La morte. Quella di Giorgio iconizzata, di Gaza estraniata - Le Cronache Attualità
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La morte. Quella di Giorgio iconizzata, di Gaza estraniata

La morte. Quella di Giorgio  iconizzata, di Gaza estraniata

di Aldo Primicerio

Sì, la morte. Mai uguale e coerente. Per nessuno, o quasi. Molti di noi ci avranno sicuramente riflettuto. Se è quella di un grande come Armani, non è mai una notizia normale. E’ gridata, ritualizzata, istituzionalizzata, consacrata. Se invece – tra i 18mila bambini di Gaza uccisi dalle bombe o dai proiettili di Israele – è quella di Hind pochi mesi, o di Mohammed 2 anni, o di Jumaa 7 anni, o di Nur 12 anni, è solo fredda ed incolore. E’ così che i media raccontano le storie della Striscia. Sul sentito dire. Lo ha tratteggiato mirabilmente Gianfranco Mascia, ecologista e blogger.  Quella di re Giorgio, 91 anni, sembra quasi non essere stata una morte. Le tv hanno preferito esaltarne la vita. Il feretro è un dettaglio. Ed è giusto, perché “il Re” ha scritto per quasi un secolo la storia del nostro Paese. Resterà per sempre un’epopea del genio italiano. Quella invece dei 18mila infanti che muoiono a Gaza non hanno dignità narrativa. Per Giorgio è un coro, per Gaza un sussurro smarrito

 

L’umanità verso il nulla cosmico. Conta quanto hai e non chi sei

E sì. Perché i pensieri e le riflessioni di questi giorni ci svegliano dal torpore della consuetudine. E ci ricordano la profondità della crisi dell’umanità. Ci fanno ritrovare il senso di una umanità perduta. Più che politica, economica, sociale, quella che stiamo vivendo è soprattutto una crisi umana. Ce l’ha ricordato uno scritto di Luigi De Magistris, magistrato, giurista, e poi politico e sindaco di Napoli. E quindi ecco che l’addio alla vita di Giorgio e la tragedia dei 18mila bambini di Gaza fanno emergere lo smarrimento della dimensione umana. E quindi ecco la corsa al riarmo, il chiodo fisso della supremazia, la guerra invece che la pace, l’arma-sindrome di Meloni Macron Merz Starmer, le spalle girate alla salute dei cittadini, zero interesse per ambiente natura e bellezza della vita, il dominio del neo capitalismo sull’umanesimo, del neo-liberismo su welfare e giustizia sociale, del denaro sulla persona sull’anima, sul cuore. Grazie Luigi per averci ricordato che siamo davanti alla negazione del Cogito ergo sum di Cartesio, dell’essere fondato sul non-pensare.

 

Violenza e omicidi per risolvere controversie e soddisfare il bisogno di vendetta

L’io più importante del noi spiega l’aggressione di Hamas e la cattura degli ostaggi, la reazione giusta ma nel contempo sconsiderata di Israele, l’invasione della Russia in Ucraina, la belligeranza che prevale sulla diplomazia. E’ l’odio oggi il valore dominante, il veleno che si diffonde e che arma la mano maschile che accoltella le ex-mogli e compagne, ma anche il virus che si sparge tra le donne che universalizzano la violenza maschile, non più solo di “quelli” ma di tutti gli uomini. E così si spiega l’odio che prevale sull’amore, la rassegnazione sulla reazione, l’afasia sull’esprimersi, l’appartarsi sul partecipare e, perché negarlo, spiega anche la fuga dei giovani dalle loro patrie, lo spopolamento delle città e dei paesi, la crescente perdita d’identità di paesi e città. E’ l’effetto dei diritti negati e soppiantati dalla legge del più forte

 

Ed ecco anche la diversità delle reazioni alla notizia di una morte

Il necrologio di Giorgio diventa epico, le sue foto icone per sempre, i telegiornali sublimati in speciali. La sua sembra quasi una non-morte, una consacrazione apoteosica, una eternizzazione del mito. Ed è anche giusto che un grande uomo diventi una leggenda, che la sua morte diventi un racconto, che i media ne esaltino anche i minimi particolari. Ma non è giusto che ai 18mila bambini di Gaza non venga concessa uguale dignità.

Ma perché? La risposta è deprimente. Perché la morte di Giorgio è unica e conclusiva, è quella di un vincente. Quelle di Gaza non lo sono perché ripetitive, materia per riempire gli spazi dei bollettini, non vincenti ma vittime, i cui corpi nascosti, le loro storie inascoltate. Perché ci piacciono le storie esaltanti, ma non quelle di sogni infranti. Loro sulla Striscia muoiono per diventare un numero, non un ricordo. Infatti il palcoscenico è diverso.. Quello di Giorgio è il red carpet lussuoso, percorso da donne con abiti scintillanti. Quello di Gaza è la miseria delle macerie, tra cui vagano piccole anime impolverate.

Ma soprattutto sono le storie ad essere diverse. Quella di Giorgio è unica e singolare con un grande protagonista, che pretende di essere raccontata. Quella di Gaza e dei suoi bambini ci appare quasi insopportabile, troppo violenta e tragica per essere narrata, non degna di essere neanche guardata perché temuta, e quindi relegata nell’anonimato, quasi subito cancellata perché ha effetti dolorosi per il nostro cuore ed i nostri sentimenti. E quindi ecco quello che accade: l’effetto narcotizzante di notizie che si ripetono ogni giorno sempre uguali fino a diventare paradossalmente normali, quasi abituali perché di routine. La nostra empatia ce la conserviamo per quello che sentiamo più “nostro”, più vicino a noi

 

Ci serve un potere istituzionale meno cinico e violento e più umano, che ci appaia come costruttore non di guarra e di morte ma di un futuro migliore

E sì. Perché oggi alcune cose ci sembrano preferibili ad altre:  il distanziamento  all’abbraccio, i muri all’abbattiamento dei confini, le catene alla liberazione, l’oppressione al riscatto. Ecco allora l’importanza di riesumare l’umanità che è sepolta in noi, di riscoprirci individui, di rifondare le nostre città come polis ed il nostro Paese come res publica. E’ la nostra coscienza, la nostra cultura che dobbiamo riportare a galla. Ecco perché noi ritorniamo spesso sulla importanza degli studi superiori, dell’Università, della laurea, della conoscenza dei valori dei filosofi e dei letterati soprattutto della Grecia e della Roma antica. Di quelli che ci allargano gli orizzonti, ci stratificano la cultura, ci ispessiscono la coscienza, e ci consentono di dedicarci alla città, alla Regione, allo Stato con molta più consapevolezza e competenza di quelle che vediamo oggi. E’ la cultura quindi l’arma più potente della nostra emancipazione. La Costituzione una luce che non dobbiamo oscurare con le modifiche cui ci spinge la nostra ignoranza. La Chiesa, la religione e, per i cristiani, il Vangelo il faro di spiritualità e di forte vita interiore. Quindi occorre cambiare. Perché con più coraggio si può, si deve. Perché una maggiore vocazione umana può produrre un modello nuovo e migliore di società e di politica. Un cambiamento, dunque, che deve avvenire prima dentro, e poi fuori di noi. Anche nel nostro giudizio sulla morte. Perché non sia la celebrazione di una vita ed il silenzio su tante altre. Perché non sia solo un privilegio per alcuni, ma un destino universale ed uguale per tutti.