Di Olga Chieffi
Giunge in dirittura d’arrivo il riconoscimento del teatro Giuseppe Verdi di Salerno monumento nazionale. Un teatro va ben oltre le proprie mura, è il simbolo di una città, oggi guidato da Daniel Oren e Antonio Marzullo. “Per me le motivazioni del Verdi monumento nazionale sono fondamentalmente due – ci dice il regista Riccardo Canessa, da oltre decennio presente con successo nel cartellone lirico del nostro massimo – la prima è la posizione all’interno della città perchè ipotizzando un arrivo a Salerno, da quella che è la sua via naturale, ovvero scendendo da Vietri, è il primo edificio pubblico che si incontra, è come se fosse il biglietto da visita della città, indi, quando si va via è l’ultimo edificio che si saluta, come se l’arrivederci presto, lo desse al visitatore, proprio il teatro. Questa è una cosa che mi ha sempre procurato grande suggestione, ovvero che prima ancora del Palazzo di Città a Salerno ti viene incontro con il suo teatro. La seconda per cui il Verdi merita di essere monumento nazionale è il rigore che viene imposto, praticamente da sempre, su quella che è la lettura dell’opera lirica. Adesso può piacere o meno ma la lettura tradizionale non custodisce le ceneri, ma ne alimenta il fuoco, per riprendere un motto mahleriano e, infatti, paradossalmente adesso il verbo drammaturgico del Verdi è addirittura trasgressivo, poiché ormai ciò che era l’avanguardia dei Livermore o dei Martone, è divenuta “vecchia”, trita e ritrita e anche molto noiosa. Oltre le mura, per quello che questo massimo contiene, ovvero la formula drammaturgica del teatro Verdi di Salerno, merita di essere monumento nazionale”. Costruito a partire dal 1864 sullo schema del San Carlo di Napoli, ma cinque volte più piccolo, il suo primo sipario venne definito, all’epoca, “il più bello esistente in Italia”. Inizialmente affidati a Vincenzo Fiorillo in seguito affiancato (nel 1867) da Antonio Avallone e Bonaventura Della Monica. Il rustico fu terminato nel 1869 e consegnato, per le decorazioni interne, a Gaetano e Fortunato d’Agostino che furono affiancati da numerosi artisti salernitani e partenopei. Fu ultimato, nelle decorazioni e nell’arredo, nel 1872, quando avvenne l’inaugurazione con l’opera del “Rigoletto” di Giuseppe Verdi. Fin dal Foyer, il disegno iconografico del Teatro concepito dai D’Agostino, si delinea con estrema chiarezza: le immagini prescelte comunicano la destinazione del luogo, un tempio della musica e, in particolare, della tradizione del bel canto. Qui mosse i primi passi il grande Enrico Caruso. Egli, dopo aver debuttato a Napoli nel 1894, a soli 21 anni, fu condotto a Salerno dal tenore Zucchi e scritturato nel 1897 per “La Gioconda” di Ponchielli; vi rimase fino al 1901 allorquando fu scritturato dal “San Carlo” di Napoli. Caruso rimane il simbolo di questo teatro e a testimoniare questo forte legame, resta la porta di un camerino autografata dal tenore. Per l’incarico più prestigioso, la realizzazione del primo sipario del Teatro, Gaetano D’Agostino contattò Domenico Morelli. L’artista partenopeo si impegnò a realizzare “La cacciata dei Saraceni da Salerno”. Il secondo sipario, il cosiddetto comodino, raffigurante le Maschere italiane, lo realizzò lo stesso D’Agostino. Così tra i medaglioni sui parapetti dei palchi della terza fila, realizzati dai Fortunato, che accolgono figure di musicisti, artisti e poeti e il cielo dipinto da Pasquale Di Criscito, che raffigura Rossini intento a dirigere le sue opere mentre viene ispirato dalle nove muse, “Mosè”, il “Barbiere di Siviglia”, “Otello”, “Semiramide” e “Guglielmo Tell”, si ritrovava un pubblico attento, sia alla lirica che alla prosa, in quella Salerno che aveva la fortuna di distare soli cinquanta chilometri da Napoli, e che ebbe la fortuna di assistere a tanti prestigiosi spettacoli tra cui la prima assoluta de’ “I figli del Sole” di Gorkij al Verdi, il 4 gennaio 1907 allestita dalla compagnia di Italia Vitaliani, cugina della Eleonora Duse, tenuto in cartellone per una settimana, che attirò la stampa nazionale ed estera in città, per non parlare dello stellare periodo che va dal 1954 al 1965 che ha visto passare da Salerno i massimi nomi dell’epoca, Gassman, Buazzelli, la compagnia dei Giovani, Albertazzi, sino alla rivoluzione degli anni ’70, che ancora salutavano Salerno come centro ferace di attività teatrale e musicale. Cartelloni importanti per la lirica, ma anche per la concertistica e in particolare la cameristica, con i concerti del Quartetto italiano, delle avanguardie e del maestro dell’indimenticato Maurizio Pollini, Carlo Vidusso in duo con Alberto Poltronieri. Per restare tra archi celebri Giuseppe Gibboni, che ha calcato il palcoscenico del nostro teatro sin da giovanissimo, per poi ritrovarvisi da ambasciatore del violino nel mondo quale Premio Paganini, ci ha raggiunto da Lugano, ove attualmente risiede, esprimendo la propria partecipazione a questa notizia “Il nostro teatro Verdi è un vero e proprio gioiello – ha affermato il violinista – e sono veramente molto felice di questo riconoscimento. Devo aggiungere che in questi ultimi anni ho avuto l’occasione di potermi esibire in diversi teatri in giro per il mondo, ma il Verdi resta veramente un luogo meraviglioso, con un’acustica davvero straordinaria e a mio avviso uno dei più belli d’Europa e, quindi, del mondo e noi tutti dobbiamo essere orgogliosi del nostro massimo”.