quel “i parroci passano, la chiesa resta” è suonato come un monito, in quell’istante, nel momento del saluto tra don Luigi e la sua “famiglia” dopo un legame indissolubile che dura da quarant’anni, poco calzante con l’emozione e la commozione che si respiravano a pieni polmoni. Lì a Sala Abbagnano, domenica, non c’erano cittadini festanti che applaudivano al passaggio di statue o che offrivano zeppole ai sindaci, lì c’era solo un uomo, un pastore, che salutava la comunità che lo ha accolto, lo ha amato e che probabilmente, proprio grazie a lui, ha riscoperto la fede. Una frase che proprio non è andata giù soprattutto ai fedeli e agli amici di don Luigi. In primis ad Albino D’Ascoli, colui che prima, dopo e durante la malattia, ha tenuto per mano don Luigi Zoccola: «Se l’assunto di Moretti è vero mi auguro che valga anche per i Vescovi». Una staffilata quella dell’ex funzionario regionale che lascia poco spazio ai dubbi su come la comunità di don Luigi interpretasse e vivesse quel particolare momento. «Non mi pare che monsignor Moretti stia portando avanti una gestione brillante della Curia.Io l’ho vista come una provocazione, perché dal mio punto di vista c’entra anche Moretti nella decisione di don Luigi». Il parroco picentino che, secondo D’Ascoli, «è stato un vero pastore. Un vero pastore povero che non ha mai avuto aiuto da alcuno». Ma c’è di più, annuncia:«Domani sera (oggi per chi legge, ndr) si insedierà il nuovo parroco e non ci andrò perché non ho voglia di vedere Moretti». Insomma, sobrietà e spiritualità certamente ma dinanzi al saluto di un uomo, di un amico, di un fratello alla sua comunità, probabilmente era il caso di soprassedere.