Riflessioni dopo gli eventi musicali e culturali che hanno animato la città di Salerno il 17 novembre
Di OLGA CHIEFFI
“Scherza coi fanti, ma lascia stare i Santi” ammonisce il sacrestano, intercalando l’aria di Mario Cavaradossi “Recondita armonia”. “L’arte nel suo mistero le diverse bellezze insieme confonde”, ma venerdì 17, una giornata alterna, che ha salutato eccellenze qui a Salerno, da Marco Tezza in concerto per il Festival Internazionale Piano Solo a Palazzo di Città al grande tenorsax Bob Mintzer alla testa della storica formazione delle YellowJackets al Modo, la brava Valeria Raffaele al Verdi, la buona produzione di Teatro Novanta “Uomo e Galantuomo” al Delle Arti, in duomo si è giocato ancora con l’Ossca, la formazione dal nome altisonante, “Claudio Abbado”, presentata sempre come giovanile che, per la ghiotta occasione, la direzione dell’eccellenza assoluta della musica abruzzese, vestita da Carlo Pignatelli (note in curriculum) Jacopo Sipari di Pescasseroli, ha schierato numerosi professionisti, che hanno evidentemente ceduto alle lusinghe auree (speriamo per loro sufficientemente congrue) del grande mecenate e pseudo-compositore della formazione, Giovanni Di Lisa, ben supportato da qualche maggiorente del nostro consiglio comunale. Si continua a giocare al ribasso e senza ritegno con la musica, in un luogo e in una città che ha visto dirigere le massime bacchette mondiali, che “ha rischiato” anche di accogliere Sergiu Celibidache e i Munchner Philharmoniker e che oggi dà credito ad un allievo di Alberto Veronesi, direttore, figlio di un “fu” dio maggiore, ampiamente criticato in città per la sua Madame Butterfly del 2012, per i danni del 2015 al Pompei Festival e gli sconci prodotti in tutt’ Italia, quel Alberto nazionale, il “secondo direttore a dirigere, dopo Arturo Toscanini, alla Carnegie Hall”, il grande direttore musicale della Fondazione del Teatro Petruzzelli di Bari (sic!), il direttore artistico del Puccini Festival di Torre del Lago, sempre più sull’orlo del baratro finanziario e qualitativo, l’inventore del Festival della Melodia Belliniana a Giardini Naxos e Taormina, mentore del “conturbante” (così definito da una nota testata in rete n.d.r.) Jacopo Sipari di Pescasseroli, per il suo narcisistico e invasato stile direttoriale. L’orchestra, che contava tra le sue fila Pasquale Faucitano quale konzertmeister, Stefano Grimaldi, primo dei secondi violini, Giulio Piccolo quale prima viola, Luigi Lamberti e Carmine Viscido tra i contrabbassi, con qualche novità anche tra gli strumentini, nonché uno degli stigmatizzatori del marketing di queste formazioni giovanili, il violoncellista Matteo Parisi, con al suo fianco Norma Ciervo, un cognome pesante della musica campana, compagna del direttore stabile dell’Ossca Ivan Antonio, ha dovuto elevare l’Avemaria op.8 del mecenate Di Lisa, affidata alle voci di Anna Corvino, che ricordiamo splendida Mimì al Verdi, diretta da Daniel Oren, con al suo fianco Jessica Pratt, Beatrice Amato vincitrice del premio Umberto Giordano 2017 ed Elsa Tescione. E’ questa una pagina che Giovanni Di Lisa, (in città ricordo che conserviamo anche l’unica edizione critica dell’opera di Temistocle Marzano “I Normanni a Salerno” redatta da persona che non sa leggere la musica), concepita per le nozze di Ivan Antonio e Norma Ciervo, che cerca di amalgamare tutti i saperi, sapori e odori del compositore, dalla tradizione partenopea, alle influenze del requiem mozartiano, da lui molto amato, sino alle scialbe paginette delle diverse animazioni liturgiche contemporanee, legate al canto, in assenza di un filo logico musicale, offerto in minima parte dal testo, che ha aiutato il pubblico ad orientarsi nell’ascolto. Mentre scorreva il programma, tra la buona prova del cellista Giuliano De Angelis in Saint Saens e la VII sinfonia di Beethoven, con un’orchestra la cui massa di volume era letteralmente dimezzata dalla presenza dei violini di riempitivo, forse “incantati” a seguire le evoluzioni, passionali ed acrobatiche del maestro sul podio, il pensiero di diversi operatori culturali presenti volava all’incontro post-concerto con Jacopo Sipari, il nobile e romantico cavaliere di Pescasseroli, sperando in una sua chiamata, in particolare per i vari concerti-evento che organizza, soprattutto in Vaticano, essendo tra l’altro avvocato della Santa Sede, dirigendo queste formazioni da lirica d’estate. Infatti, sabato 18 l’Ossca è sbarcata all’Aracoeli in Roma, dove è avvenuto addirittura un passaggio di bacchetta tra Alberto Veronesi e il suo pupillo Jacopo. Sprezzo, meraviglia, critica, indignazione, pudore, etica sono termini, oramai, in disuso. E’ tutto chiaramente e freddamente spiegato nell’analitico volume del filosofo canadese Alain Denault “La mediocrazia”, edito da Neri Pozza. Denault annuncia la presa del potere dei mediocri e l’instaurazione globale del loro regime, la mediocrazia, in ogni ambito della vita umana. Essere mediocri, spiega Deneault, non vuol dire essere incompetenti. Anzi, è vero il contrario. Il sistema incoraggia l’ascesa di individui mediamente competenti a discapito dei super competenti e degli incompetenti. Questi ultimi per ovvi motivi (sono inefficienti), i primi perché rischiano di mettere in discussione il sistema e le sue convenzioni. Lo spirito critico deve essere limitato e ristretto all’interno di specifici confini perché, se così non fosse, potrebbe rappresentare un pericolo. Il mediocre, insomma, spiega il filosofo canadese, deve “giocare il gioco”. Stare al gioco vuol dire accettare i comportamenti informali, piccoli compromessi che servono a raggiungere obiettivi di breve termine, significa sottomettersi a regole sottaciute, spesso chiudendo gli occhi e il naso. È in questo modo che si saldano le relazioni informali, che si fornisce la prova di essere “affidabili”, di collocarsi sempre su quella linea mediana che non genera rischi destabilizzanti. “Piegarsi in maniera ossequiosa a delle regole stabilite al solo fine di un posizionamento sullo scacchiere sociale” è l’obiettivo del mediocre, che ci ha portato all’attuale situazione politica ed economica. Uscirne? Personalmente sono pessimista ma, per evitare un futuro di cui faremmo volentieri a meno, Deneault indica una strada che parte dai piccoli passi quotidiani: resistere alle piccole tentazioni e dire no, riconquistando le perdute nozioni forti della storia democratica, come Popolo, la Cosa Comune e il Bene Pubblico. Resistere per uscire dalla mediocrità non è certo semplice. Forse, varrebbe la pena tentare, cominciando dalla scuola, dallo sport, dalle arti, simboli della libertà umana.