La Turandot diretta da Daniel Oren andrà a chiudere il 26 nel giorno di Santo Stefano alle ore 18 e il 28 alle ore 21, la stagione operistica del teatro Verdi di Salerno. La regia è affidata a Riccardo Canessa.
Di Olga Chieffi
Turandot denota più di altri il superamento della realtà per raggiungere una dimensione spirituale e trascendente. La crisi esistenziale ed artistica di Giacomo Puccini, già latente esplode proprio con Turandot che lo coinvolge in un’atmosfera etera e surreale. “Che mai osi, straniero! Cosa umana non sono… Son la figlia del cielo libera e pura! Tu stringi il mio freddo velo, ma l’anima è lassù”. Alle soglie dei sessant’anni, Puccini sbotta epistolarmente “che ingiustizia l’invecchiare – ne ho proprio rabbia – accidenti! E che dire che non voglio arrendermi e a volte mi credo il solito di anni fa! Illusioni e anche un segno di… forza…!”. Non gli resta, con questa “forza” che comporre: il solo “esercizio” in grado di procurargli, da sempre, uno stato di esaltazione febbrile, sofferta, appassionata immedesimazione nella nascente creatura, sia pure fra dubbi ed illuminazioni, euforie e avvilimenti, fra “cambi di percorso”. Comporre, ovvero, un coinvolgimento totale che isola l’uomo dalla realtà e dal trascorrere impietoso degli anni. Sarà questa l’opera che andrà a concludere la stagione operistica di questo brillantissimo centocinquantenario del teatro Verdi. Ieri mattina, nell’ambito di una conferenza stampa che ha salutato protagonisti Antonio Marzullo e Daniel Oren è stato ripercorso l’intero anno che ha visto una vera e propria riapertura al pubblico e l’incontro con la cittadinanza nella chiesa di San Giorgio con la rassegna “Benedetta Primavera”, le performance delle grandi orchestra italiane, da quella del teatro alla Scala, a quella della Rai e su tutti la formazione Mozart diretta da Daniele Gatti, e l’extra-colto con Enzo Avitabile, Vinicio Capossela, ed Elio. Un anno di svolta che verrà chiuso dall’opera più complessa e avanzata di Giacomo Puccini, tutt’altro che facile, tanto meno quando apparve nel 1926. E’ la capacità straordinaria di Puccini nel risolvere “il nuovo” in risultati irresistibilmente teatrali che parlano al musicista, ma anche al semplice appassionato. Questo da artista unico, nel panorama italiano d’ogni tempo, quanto a virtuosistica padronanza dell’orchestra e, qui, quanto a fusione musica-scena. Quindi, ogni formula innovativa in Puccini è controbilanciata da una schietta umanità: il gelo di Turandot ha, quale contrappeso, la tenerezza struggente e sacrificale di Liù, attraverso un vocabolario musicale estremamente ricettivo e capace di metabolizzare in uno stile di originale complessità le novità del linguaggio novecentesco. E’ il non esibire mai il procedimento tecnico ardito. E’ la capacità di dare un’impressione di immediatezza a ciò che è, invece, molto mediato e studiato. E’ la teatralità di caricare emotivamente dissonanze e soluzioni in sé difficili da digerire. In Turandot troviamo un forte e variatissimo spiegamento corale, che è stato preparato da Armando Tasso, mentre le voci bianche sono curate da Silvana Noschese, un’orchestra molto nutrita in buca e una seconda interna, che verrà diretta da Francesco Aliberti, con soli ottoni, saxofono, percussioni e organo. Come il coro, di volta in volta sgomento e inneggiante, crudele o atterrito, di primitiva violenza o teneramente partecipe – anche l’orchestra è quasi un personaggio fra le Dramatis personae, in quanto determina l’atmosfera passo passo, inventando effetti coloristici violenti e preziosi al tempo stesso. E’ inoltre esemplare quanto ad accuratissima messa a punto timbrica fra strumenti tradizionali e le molte percussioni inconsuete e orientaleggianti: tam tam, gong cinesi con nove altezze sonore, le stesse dell’Iris mascagnano, un gong grave posto in scena che è strumento musicale e strumento drammatico per i colpi che Calaf sferra su esso, uno xilofono, uno xilofono basso, o basso siamese, campane tubolari, celesta, glockenspiel e un tamburo di legno di registro grave, ecco i colori della Cina di Puccini. Belle voci per questo gran finale, a cominciare da Oksana Dyka che sarà la Principessa di gelo, il “Nessun dorma” sarà lanciato da Jorge Leon, Liù avrà la voce di Lianna Haroutounian. Nei panni di Ping Pong e Pang ci saranno Costantino Finucci, Enzo Peroni e Francesco Pittari, debutto di Salvatore Minopoli nel ruolo di Altoum, mentre ritorna in quello di Timur Carlo Striuli. A completare il cast il mandarino di Angelo Nardinocchi e il Principe di Persia di Nazareno Darizillo.