di Peppe Rinaldi
Dietro un libro, un articolo, uno scritto c’è sempre una persona, una storia, una vita, ci sono circostanze, fatti e dettagli che li precedono: vale per le opere così dette «dell’ingegno», vale per quelle artistiche e vale, pure, per i semplici atti della pubblica amministrazione, nel senso che sotto la coltre algida e formale del dettato burocratico possono celarsi antichi vizi e nuove virtù, o viceversa. E questa non è sempre una buona notizia. Proviamo a farci capire. I nostri affezionati cinque lettori si saranno accorti che sul territorio ebolitano, paradigma delle condizioni di salute generali di ampie parti del Paese, c’è un problema di “legalità” (tra virgolette) in materia di edilizia, condizionato dalle concessioni rilasciate dall’autorità pubblica. In parole povere, c’è un problema nella dinamica corrente tra interessi privati e rilascio dei permessi pubblici. Non è tanto l’abusivismo in quanto tale a farsi notare, mentre lo è, invece, la schizofrenia degli enti pubblici che la notte si rimangiano ciò che di mattina avevano formalmente accolto e autorizzato. Succede. Il gran pasticcio del Prato Il caso delle famose «villette» in località Prato è emblematico: diverse unità abitative sono sorte col via libera ufficiale lì dove c’erano catapecchie agricole o ruderi vari stravolgendo la destinazione urbanistica di una vasta area; oggi si trovano ancora sotto sequestro per un’ipotesi di lottizzazione abusiva, reato non propriamente banale come potrebbe sembrare, a breve inizierà il primo dei presumibili molteplici processi già incardinati. Non tutti furono in buona fede, nel senso che molti scommisero sul fatto che, grazie al famoso Piano casa della Regione, sarebbero potute passare sottotraccia certe tipiche furberie e così, saldando tante e tali aspettative con la «bulimia» della precedente amministrazione, che aveva spremuto oltremisura gli uffici tecnici con le note conseguenze, alla fine si crearono le condizioni affinché la magistratura sigillasse tutto con il famigerato nastro rosso-bianco. Altri furono in buona fede, in Comune veniva loro risposto qualcosa del tipo “Ok, questo lo puoi fare, questo no, questo forse, versa gli oneri e non ti preoccupare”. Storia vecchia, carta conosciuta si direbbe in volgare. Risultato? Guai e problemi per tutti e per molti anni a venire, tempo e soldi per avvocati, tecnici e periti vari, insomma la via crucis è garantita: tutto perché, molto banalmente, al vertice della macchina c’era un gruppo di avventurieri – buona parte dei quali oggi confluita nella nuova maggioranza senza traccia di minimo rossore in volto – guidati da un ambiguo corsaro che con la realtà aveva perso ogni legame, inducendo così la convinzione che tutto fosse possibile, che non c’erano problemi, che «figurati se vengono a controllare proprio noi» o roba del genere. Poi è finita con il (solo) sindaco in manette e una marea di morti e feriti sul campo. Memoria corta Su tutti si veda il caso del noto imprenditore ebolitano, tutt’oggi «insospettabile», trascinato nel costoso inghippo di una costruzione eretta addirittura sull’uscita dell’ex A3, una storia destinata a entrare nel Guinness delle stramberie urbanistiche italiane. Situazione aggravata, poi, con l’arrivo dei nuovi amministratori, che pure avevano ingenerato nell’imprenditore la speranza della soluzione a un problema che solo una nuova sanatoria nazionale potrebbe, forse, offrire: la nostra memoria è corta, cortissima, viviamo tutti con la testa nei social dove le cose durano al massimo 30 secondi, ma non andrebbe dimenticato che una sorta di legittimazione ex post del presunto abuso sullo svincolo autostradale arrivò, su carta intestata del Comune, dall’amministrazione in carica che, attraverso una nota sottoscritta dall’assessore all’Urbanistica Marisei, spiegava a questo giornale che di problemi non ve ne fossero. Invece ce n’erano eccome, tant’è che dopo qualche giorno assunsero i connotati del Palazzo di giustizia col relativo nastro sopra citato. La vicenda parte da lontano? Fatta questa premessa per mera, ancorché prolissa, descrizione del contesto, segnaliamo un’altra vicenda «originale», richiamando quanto scritto nelle righe introduttive di questo articolo. Si ricorderà che un’altra lottizzazione sarebbe stata realizzata in località Cornito di Eboli. Il soggetto interessato è un noto imprenditore ebolitano di Santa Cecilia, si chiama Gerardo Alfano. Anche nel suo caso, più o meno, si sono verificate condizioni «particolari» nel relativo iter procedurale e amministrativo. Semplificando al massimo, diciamo che Alfano aveva fatto richiesta di divisione di un unico lotto su cui c’era un rudere dal quale sarebbero dovute nascere nuove unità abitative. Il Comune in un primo momento dà il via libera, poi qualcuno si accorge che c’è qualcosa che non quadrerebbe e i permessi vengono revocati: tu, caro Alfano, non puoi fare ciò che ci hai chiesto e che pensavamo potessi fare autorizzandoti, perché non sei il titolare del diritto di proprietà bensì un enfiteuta e, quindi, la tua qualificazione giuridica non ti consente di accedere a un determinato iter non avendone titolo. Non solo sei un enfiteuta ma su quel terreno – dice il Comune, seppur tardivamente – c’è il gravame degli usi civici. Accidenti – avrà pensato Alfano – possibile che nessuno se ne sia accorto prima? E poi, io sono il proprietario, il mio diritto reale è pieno, da dove sbucano queste cose adesso? Appunto, da dove sbucano? E qui torniamo a quanto supposto in esordio di articolo come suggestione di cronaca: dietro le carte ci sono gli uomini, le persone, le storie, le amicizie e le inimicizie, antiche o sopraggiunte, insomma c’è la vita di ciascuno di noi. Infatti, non è da escludere l’illazione che descrive una specie di «faida» tra Alfano (e famiglia) e l’attuale gruppo di potere politico-istituzionale, incarnato a sua volta da un’altra famiglia, di solida tradizione e scuola politica, quella dei Conte che, come si sa, nell’attuale esecutivo annovera due cugini diretti e una cugina indiretta, oltre ad un altro congiunto molto presente nella sostanza e negli indirizzi politico-amministrativi pur senza ruoli formali. Insomma, pare vi sia una prevalenza «casalinga» nella composizione della giunta, con i pregi e i difetti che un tale assortimento può determinare. Gli Alfano e i Conte sono stati, in varie forme, nuclei familiari che hanno segnato la storia dell’area più produttiva della città, Santa Cecilia: prima legati da antichi rapporti politici e personali, poi, come spesso accade, l’acqua passata sotto i ponti ha cambiato la fisionomia delle relazioni, in qualche caso si è giunti a scontri aspri legati anche alla sempiterna questione dei terreni dell’Istituto Orientale di Napoli. Una vicenda che neppure le pietre cittadine ignorano: poi, ci si mise la politica con i suoi meccanismi nella fase più avanzata del «nomadismo» della famiglia Conte, quando cioè veleggiava tra le sponde dei partiti e delle coalizioni senza trovare approdo definitivo (ciò che accade tuttora riverberandosi anche sulla efficienza amministrativa): una delle tante “primarie” del Pd fece il resto e qualcuno si legò, forse, qualcosa al dito. Chi tra i due gruppi familiari l’abbia fatto per primo, non lo sappiamo né potremmo saperlo, sempre che la cosa abbia importanza: importa, invece, che da fatti più o meno privati discendano conseguenze generali, com’è nel caso dello scontro giudiziario tra il Comune e gli Alfano culminato con il successo delle ragioni di questi ultimi al Consiglio di Stato, dove l’ente neppure si è costituito. Storia conclusa dunque? Non si sa, non lo si capisce né è possibile immaginarlo adesso perché in ballo ci sono decisioni importanti da prendere: a partire dall’ipotesi che i danni causati dall’ondivaghezza amministrativa potrebbe aver procurato all’imprenditore, il quale rischia, tra altro, la perdita di importanti sgravi fiscali. Com’è altrettanto possibile che tutto possa ritorcersi contro. Ma questo lo vedremo.