Di Olga Chieffi
Tre concerti per un omaggio al secolo breve, a quel tempo rivoluzionario che ci siamo lasciati alle spalle, dove la parola d’ordine si è rivelata il cambiamento, dal segno musicale alla meccanica e alla tecnica degli strumenti e del canto, che sarà il tema dell’autunno di Salerno Classica, che da stasera, negli spazi del museo diocesano di Salerno, ripercorreranno l’eredità musicale ricevuta dal XX secolo. “Salerno Classica – ha dichiarato il Presidente Francesco D’Arcangelo della Associazione Gestione Musica, organizzatrice del cartellone – ritornando al centro di Salerno in un luogo di grande fascino come il museo diocesano propone una serie di tre concerti estremamente vari, dedicati al ‘900, secolo rivoluzionario, un periodo storico che musicalmente ha creato le fondamenta per l’espressività moderna. Ovviamente nel 2025 la “modernità” del ‘900 può considerarsi ampiamente assimilata e quell’avanguardismo oramai più che digerito, rimane comunque un periodo storico culturale di enorme vivacità ed importanza”. Un prezioso cartellone smart, questo, firmato dal direttore artistico Costantino Catena, realizzato grazie al sostegno del Ministero MIC, della Regione Campania, patrocinato del comune di Salerno, in sinergia con Salerno Opera, che vedrà il suo concerto inaugurale, domenica 9 novembre alle ore 20,30, che saluterà protagonisti il soprano Susanne Bungaard, il clarinettista Nicola Bertolini, unitamente all’Ensemble Salerno Classica diretta da Valter Sivilotti, venerdì 14 novembre si continuerà con la grande musica da camera per un confronto tra l’Ottocento e il Novecento, attraverso i quintetti con pianoforte di Robert Schumann con l’ opus 44 in mib maggiore e Dimitri Shostakovich, con l’ opus 57 in sol minore, eseguiti da Olekandr Semchuk e Ksenia Milas al violino, Silvia Mazzon alla viola, Giuliano De Angelis al violoncello e Gustav Sciacca Schantz al pianoforte. Finale venerdì 21 novembre con il violoncellista Nicola Fiorino e il pianista Filippo Balducci, con un programma che lancerà un ponte di musica lungo ben tre secoli attraverso una pagina contemporanea di composta da Massimo de Lillo, ispirata alla Dea Thèmis nella trascrizione per violoncello e pianoforte, quindi la Sonata novecentesca di Francis Poulenc, in cui il cambiamento dallo stile scanzonato a quello meditativo del genio francese è più che evidente, per chiudere con il romanticismo tutto brahmsiano della sonata n. 2 in fa maggiore op. 99, dall’ andamento a volte solenne o passionale, che si schiude a fantasie liete o, addirittura, infantilmente serene. Il concerto stasera, verrà aperto dai Folk Songs di Luciano Berio, del quale celebriamo il centenario della nascita, un ciclo di canzoni che nasce nel 1964, nell’interpretazione del soprano Susanne Bungaard. Il compositore sceglie e arrangia dodici canti popolari provenienti dalla tradizione orale di differenti popoli e nazioni: gli Stati Uniti, l’Italia (con un canto siciliano e uno sardo), la Francia, l’Azerbaijgian e l’Armenia, terra d’origine della famiglia di Cathy Berberian, la grande cantante, la meravigliosa interprete che Berio aveva conosciuto al Conservatorio di Milano e che dal 1950 era diventata la sua prima moglie. Egli utilizza un procedimento decisamente moderno già nella prima, Black is the color, quando il violino solista continua il suo preludio solo approssimativamente tonale “like a wistful country dance fiddler” (“come un malinconico violinista country”) anche durante il canto, senza essere coordinato con esso dal punto di vista metrico e ritmico. Qualcosa di simile si ritrova anche nel Motettu de tristura, in cui in realtà solo il canto segue un tempo, mentre gli archi e l’arpa suonano figure di accompagnamento metricamente non coordinate e il flauto piccolo, che entra in gioco più tardi, vive anch’esso nel suo mondo. L’accompagnamento complesso della quinta canzone A la femminisca è scritto in modo metrico, ma è così complesso dal punto di vista ritmico che alla fine produce lo stesso effetto. In Lo fiolaire si combinano elementi coordinati e non coordinati, in quanto il violoncello e la viola inizialmente accompagnano il canto con lo stesso tempo, ma poi la viola suona i propri trilli e le proprie figure in modo del tutto autonomo. L’emergere solistico di singoli strumenti, che diventano così partner e antagonisti della cantante, è un espediente molto apprezzato anche in altri brani. Oltre agli esempi già citati, questo è il caso dell’ultima strofa della seconda canzone I wonder as I wander, dove il flauto imita in parte la voce cantata, o anche della nona Malurous qu’o un fenno, un duetto continuo tra flauto e cantante. Altre sono invece veri e propri brani d’insieme, in cui diversi strumenti si alternano, si completano e suonano insieme l’arrangiamento. Tra questi figurano in particolare le due canzoni composte dallo stesso Berio, La donna ideale e Ballo, entrambe molto movimentate e decisamente virtuosistiche, nonché il grandioso brano finale Azerbaijan love song. Di tanto in tanto, tuttavia, gli basta un semplice accompagnamento con pochi strumenti, che si tratti dei suoni dell’arpa nel terzo brano Loosin yelav o delle note lunghe del clarinetto nel quarto brano Rossignolet du bois. Omaggio ad Aaron Copland, del quale ascolteremo il Concerto per clarinetto affidato a Nicola Bertolini, che nasce da una commissione di Benny Goodman, il re dello Swing, datato 1950. Questo concerto, nel quale troviamo uniti elementi di musica popolare e classica, non si articola nel tradizionale modulo di tre movimenti, bensì è formato da due movimenti strettamente connessi tra loro, tanto da essere percepiti come un unico lungo tempo. Anche l’organico strumentale è poco usuale; soltanto la sezione degli archi accompagna il solista, l’orchestra è priva dei fiati e delle percussioni, per rendere più netto e deciso il suo dialogo col clarinetto; con gli interventi dell’arpa e del pianoforte il brano acquista un vago sapore jazzistico. Copland s’ispira anche alla musica popolare brasiliana che, soprattutto nel secondo movimento, viene adattata allo stile e alle capacità di Goodman. Era quello un periodo di intenso lavoro per Copland che aveva appena completato la sua terza sinfonia ed era di ritorno da Rio de Janeiro, dove, nei momenti di pausa, aveva abbozzato il primo dei due movimenti di cui si compone il lavoro. In questo concerto, come affermò lo stesso Copland, vi è “una fusione inconscia di elementi legati alla musica popolare dell’America del Nord e del Sud”, presenti, soprattutto, nella cadenza che collega i due movimenti, di cui si compone il lavoro, eseguiti senza soluzione di continuità. È abbastanza riconoscibile, infatti, una melodia brasiliana ascoltata dal compositore stesso a Rio. Il primo movimento, Lentamente e espressivo, dall’andamento meditativo e rapsodico, pone in evidenza le caratteristiche liriche ed espressive del clarinetto; la dolce e malinconica linea melodica è sostenuta dagli accordi dell’arpa. Un’ampia cadenza lo collega al successivo Piuttosto veloce, introducendone i temi jazz latino-americani; il ritmo è più vivace e quasi scherzoso, il solista deve mostrare tutta la sua abilità. La seconda e ultima sezione, per forma simile a un rondò, presenta spunti tematici ripetuti e invertiti in una sorta di “botta e risposta” tra gli archi e il clarinetto; ricca di sincopi e accenti ritmici, si conclude in crescendo con un lungo glissando del clarinetto. Finale con i Beatles Songs ancora di Luciano Berio per la voce solista di Susanne Bungaard. I Beatles erano più di una band di straordinario successo, pionieri nella loro voglia di sperimentare e nel loro intuito per lo spirito del tempo: quasi nessuno sviluppo dei decenni successivi sarebbe stato concepibile senza i Beatles. Ma non solo nella musica popolare, anche tra i musicisti e i compositori “seri” questa band godeva e gode tuttora di uno status eccezionale, considerato il suo contributo alla musica contemporanea non paragonabile a nessun altro gruppo. Oltre al grande successo, il giudizio è dovuto naturalmente alla qualità della musica: le melodie orecchiabili ma mai banali, le armonie in parte straordinarie, nonché la ricchezza di idee e l’originalità delle canzoni. Ma anche gli stessi Beatles coltivavano una certa vicinanza alla musica classica, in particolare attraverso molti loro arrangiamenti, che integravano sapientemente strumenti classici – si pensi ad esempio al quartetto d’archi, all’epoca rivoluzionario, in Yesterday, solo per citare uno dei tanti esempi. Viceversa, numerosi compositori e arrangiatori non hanno perso l’occasione di vestire le melodie dei Beatles di un abito “classico.





