Eboli. Conte: In Comune una famiglia (troppo) allargata - Le Cronache Provincia
Provincia Eboli

Eboli. Conte: In Comune una famiglia (troppo) allargata

Eboli. Conte: In Comune una famiglia (troppo) allargata

di Peppe Rinaldi

 

Sarà perché la macchina gira «in modalità Elly Schlein» che al vertice del Comune di Eboli trovi oggi applicazione una particolare forma di famiglia: quella «allargata».

Spieghiamo. C’è il sindaco, Mario Conte, e con lui in giunta ci sono due cugini in vario grado, affiancati da un altro membro dell’esecutivo che parente non è ma è come se lo fosse, forse perfino qualcosa di più.

Poi, in forma ‘sfusa’, in Municipio troviamo un fratello e un figlio del sindaco medesimo, i quali, pur non ricoprendo alcuna carica ufficiale, sono diventate presenze – in un certo senso – istituzionali nel Palazzo. Tutte persone rispettabilissime e degne, inutile dirlo, la cui cifra, però, non modifica la sostanza di una notizia che da tempo corre di bocca in bocca e che oggi pare essersi ingrossata al punto di debordare.

 

‘Portoghesi’ nel Palazzo

 

La presenza costante e diffusa nel tempo di queste due figure, che ironicamente chiameremo ‘portoghesi’ in ossequio all’antica usanza risalente al XVIII secolo di definire tale chiunque si imbuchi in un consesso senza averne titolo, pare sia diventato un problema. La cosa non stupisce. Scontri, litigi, musi lunghi, imbarazzi, insofferenze, delazioni incrociate, insomma, il problema è esploso, sia sotto il profilo della ‘illibatezza’ degli altri dipendenti comunali sul posto di lavoro, sia nei confronti della comunità amministrata che è informata, più o meno, della cosa: sempre che qualcuno (consiglieri comunali, politica, sindacati, etc.) sollevi la questione, oltre a questo giornale.

Ora, a meno che gli stretti congiunti del primo cittadino non abbiano ricevuto un incarico formale dall’amministrazione – incarico che comprendesse la facoltà di entrare negli uffici, utilizzare la strumentazione in dotazione al personale, ricevere e/o contattare persone e aziende, leggere faldoni, acquisire segreti, sbirciare o anche casualmente entrare in possesso di informazioni sensibili sulla vita e sul patrimonio dei cittadini – è chiaro che tutto ciò rischi di sfociare in una serie di illeciti, al netto di plateali e imbarazzanti inopportunità di vario segno. Eppure il clan Conte è composto tutto da avvocati (ce n’è un altro, Federico, penalista, attualmente candidato alla Regione, che pure non ha incarichi amministrativi ma che comunque fa sentire la propria presenza, specie in queste ore…), non dovrebbe essere loro ignoto che alcune condotte non solo sono scorrette sotto il profilo dell’immagine istituzionale non essendo il municipio un palazzo reale, ma lo sono anche sotto il profilo della violazione della legge, civile e penale. Sempre che non esista, ripetiamo, in qualche cassetto una ‘carta’ qualsiasi che li autorizzi: se esiste, bene, anzi no, male comunque, perché la cosa potrebbe essere stata sottaciuta alla collettività e un fatto del genere (incaricare fratelli e/o figli) non lo si può, né si deve, nascondere. Se non esiste questa autorizzazione, ovvio che si entra in altre sfere.

 

Le potenziali violazioni

Naturalmente, così come è possibile sostenere che il problema esiste, non è altrettanto possibile dire che si siano verificate tutte quelle violazioni potenziali: qui si è certi che non sia mai accaduto alcunché, fino a prova contraria, sarebbe infatti una bella rogna se la circostanza finisse sotto osservazione, come pure è  probabile dinanzi a un quadro ipotetico di comportamenti contra legem perdurante nel tempo. Infatti, il cittadino che circola abusivamente all’interno di un ufficio pubblico infrange diverse norme, principalmente legate all’accesso agli atti, alla sicurezza e al rispetto dell’autorità. Parallelamente, i responsabili dell’amministrazione, se inerti, infrangono norme sulla tutela del segreto d’ufficio, la sicurezza dei dati e la corretta gestione dei beni pubblici.

Il cittadino violerebbe principalmente queste disposizioni: legge 241/90 (diritto di accesso ai documenti amministrativi), secondo la quale la consultazione dei fascicoli senza aver presentato richiesta formale e senza averne titolo viola palesemente la normativa. Poi ci sono il D.Lgs. 196/2003 e il Regolamento UE 2016/679 (il famigerato “GDPR”), secondo cui consultare fascicoli in modo arbitrario costituisce una violazione delle norme sulla protezione dei dati personali, poiché si può venire a conoscenza di dati sensibili o personali di terzi senza alcuna autorizzazione. Senza escludere, poi, un’eventuale rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio (art.326 cp) quando i documenti consultati siano secretati o contengano informazioni riservate: a quel punto il ‘portoghese’ potrebbe incorrere in reati se le rivela a terzi. Sul piano penale, ancora, se il comportamento del cittadino addirittura impedisce o turba l’attività regolare dell’ufficio, potrebbe configurarsi la violazione dell’art. 340 cp, quello che regola l’interruzione del pubblico servizio. Se il ‘portoghese’ volesse perfino insistere a rimanere negli uffici, violerebbe disposizioni di Polizia amministrativa nel disobbedire agli ordini dei pubblici ufficiali (che sono anche i dipendenti del Comune) che gli intimano di lasciare la zona riservata o di smettere di consultare gli atti.

Per ciò che concerne invece la responsabilità di amministratori e/o dirigenti e funzionari comunali che tollerano o consentono queste cose, essi infrangono norme di carattere penale, disciplinare e amministrativo: a partire dallo stesso art. 326 cp già richiamato sulla rivelazione e la utilizzazione di segreti d’ufficio; il responsabile dell’ufficio (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) che assiste all’accesso abusivo ai dati e non interviene né denuncia l’accaduto, potrebbe incorrere nella «omissione di denuncia di reato» (artt. 361 e 362 cp). C’è, ancora, tutto il capitolo relativo alla responsabilità amministrativa e disciplinare in quanto il dipendente pubblico ha il dovere di vigilanza e custodia. Il mancato controllo e la tolleranza costituiscono una grave violazione dei doveri d’ufficio e del codice di comportamento dei dipendenti pubblici. Se la consultazione arbitraria provoca un danno all’amministrazione (es. smarrimento o danneggiamento di documenti), il responsabile può essere chiamato in causa dalla Corte dei Conti per danno erariale. Non è finita qui: consentire la visione di fascicoli personali a terzi non autorizzati costituisce una violazione grave del Regolamento UE 2016/679, che espone l’amministrazione a pesanti sanzioni da parte del Garante della Privacy. I dipendenti negligenti che tollerano questi comportamenti sono soggetti a sanzioni disciplinari che vanno dal rimprovero scritto fino al licenziamento, a seconda della gravità e della reiterazione della negligenza.

Non sembra utile aggiungere altro.