Il non-lavoro come retrobottega del festival della Letteratura - Le Cronache Ultimora
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Il non-lavoro come retrobottega del festival della Letteratura

Il non-lavoro  come retrobottega del festival della Letteratura

Alfonso Mauro

La comunicazione, virtuale e reale; il social media management (lavori a pieno titolo anch’essi); e la narrazione particolare e generale suggerita, massime in momenti storici di acuita sensibilità sociale (qualcuno azzarderebbe dire coscienza di classe) e/o a margine o al centro di eventi culturali d’importanza, sono un campo irto di rischiosa gramigna e altrettante grane — altro che mille papaveri rossi. In questo caso a dormirci sepolto non è il giovane mandato in guerra, ma la giovane che glamourizza il proprio sfruttamento. O, almeno, così si evince dal post Instagram pubblicato dal rinomato festival letterario di Salerno, in cui una studentessa piazzata agli stand informativi sfoglia una brochure sulle note di “Indietro” di Tiziano Ferro (e l’incipit che per ironia tragica legge “Io voglio regalarti la mia vita”) e vicariamente dice, come da testo: “La risposta che mi aspetto alla domanda ‘Chi vuole fare il volontario al festival e stare per 10 giorni a contatto con autori, artisti e ospiti di ogni tipo, con tanto di attestato e crediti scolastici? ” — La risposta suggerita sembrerebbe essere “Io voglio regalarti la mia vita”; la risposta corretta era “Un festival foraggiatissimo dovrebbe pagare tutti coloro i quali ci lavorano”. Il volontariato nella Cultura, nell’Arte, nel Turismo rischia confessarsi mero alibi per non pagare chi lavora. È stato praticamente normalizzato l’uso prevalente di volontari onde gestire attività d’eventi, a scapito dei posti di lavoro. E questo modello viene fatto passare come virtuoso — un livello comunicativo non secondario, poiché la narrazione fatta del lavoro culturale si diffonde nell’immaginario comune. Inoltre il ricorso al volontariato nel settore culturale si traduce in svalutazione delle professionalità e lavoro sottopagato. La situazione generale è grave ma non seria. Non ci è dato sapere se questa comunicazione, definire la quale infelice è pietoso eufemismo, sia uno stunt pubblicitario o confessione di realtà — nell’un caso o nell’altro il gusto è dubbio. Uno cui il discernimento funzioni per malignità potrebbe rischiare lo sconcerto ma non certo la sorpresa, osservando come una realtà impinguata di sponsorizzazioni da enti, fondazioni ed aziende non svapori che miraggi per i giovani partecipanti (lavoranti). Sul sito ufficiale si annuncia l’apertura d’iscrizioni per volontari, con un’età minima di 16 anni (consenso dei genitori per i minori), impiegandi in logistica e accoglienza, con disponibilità quotidiana, festivi inclusi, per l’intera durata dal 14 al 21 giugno. E il sospirato compenso? Una copertura assicurativa e un attestato di partecipazione, auspicabilmente utile per qualche creditello formativo scolastico in realtà espressione di vuoto pneumatico, com’è segreto di Pulcinella saperlo. Non c’è che dire — una prodigalità di tutto e aureo rispetto. Ci s’intenda: non è l’istituto del volontariato in sé a stonare, necessario e umanitario in numerosi ambiti, ma il riecheggiare di un (non amato) politico d’annata: “Con la cultura non si mangia”; e dopo un decennio d’appetito c’è forse da persuadersi arrendevoli l’adagio risonasse armonico con una realtà dei fatti che va riproponendosi. Occhieggianti per lo spioncino dietro le quinte del festivalle finanziato utraque manu, non sembra datoci scorgere cospicua ricaduta concreta sui giovani — consolatoriamente giovanti “l’esperienza unica” di sgobbare gratis et amore Dei Patriaeque, aggiogandosi al collo una medaglia morale che ormai dà di sé pulcra mostra sui petti di una generazione intiera su cui il precariato incombe. Si chiede ai ragazzi di regalare tempo, vita, energie, passione, in nome di una temperie culturale di tutto rispetto ma, ovviamente, non immune né impervia alla giusta critica. — Who needs money quando si può collezionare attestati? Una pioggia di finanziamenti sempre con reboanti proclami alla nazione sposata al concetto del trickle-down economics non giova ai giovani che vengono invitati all’ingenua dedizione — se non con vera e propria beffa social. “L’esperienza del dietro le quinte”: premio degno di reality show. Il brandello d’attualità morso al post Instagram è amaro: dolente dover snocciolare le critiche al bel cartellone; e (detto postreferendariamente) in un’epoca in cui ogni ora di lavoro dovrebbe essere riconosciuta e remunerata, si auto-osanna lo stakanovismo di chi profonde pro bono il suo impegno, dipingendolo come un privilegio. Alla beffa, il danno! “E se non sarete felici, vi forzeremo ad essere felici.” Noi osiamo dire: nella Cultura come nel Turismo, non sia più un’eresia dir di redistribuzione della ricchezza! — e anche a quei ragazzi apparentemente scevri dalla redistribuzione di finanche un centesimo. Altro che il quasi vanto d’offrire “experiences” e “visibilità” in cambio di sudore e talento. Su questo prolisso j’accuse, resti un’unica stella polare fissa nel firmamento dei diritti: il lavoro va pagato. Instaurare condizioni non ideali, e anzi servirsi di chi le subisce affinché le lodi come positive è quasi orwelliano. “In faccia ai maligni e ai superbi”: un invito a partecipare agli eventi, ragazzi, recando con voi la problematizzazione, la denuncia, la protesta.