E’ stata presentata alla Galleria Il Catalogo la mostra che sarà inaugurata sabato 28 marzo alle ore 11,30, evento che apre la primavera espositiva di Lelio Schiavone e Antonio Adiletta
La primavera espositiva della Galleria Il Catalogo di Lelio Schiavone e Antonio Adiletta affida l’apertura alla pittura “rivoluzionaria” di Mario Schifano. Genio eretico, artista stupefacente, pensiero complesso non catalogabile, esponente della pop art italiana, Schifano travalica i limiti che andava incontrando e, per lui, ciò che conta sono le esplorazioni, le influenze e commistioni con tutto quanto lo circonda. Ama plasmare un’accesa interiorità con materiali fino ad allora poco o per niente considerati, come le tele emulsionate o il plexiglas. Schifano ha re-interpretato suggestioni importanti del suo secolo con letture personalissime e senza cadere in orridi manierismi. Così privo di pudori o sentimentalismi è stato autentico outsider e al tempo stesso maestro indiscusso, con cui necessariamente confrontarsi. La svolta storica nella sua opera è databile nei primi anni ’60 sorta di confine definitivo dal quale Mario Schifano non tornerà più indietro e proprio da questi anni parte la mostra della Galleria Il Catalogo, che verrà inaugurata sabato 28 marzo, alle ore 11,30, con 14 opere, tutte inventariate dall’Archivio dell’artista, che ripercorrerà quel decennio di cambiamenti continui, frenetici, definitivi, il boom economico, l’avvento della tivù, l’esplosione della pubblicità e del consumismo. Ieri mattina, la direzione artistica della galleria alla presenza dell’Assessore alle Politiche culturali e all’Università del comune di Salerno Ermanno Guerra, Lelio Schiavone e Antonio Adiletta hanno presentato il prestigioso evento che vede in questo week-end Il Catalogo impegnato su due fronti, poiché la grande mostra dedicata a Chagall che inaugura in contemporanea sabato sera porta il sigillo dello storico spazio espositivo salernitano, che ha intercesso presso la galleria Pananti di Livorno per la concessione delle 75 incisioni dell’artista. “Con la mostra di Mario Schifano – ha affermato Ermanno Guerra – viene inaugurata la primavera salernitana, che è contraddistinta da eventi culturali prestigiosissimi di cui questa esposizione ne è certamente capofila, come punto di riferimento nonché catalizzatore della cultura in città è sempre stata questa galleria, giunta quasi al cinquantenario”. “Pur essendo una galleria privata e quindi commerciale – ha aggiunto Lelio Schiavone – che sopravvive senza alcun aiuto istituzionale abbiamo sempre cercato di proporre l’eccellenza alla città di Salerno. Con grande sforzo si è pensato di far ritornare, dopo quarantadue anni tra queste mura l’arte la rivoluzione pittorica di Mario Schifano, fedeli all’assunto di Alfonso Gatto, che ci ha resi fedeli alla grande pittura italiana del ‘900 ma sempre aperti al nuovo”. Le opere scelte da Lelio e Antonio sono simbolo di quel lasso di tempo cui l’assunto è praticare l’impossibile, cercare inderogabilmente nuove strade, musica, danza, teatro, letteratura, allontanandosi da ogni stereotipo rassicurante. Sulle pareti vedremo qualche paesaggio anemico, paesaggi naturali, ma costruiti mediante un linguaggio adeguato ai modi espressivi del proprio tempo, con un cromatismo molto particolare dai colori squillanti e artefatti. Una pittura quella di Schifano che diviene il punto d’incontro di linguaggi incrociati, realizzati sia mediante la riproduzione meccanica dell’immagine sia mediante il successivo intervento della mano dell’artista. Schifano è figlio del proprio tempo. Dipinge anche en plein air, strappa gli alberi di Duchamp, quelli dei giardini pubblici, e li innesta, sezionandoli, nelle sue tele. L’artista che più gli entra nel sangue? Matisse, al quale ruba la tavolozza. I blu di Schifano sono fra i più belli e intensi della pittura italiana, si impossessa dei colori, delle sagome, accomuna segni e paesaggi. Individuato un momento, un particolare, lo ripropone anche decine e decine di volte, persino in maniera estenuante. Quando si ripete, in realtà l’artista cerca di misurarsi con la memoria: sprazzi, barlumi e i particolari si incendiano, ma egli preferisce non approfondire. Dipinge con la stessa frenesia con la quale vive. Disordine incosciente come punto di partenza; disordine cosciente come punto di arrivo. Nel suo studio erano accesi dai 10 ai 15 televisori, eventi su eventi si susseguivano per l’intera giornata, ma la lezione che proviene da Mario Schifano è che la sua Musa Ausilaria, la televisione è solo un mezzo, un mezzo per cogliere e realizzare l’istante infinito che è quello dell’arte. L’esposizione della galleria Il Catalogo, si articola su un nucleo di opere che nel loro complesso rivelano il carattere fondamentale di questo artista: l’essere comunque e profondamente pittore, una propensione quasi innata che ha spinto Schifano incessantemente, a far scontrare la sua pittura con i mezzi di comunicazione di massa. In Schifano come in pochi altri il medium antico e prezioso dell’iconografia si fa chiave di lettura di una società dominata dallo “spettacolare diffuso”. Come Achille Bonito Oliva, poco meno di un ventennio fa afferma, “Per lui essere moderno significa adattare tale mezzo (la pittura), con tutta la sua storia aurea, al carattere quantitativo della nostra epoca. Per questo ne ha accompagnato l’uso mediante un’accanita sperimentazione e contaminazione linguistica”. In mostra anche l’opera denominata “Le stelle” non rimanda a una contemplazione del cielo, ma alle luci riflesse dalle insegne dei locali notturni che Schifano riproduce sulla tela usando sagome stellate su cui interviene con spray fluorescenti, legata alla nascita del suo gruppo rock sulle tracce dei Velvet Underground di Warhol, “Le stelle di Mario Schifano”, musica vicino al delirio cosmico tedesco, fatto di acidi e altro. Perché per Schifano, nel tempo della “Società dello spettacolo” a fare da riferimento all’arte, che è rappresentazione della vita, può essere soltanto una precedente rappresentazione dell’esistenza stessa.