Sara Patrizia Tortoriello
E’ un “compleanno” che sarà ricordato come data decennale da celebrare nel panorama nazionale dei beni culturali abbandonati nel Belpaese. Sono trascorsi oltre 10 anni dal crollo della Torre Saettiera del Castello Colonna di Eboli e di parte del costone prospettante il Santuario dei S.S. Cosma e Damiano, e ad oggi non risulta ancora progetto per la ricostruzione e il consolidamento dell’antica struttura che rappresenta una cartolina della città. Infatti, uno degli angoli più belli e suggestivi di Eboli è ancora ferito dalle immagini di opere provvisionali e delimitazioni di cantiere per la messa in sicurezza del sito dopo il crollo avvenuto l’8 marzo 2015. La soluzione al problema non è affatto semplice. Da una parte vi è l’Amministrazione Comunale che ha interesse a recuperare la fruibilità del Castello Colonna a beneficio della cittadinanza e nello stesso tempo ha interesse a non perdere sul territorio una struttura come l’Istituto a Custodia Attenuata per il Trattamento dei Tossicodipendenti (I.C.A.T.T.) che ha sede all’interno dello stesso dal 1993 e può ospitare fino 54 detenuti. Dall’altra parte ci sono gli interessi strategici ed economici degli attori principali: il Ministero della Giustizia come affittuario della struttura e l’Agenzia del Demanio, proprietaria della stessa. Il Ministero di giustizia ha comunicato che per i lavori occorrono complessivamente 25 milioni di euro. A causa del crollo peraltro sono dieci anni che rimane interdetta la circolazione parziale su due arterie principali del centro storico di Eboli, via Santa Sofia e salita Ripa, creando disagi agli abitanti. Nel Castello Colonna fino al 2019, in occasione del Maggio dei Monumenti Porte Aperte, era possibile visitare anche la Cappella San Marco, attraverso il Centro Culturale studi Storici di Eboli. La storia del Castello Colonna è intensa perché, posto in una posizione privilegiata già in epoca longobarda, il possesso del Castello e del feudo di Eboli si identificava anche con quello di un territorio vasto della Piana del Sele e del Tusciano. Oggi resta una sentinella immobile che, con i suoi ampliamenti tipologici e i suoi accrescimenti irregolari, rappresenta per tutta l’Italia un patrimonio storico medievale da preservare. Già presente dalla seconda metà dell’XI secolo con Guglielmo d’Altavilla, anteponendosi, all’interno della cinta muraria, alla Chiesetta di Santa Maria ad Intra che dovette essere costruita più a sud, è stato un centro politico per Normanni e Svevi, come attestano le torri quadrate con saettiere di uso normanno e quelle rotonde sveve attorno al quale si sviluppò il centro storico, composto da case giustapposte e vicoli medievali, in mezzo a palazzi, cortine e chiese. L’originale accesso al castello, protetto dalle due semitorri è invece ben visibile sul lato nord est, dove sopravvive un’altra porta al tempo dotata di ponte levatoio. L’ultimo proprietario, il barone Camillo Romano Avezzana, nel 1935, diplomatico e politico italiano ambasciatore negli Stati Uniti e in Francia, senatore del Regno, lo vendette al Ministero di Grazia e Giustizia, destinandolo a Casa di reclusione per minori inaugurata da Arrigo Solmi, ministro della giustizia diel governo Mussolini, nel 1939, di cui rimangono foto dell’Archivio Luce. Proprio per liberare la struttura del Castello dal carcere minorile ci fu la ministra Marta Cartabia che propose un sito nella disponibiltà dell’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati alla Criminalità, l’Ex Apoff, di 40 mila metri quadri circa tuttora abbandonata sulla Statale 18 che va verso Paestum e nuovo monumento della incapacità di recuperare un bene sottratto alla camorra. La cessione sarebbe potuta avvenire a titolo gratuito da parte dell’Agenzia del Demanio, a fronte di un progetto di valorizzazione, attraverso il Federalismo Culturale. Ma l’operazione è subordinata alla restituzione da parte del Ministero della Giustizia del bene locato in condizioni idonee, che andrebbero stabilite, ma sicuramente anzitutto attraverso il ripristino della Torre crollata e del muro di cinta circostante, il cui computo sarebbe di di gran lunga inferiore a quello di un restauro complessivo. Ad Eboli anziché discutere come ricostruire le torri si parla ancora, a dieci anni dal crollo, sulla ricerca delle cause del crollo che sarebbe dovuto ad infiltrazioni idriche o a movimenti di sbancamento che provocarono onde d’urto, e pur tuttavia denotano una mancanza di manutenzione esterna del Castello. Ed è ancora più impressionante considerando che Federico II, Stupor mundi, non appena incoronato imperatore, diede vita, già nel 1231 ad un’intensa attività edilizia e, attraverso lo “Statuto per la riparazione dei castelli” ristrutturò il “Castello Colonna” che a quel tempo non era più un’opera di difesa militare, ma un magnifico palazzo imperiale, luogo di caccia e di riposo. “La Bellezza salverà il mondo”, è una frase ancora usata e abusata, pronunciata dal principe che impersonò L’idiota di Fëdor Dostoevskij. Questa sentenza dovrebbe essere rovesciata di senso. Non sarà la Bellezza a salvare il mondo ma chi salverà il Castello Colonna? Ad Eboli non c’è né il principe Myskin, né L’Idiota di Dostoevskij.





