
di Lucia Perri, avvocato del foro di Avellino
L’Avvocatura è una professione che richiede tenacia, competenza e dedizione assoluta. Per le donne, però, il percorso è stato spesso più tortuoso, segnato da pregiudizi, disparità e un equilibrio instabile tra carriera e vita privata. Nonostante le difficoltà, l’Avvocato donna ha saputo conquistare il proprio spazio, portando una prospettiva nuova e spesso più sensibile nel mondo della giustizia. Essere donna in un ambiente tradizionalmente maschile significa dover dimostrare il proprio valore più degli uomini, superando pregiudizi e aspettative differenti, da parte degli stessi clienti. Le donne dell’Avvocatura spesso devono fronteggiare un’idea ancora radicata della professione, che associa l’autorevolezza e la leadership a tratti considerati “maschili”. Ma la sfida più grande è forse quella della conciliazione tra lavoro e vita privata: l’Avvocatura è una professione totalizzante, con orari imprevedibili e una costante pressione per ottenere risultati. Per molte donne, questo significa dover scegliere tra la carriera e la famiglia, o affrontare il senso di colpa di non riuscire a dedicarsi pienamente a nessuna delle due. Non è raro che una donna, dopo anni di sacrifici, si trovi costretta a rallentare o persino abbandonare la professione per la difficoltà di gestire tutto. Ci sono momenti in cui, tuttavia, la scelta non è neanche un’opzione, ma una necessità imposta dalle circostanze. La maternità, che dovrebbe essere un’esperienza tutelata e rispettata, spesso si trasforma in un ostacolo insormontabile per le donne che esercitano la professione forense. Nel mio caso, durante la gravidanza, a causa delle minacce d’aborto, sono stata costretta a interrompere completamente l’attività lavorativa. Non si è trattato solo di una pausa temporanea, ma di un vero e proprio arresto del percorso professionale, con tutte le conseguenze che ne sono derivate: perdita di chance lavorative, difficoltà a mantenere la propria posizione e il timore di dover ricostruire tutto da capo. Dopo la nascita di mio figlio, riprendere è stato, difatti, come ricominciare da zero, con il peso aggiuntivo della responsabilità materna e la necessità di dimostrare ancora una volta di essere all’altezza, quasi a dover compensare il tempo “perso”. Ogni traguardo raggiunto in precedenza sembrava svanito, i contatti professionali da ricostruire, mentre il mondo intorno andava avanti senza aspettare; non restava altro da fare se non rimboccarmi nuovamente le maniche, spinta dall’amore verso questa professione e dalla ferma volonta’ di tutelare i diritti delle persone. Il peso delle parole: avvocato o avvocatessa? Non è certo il dibattito terminologico sul titolo di Avvocata, Avvocatessa o Avvocato a far esaltare il ruolo della donna nell’Avvocatura; anzi il fatto stesso che si discuta su quale titolo attribuire alle donne nella professione evidenzia il divario di genere ancora esistente. Gli uomini non devono giustificare o adattare il proprio titolo professionale, mentre per le donne la scelta lessicale diventa una dichiarazione di principio. È un dettaglio che dimostra quanto la parità non sia ancora pienamente raggiunta e quanto sia necessario un cambiamento culturale per superare realmente le discriminazioni, senza rimandare a stereotipi. La pioniera della giustizia: Tina Lagostena Bassi Tra le donne che hanno lasciato un segno nell’avvocatura italiana, spicca la figura di Tina Lagostena Bassi, avvocato, politica, instancabile difensora dei diritti delle donne. Negli anni ‘70, in un’Italia ancora profondamente patriarcale, fu una delle prime donne Avvocato a occuparsi di violenza sessuale, difendendo in tribunale le vittime e denunciando con forza il modo in cui la società e il sistema giudiziario le colpevolizzavano. Il suo discorso in aula durante un celebre processo per stupro è rimasto nella storia. Verso un futuro più equo La donna in toga è simbolo di resilienza, equità, competenza e impegno: simbolo che porta con se’ il cambiamento necessario per rendere il diritto più giusto e inclusivo per tutti. Indossare tacchi a spillo, proprio come indossare la toga, non è in conflitto con la professionalità, ma la completa. La professionalità e la femminilità non sono in contrasto, anzi, si fondono in un’unica, potente identità, dove ogni aspetto di sé viene rispettato e valorizzato. La vera forza risiede nel saper essere se stessi, senza rinunciare a nulla di ciò che ci definisce.