Vito Pinto
Festeggiare sessant’anni di carriera all’età anagrafica di 76 anni, significa aver iniziato a lavorare a sedici anni. «Si, una vita! Iniziai quando da bambino suonavo sul pianoforte, a orecchio, “Arrivederci Roma” di Renato Rascel, (testi del duo Garinei e Giovannini, suonata dall’orchestra del mitico Gorni Kramer) una canzone che all’epoca andava molto di moda». A ricordare quegli inizi è Claudio Tortora, ormai noto per aver “inventato” il Premio Charlot, unico nel suo genere (forse al mondo) e che quest’anno raggiunge il traguardo delle 37 edizioni, durante le quali ha avuto giovani talenti, ma anche i mostri sacri dello spettacolo, come Gigi Proietti, Mariangela Melato e Renzo Arbore, solo per citarne qualcuno. Sessant’anni di carriera, di sacrifici, di fatiche sempre affrontati con serenità, con umiltà e con quella serietà professionale che, alla fine, è alla base di ogni successo. Ritorna alla mente quello che diceva Eduardo De Filippo: «Teatro significa vivere sul serio quello che gli altri nella vita recitano male». Una di quelle pillole di saggezza eduardiana che restano scolpite nella storia sociale italiana. Una frase che sicuramente Claudio Tortora tiene bene a mente se, ancora oggi, agli allievi dei suoi laboratori di teatro e ai giovani attori ricorda sempre che la passione e l’umiltà sono le basi indispensabili su cui poter costruire una carriera, un avvenire nel mondo dello spettacolo. Era un lunedì quel 14 febbraio 1949 quando a Pagani, sotto il segno dell’Aquario, vide la luce Claudio Tortora. La devastante seconda guerra mondiale era terminata da qualche anno e quel giorno, per la prima volta, a Gerusalemme si riuniva il parlamento israeliano, segnando il momento clou del nuovo Stato appena formatosi dopo la dichiarazione di indipendenza, mentre sulle onde radio viaggiava la canzone “Spolvera il tuo viso con il sole”, cantata da Dean Martin. «Sin da bambino – dice Tortora – ho voluto fare dello spettacolo. Non ho mai avuto altri obiettivi nella mia vita. Così mi accodai ad un gruppo che alla “Casina Rossa” di Torre del Greco faceva delle serate di spettacolo. Poi nel 1965 mi misi con un gruppo musicale che aveva sede in una casa privata accanto al Palazzo della Provincia di Salerno». Non fu certo facile, ma il gruppo in quella estate della Dolce Vita faceva le sue serate al “Capo d’Orso” in Costiera Amalfitana, al “Lanternone” di Palinuro sulla costa cilentana e in altre località accorsate di una estate dove amare e amarsi era molto semplice, senza astuzie e cattiverie. Erano le estati dei paparazzi in cerca dello scoop, delle stars e dei divi in Via Veneto a Roma e all’Africana di Praiano, esclusivo night ricavato da Luca Milano nel ventre della montagna. Era un’epoca in cui la vita era vissuta con stile, romanticismo e quel tocco italiano senza sforzo che rendeva ogni giorno straordinario, “legato a un granello di sabbia” a richiamo di Nico Fidenco. Quasi pensiero ad altra voce, Tortora ricorda: «Si stava fuori anche un mese e più, lavorando, cantando, facendo spettacolo per un mondo che voleva vivere, rilassarsi, lasciare definitivamente alle spalle gli orrori della guerra e pensare che le preoccupazioni, almeno in quei giorni, non esistevano». E venne il momento in cui Claudio Tortora volle tentare la strada da solo. Mise un locale a Paestum, “Il Girasole” dove ben presto cominciarono ad arrivare Fred Bongusto, Fausto Papetti, Peppino di Capri, Ornella Vanoni ed altri nomi del gotha della musica, dello spettacolo italiano per un pubblico salernitano sempre più numeroso, attirato anche dalla buona cucina dell’annesso ristorante e pizzeria. Nello srotolare la sua memoria, Tortora ricorda che un giorno fu invitato da Enzo Tafuri, bravo attore salernitano, a far parte della sua compagnia teatrale e fu così che per il giovane cantante si apriva un mondo nuovo, dove calcare le tavole di un palcoscenico era certamente un tantino più difficile. Ma la serietà nell’impegno, l’umiltà nel voler apprendere furono la costante di Tortora sì che non ebbe grandi difficoltà ad entrare nei ruoli e recitare la sua parte con professionalità. Tra l’altro il successo raccolto in tutte le piazze che toccavano nelle loro tournée era la riprova che tutto funzionava. Anzi fin troppo, perché in questa compagnia Claudio conobbe Renata, figlia di Enzo, con la quale si fidanzò e poi sposò. Sembrava, ormai, che la strada del teatro fosse la via maestra per Tortora, senza tenero conto che avanzavano le tv locali. E fu così che il giovane attore fu chiamato dalla proprietà di Telesalerno 1, la prima tv locale salernitana, a occuparsi del settore spettacoli di quell’emittente. Numerosi furono i personaggi nazionali intervistati e numerosi furono i personaggi salernitani coinvolti, tra i quali quelli dello storico Teatro San Genesio di Sandro Nisivoccia e Regina Senatore. Dal lavoro televisivo a fondare “La Rotonda” un gruppo teatrale, il passo fu breve. Tortora, Gaetano Stella e Giorgio Sabatino, un trio che lavorava nell’emittente locale TS1, diedero vita così a quel gruppo che mise in scena una serie di spettacoli, tra i quali “Ncera na vota e ‘ncera”, uno spettacolo tutto dedicato a Salerno che l’allora Ministro dello Spettacolo, Bernardo D’Arezzo, chiese di portarlo a Roma. «Furono anni importanti, quelli romani – ricorda Tortora – con interviste televisive e radiofoniche nazionali. E grazie a questo fui chiamato a fare l’autore per le cinque serate del Festival di Sanremo, con Pippo Baudo. Era il 1992. Da allora si erano aperte le porte di un mondo nuovo: fare l’autore di testi televisivi. Dovevo quindi rimanere a Roma, ma la cosa non era di mio gradimento, né di mia moglie. Scegliemmo di ritornare a Salerno, ma ci proponemmo di portare Roma qui, nella nostra città». E vennero le stagioni de “I Barbuti” una rassegna di teatro e di vari spettacoli che si teneva nell’omonima piazzetta nel cuore del Centro Storico di Salerno. Fu uno spettacolo con Pippo Franco, un’anteprima di una idea che l’anno successivo divenne il Premio Charlot, una rassegna di comicità unica nel suo genere, che negli anni ha coinvolto star dello spettacolo e giovani emergenti, scoprendo anche dei veri e duraturi talenti. La prima edizione del Premio si svolse sulle terrazze de “La Carnale” di Salerno, dove il fondale del palcoscenico erano le mura del Torrione affacciate su uno scenario mozzafiato: la città e il golfo si sera illuminati da una luna piena con la quale si andava volentieri a cena. A questa kermesse, che aveva un sapore particolare, ben presto prestarono la loro attenziona le varie reti televisive nazionali, sia RAI che Mediaset. I nomi che hanno calcato le tavole del Premio sono tanti che Tortora neanche li ricorda tutti: «dovrei consultare le varie agende di questi 37 anni di cammino» dice quasi soprappensiero. Un premio con le autorizzazioni in regola, essendo una società americana detentrice dei diritti d’autore di tutto ciò che riguarda il grande comico statunitense. Permessi ricevuti anche grazie al rapporto di amicizia che Claudio Tortora, con la gentilezza che lo contraddistingue, seppe instaurare con il figlio di Chaplin, ospite più di una volta al Premio. La mancanza di spazi idonei per il mondo dello spettacolo e alla luce dell’esperienza maturata al “Ridotto”, piccolo locale dedicato al Cabaret, portarono Tortora, insieme ad altri amici, a creare il “Teatro delle Arti”, sfruttando gli spazi dell’ormai abbandonato Seminario Regionale di Salerno. Sessant’anni, si diceva, di carriera, sei decenni ricchi di lavoro e di soddisfazioni, che hanno avuto come impronta non solo una serietà professionale, una passione, ma anche una disponibilità verso gli altri, un modo di porsi alla gente con simpatia e cortesia. Oggi Claudio Tortora lavora per creare un gruppo a cui passare il testimone di una vita di sacrifici, ma di convinzione per quella che faceva ed aveva voluto fare sin da piccolo. Attore, imprenditore dello spettacolo, cantante, autore di testi televisivi, un uomo dal multiforme ingegno d’arte, ma effettivamente Claudio Tortora chi è? «Un artista – risponde – perché tale si nasce e non si diventa, ma ci si perfeziona nel corso degli anni. Chi cerca di fare l’artista e non ce l’ha nel dna non va molto lontano. Credo di poter affermare di essere un artista, perché ho sempre svolto il mio mestiere con professionalità e serietà».





