
Antonio Manzo
Nome e cognome, non serve altro. Il funzionario della procura di Roma trova il primo ostacolo nella trascrizione dei dati nel registro degli indagati, così come gli ha ordinato il pubblico ministero Orazio Savia. Il nome e cognome dell’indagata è già un programma di difficoltà: Anjezë Gonxhe Bojaxhiu. Bisogna scriverlo bene perché l’indagata è inquisita per presunto riciclaggio di danaro passato attraverso le casse dell’Istituto di Opere Religiose, meglio noto come Ior. Il pm ha fatto già capire al funzionario che l’ indagine, a lui assegnata come delegato della procura per i reati finanziari, sarà una indagine molto delicata perché si tratta di Madre Teresa di Calcutta, la suora albanese-indiana che guida un’organizzazione dedicata al sostegno dei poveri, degli emarginati e dei malati terminali. Si, Madre Teresa di Calcutta che sarà un giorno, Santa della Chiesa Cattolica. Ma le difficoltà della scrittura, per l’indagata “eccellente”, vengono attutite dall’italiano, compreso il titolo del reato del codice penale: 648-bis del codice penale. L’indagata, è nata il 26 agosto 1910 a Skopje, in Macedonia. Il pm Orazio Savia vuole capire quel traffico di denaro preso in Italia, a suo nome, grazie alla munificenza di tanti fedeli, e portato in India, da dove provenisse e, soprattutto, a cosa servisse dopo il deposito presso lo Ior del Vaticano. Non è un racconto surreale è un fatto avvenuto, negli anni Ottanta del secolo scorso. Ecco come nasce una inchiesta della procura di Roma chiusa poi, dal giudice istruttore dello stesso tribunale, con una archiviazione per l’indagata, la Suora divenuta poi Santa dell’umanità. Madre Teresa si trova a Roma, in quei giorni dell’inchiesta e bussa alla porta del suo amico Giulio Andreotti e gli comunica che lei è sotto processo. Lui, “cardinale della Repubblica” smorza la preoccupazione della suora con la proverbiale ironia: “Madre, vuol dire che mi farà compagnia nel mondo degli indagati”. Non c’è ancora nessuno scontro tra politica e magistratura per separare le carriere dei magistrati. Il Pm Orazio Savia è rispettato e riverito alla procura di Roma, è uno di quelli considerati “d’assalto” in materia di reati finanziari-tributari e poi finirà in manette da capo della procura di Cassino alla quale viene trasferito per la sua partecipazione ai “vertici” di altri magistrati presso il famoso bar Tombini di Roma impegnati a discutere di come salvarsi nel processo per corruzione in atti giudiziari a carico di Cesare Previti. Savia è anche consulente presso i vertici delle Ferrovie dello Stato e, al tempo stesso, procuratore dei pm di Cassino che indagano sugli affari dell’Alta Velocità. Ma al pubblico ministero che la indaga – si chiede Madre Teresa di Calcutta – come potrei spiegare la vita che mi ha portata a Calcutta dove vivo con le mie consorelle, mostrando una compassione sconfinata per gli emarginati, indipendentemente dalla loro condizione o religione? Lei sa bene di essere considerata una delle donne più ricche del mondo. Lei si chiede: potrei dire che non sono soldi miei e direi bene. Ma è una ricchezza che è circolata nelle mie mani. Continua, madre Teresa, ad arrovellarsi tra sé e sé nelle parole di difesa che dovrà dire al Pm Savia. Le sue mani hanno chiesto, ottenuto e gestito un’immensità di denaro che è andato ai poveri. Ha dedicato la sua vita a dimostrare che tutti possono fare la differenza, anche attraverso piccoli atti di gentilezza. Quando le diedero il Nobel per la pace nel 1997 dichiarò la guerra ai potenti armati di potere dice: “Non basta fare il bene – si spiegò così bene che tutti capirono cosa volesse dire –: il bene va fatto bene perché non corra il rischio di diventare male”. Quel giorno madre Teresa attacca a ragion veduta: per molti la scoperta della miseria dell’uomo è pretesto per lo sfruttamento. C’è di peggio: qualcuno la prepara, la provoca. Per poi guadagnarci: “Per guadagnarsi il titolo di benefattori – scriveva don Mazzolari – per farsi pagare il servizio di recupero, lo buttano a terra e lo fanno a pezzi, l’uomo”. A volte la pace è più snervante della guerra: è vero che nessuno spara, ma sono tutti lì a prendere la mira. Mentre prendono la mira, Madre Teresa di Calcutta viene inquisita dalla procura di Roma. A Madre Teresa di Calcutta, alla fine degli Settanta del secolo scorso, l’allora Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli offrì un vitalizio di ventimila dollari l’anno (cifra modesta anche a quell’epoca) per assicurare una certa continuità al noviziato delle sue Missionarie della Carità. Madre Teresa rifiutò dicendo che lei e le sue suore non volevano «nessun tipo di sicurezza», Non disprezza il denaro, Madre Teresa, ma con esso ha un rapporto totalmente distaccato, serve per le opere di bene, e per vivere con modestia, e per niente altro. Lo capirà il magistrato nel suo atto dovuto di averla indagata? L’indagine aperta per “atto dovuto” dal pm Orazio Savia finirà con l’archiviazione. Un “atto voluto” per l’indagata Madre Teresa di Calcutta divenuta Santa dell’Umanità. Sussisteva solo il fatto della sua santità.