Di Enzo Sica
Una domenica qualsiasi dell’anno, come ogni mattina suona la sveglia, oggi essendo festivo un pochino più tardi del solito. Tutti in piedi per la toilette e sistemare la propria branda componendo il famoso cubo, ordinati pronti per l’adunata al centro della camerata, per poi uscire per recarsi al refettorio in rigorosa fila per due nel percorso che ci conduceva al refettorio e dove ad attenderci la colazione: latte e fette di pane. Dopo aver terminato la stessa di nuovo in fila per due scendevamo le scale attraversavamo il corridoio del conservatorio e giù per le scale andavamo in villetta dove attendevamo l’orario per andare in chiesa. L’istitutore di turno chiamava l’adunata e tutti prontamente o quasi ci si allineava per mettersi in partenza per la Santa Messa, dalla villetta si apriva un cancello e tutti noi in fila attraversavamo scendendo delle scale e attraversavamo un lungo corridoio che ci portava alla porticina dietro al sacrestia della nostra chiesa Sant’Anna in San Lorenzo. Essendo un passaggio non troppo largo passavamo uno per volta in rigoroso silenzio imposto dall’istitutore e dal luogo dove eravamo. Lì ci capitava di incontrare nella sacrestia il parroco. Oggi ognuno ricorda il proprio nei tempi trascorsi: personalmente essendo stato lì negli anni a fine anni Sessanta, ricordo padre Beta, quindi, padre Teodosio e padre Vittorio, quest’ultimo con tanto affetto. Padre Teodosio è stato l’amico, il sacerdote, il fratello al quale si poteva confidare il proprio malessere, la propria gioia, unitamente ai tanti sfottò per la sua fede calcistica ancora oggi sorridiamo nel suo ricordo. Lui ha consacrato il mio matrimonio come quello di tanti altri. Fino alla fine è stato vicino a noi ex allievi sempre, anche una volta usciti dall’istituto, confermandosi punto di riferimento e valido e generoso aiuto. All’entrata in chiesa, appena varcata la sacrestia, ci appariva il retro del maestoso altare, un percorso che ancora oggi esiste, purtroppo chiuso per il rifacimento dell’istituto, ma entrando dall’archivio comunale se ne vedono i resti, anche se rifatti , si entrava in chiesa da una sua porta laterale quasi sempre a sinistra e ad uno ad uno entravamo e prendevamo posto sugli scanni, sempre in rigoroso silenzio, e voltando lo sguardo alle spalle furtivamente, per intravedere qualche famigliare che veniva a sentire la messa, ripresi dagli attenti istitutori o capi scelta ad avere lo sguardo avanti e rimanere seduti in silenzio. Quei momenti erano importanti per noi tutti ti sentivi fuori dalla reclusione percependo la libertà, ecco perché l’istitutore di turno era sempre posizionato alla fine della chiesa per evitare che qualcuno ( nel pensiero di tanti) potesse approfittare del momento uscire dalla porta e scappare. Anche se era impossibile, ma il pensiero era presente, finita la Santa Messa ad uno ad uno si ripercorreva all’indietro il percorso fatto rientrando nella villetta per attendere il pranzo domenicale, per quindi ritornare alla routine giornaliera, ma la domenica era anche molto attesa per tanti di noi, poiché se giocava la Salernitana in casa un buona parte degli allievi, coloro i quali si erano comportati bene, quale premio venivano condotti allo stadio a vedere i Granata del Sud. Che emozione, che ricordi bellissimi, usciti dal portone ed in fila sempre per due scendevamo da Canalone via Camillo Sorgente, via Vernieri fino a piazza Casalbore lato tribuna dove entravamo felici gioiosi liberi per tifare la nostra amata Squadra, il nostro posto era la parte alta vicino alla tribuna stampa in modo da essere sotto il controllo degli istitutori ed eventuali fughe sempre in agguato sempre in mente di ogni ex allievo, sfruttando ogni occasione. Ma questa è un’altra storia.