Dall’alto del suo riconosciuto magistero, Jerry Bergonzi ha permeato la tradizione e il linguaggio del sassofono di una seducente luminosità, facendo sì che l’anima “nera” del jazz, quella più emotiva ed istintiva, si sposasse con la precisione e la formalità tecnica in cui spesso indulgono i jazzisti bianchi. La voce del sax tenore di Bergonzi è, pertanto, inconfondibile ma anche ineludibile per quanti vogliono carpire qualcosa in più, un segreto o un suggerimento, sull’universo delle ance e su quello della prassi compositiva e improvvisativa nel jazz come si porta e suona oggi. Il progetto che ascolteremo questa sera, intorno alle ore 22 al Modo di Salerno, vede il sassofonista di Boston (città in cui è tornato a risiedere e dove, da molti anni, si divide, in qualità di apprezzato docente, tra il New England Conservatory e il rinomato Berklee College Of Music) alla testa di un quartetto, pianoless, nato dal contributo di partner validissimi quali il contrabbassista Dave Santoro, il batterista Andrea Michelutti e in veste di special guest l’alto sassofonista Dick Oatts che imboccherà anche il soprano.
Nel programma della serata tutti i brani sono originali autografati dal leader mentre speriamo anche in qualche preziosa incursione, magari con I’ve Got a Crush On You, nel songbook di George e Ira Gershwin. È proprio in questo tipo di standard classico e nelle ballads che spiccano le qualità manipolatrici e interpretative di Bergonzi, brani in cui col sostegno di Santoro e Michelutti, ha l’opportunità di tratteggiare con tonalità pastello i suoi eleganti ed efficaci interludi. Dal canto suo Bergonzi disegna il tema con colonne d’aria seriche e vellutate, mettendo però le ali alla sua sensuale armonia con quei guizzi tipici del registro di Rollins. Il clima blues che non verrà certo eluso con quel geniale tocco un po’ “noir” e allucinato, prova invece come Bergonzi sappia far combaciare tradizione e modernità tendendosi alla larga da manierismi stucchevoli mentre sono stupefacenti la velocità e la precisione del suo discorso improvvisativo, quando i temi si tinge di cantabili geometrie neo-bop.
Ci sarà da aspettarsi anche qualche duel tra i due maestri del sassofono, l’alto di Oatts e il tenore di Bergonzi i quali si cercheranno e sottolineeranno a vicenda in un equilibrato “call and response” di elegante vivacità, districandosi nel gioco di squadra con incursioni individuali all’insegna di una fantasia che non travalica mai la giusta misura. Un altro aspetto interessante sarà l’esperimento di Bergonzi di confrontarsi e dialogare con se stesso. Questo il tentativo, che farà risaltare le qualità più visionarie, audaci e contemporanee del linguaggio di Bergonzi, impeccabile maestro che riesce ancora a indicare una via in grado di tenere in vita il jazz di qualità, quello “nudo e puro”, al di là di pose estreme e arditi accostamenti stilistici.
Olga Chieffi