di Alberto Cuomo
Il declino della città di Salerno è evidente nella sua scriteriata nuova conformazione urbana, nel cattivo e confuso “stile” dei suoi edifici recenti e nell’incuria verso le aree e gli edifici storici. L’architettura del resto, da sempre, è lo specchio della vita sociale e culturale che la modella. E che a Salerno vi sia ormai solo un brutale sfruttamento dei suoli a fini economici, dell’arricchimento cioè di un numero limitato di costruttori e progettisti, tutti, chi sa perché, sempre gli stessi e nelle grazie del sovrano, è un inconfutabile dato che solo gli stolti e gli ignoranti non riescono a vedere, tanto da esaltare persino la nuova immagine della città che, in realtà, non esiste, essendo compromessa in gran parte anche quella della parte storica, quella cioè della città che giunge agli anni Cinquanta del secolo scorso, costituita dal Centro antico e dagli interventi e dagli edifici otto-novecenteschi. De Luca sindaco sembrò aver iniziato bene con il restauro della villa comunale, il concorso dei cosiddetti edifici-mondo, gli edifici cioè del centro antico che avrebbero potuto accogliere funzioni plurime ricostruendo la cortina conventuale alle falde del monte Bonadies e, in gran parte, utilizzati per carceri dismessi. Ma già qui si resero evidenti i limiti politici e culturali di De Luca. Il restauro della villa comunale fu infatti affidato ad un progettista fresco di studi anche in campo paesaggistico e privo di esperienza. Il risultato fu un disastro dato il totale stravolgimento del nostro giardino storico che, a fronte di una buona pavimentazione, vide però sparire diverse essenze originarie per far posto a banani invadenti le cui radici sollevano oggi il manto dei percorsi mentre le chiome ingurgitano le altre piante. E non solo: la villa vide due percorsi ortogonali che non aveva mai avuto e che hanno messo in secondo piano il libero disegno “all’inglese” delle aiuole. Quanto agli “edifici-mondo” sappiamo come è finita, vale a dire con un po’ di denaro ai progettisti internazionali che avevano partecipato alla gara pubblicizzando in tal modo l’amministrazione deluchiana e la totale dimenticanza dei progetti redatti. De Luca aveva però compreso l’importanza dell’architettura quale veicolo pubblicitario. L’affidarsi tuttavia a progettisti del presunto star system non avrebbe soddisfatto la sua politica clientelare e pertanto si dispose a offrire la città a tecnici scelti secondo un doppio canale. Da un lato incaricare per progetti pubblici secondari, non tanto visibili, tecnici “compagni” (secondo il termine utilizzato nel vecchio Pci, cum panis) tanto mediocri da potersi loro sovrapporre con le proprie idee, ritenendo sé stesso ormai capace di progettare, e dall’altro, ricorrere nei casi più visibili a progettisti di cosiddetta fama, o di fame, ovvero dalle gonfiate parcelle molto oltre la misura regolamentata dalla legge pur decaduta, grazie a Bersani, ma rimasta quale indicativa per gli onorari, come è per quelle di Chiepperfield, Bofill, Calatrava, Bohigas, Hadid, i quali hanno confezionato per Salerno progetti superficiali e scadenti. Da un lato quindi progettisti di chiese di periferia, parcheggi interrati, edifici residenziali anche privati, imposti ai costruttori o scelti da questi in omaggio all’allora sindaco o a qualche burocrate di sua fiducia, tutti comunque scadenti e senza riferimenti urbani, dall’altro progetti-copia ripresi da quelli per altre città, come è per la Cittadella Giudiziaria, un ritaglio di quella di Barcellona, o per il cosiddetto Crescent di cui vi sono almeno 10 precedenti analoghi sparsi nel mondo, o per la stazione marittima ricavata da uno dei tanti scarabocchi della Hadid. Ma a De Luca, architetto in pectore, bastava il suo giudizio secondo cui, con il ricorso a progettisti incapaci, i suoi compagnucci, e tecnici impostori internazionali avrebbe migliorato la città. E invece pur volendo far passare la svendita ai privati dei suoli urbani di proprietà dei cittadini, come è stato per il suolo del Crescent, di quello dell’invasivo Grand Hotel Salerno e del terreno vicino, il colmo si raggiunge o rischia di raggiungersi nella vendita di edifici pubblici significativi, come è stato per la cinquecentesca torre Angellara e, come si sta ventilando, per alcuni palazzi già istituzionali cui l’amministrazione, da De Luca in poi, non sa offrire funzioni. È il caso del vecchio tribunale di proprietà comunale, che si espone a fare la stessa fine dell’edificio ex-postale venduto dallo Stato. O del Palazzo Genovese, con la sua bella scala alla Sanfelice, progettato nel Settecento da Mario Gioffredo, un architetto di sicuro valore secondo solo a Vanvitelli, che Carlo III di Borbone aveva chiamato prima di questi per il progetto della Reggia di Caserta. Dal momento da noi non vi è alcun Carlo III, il quale, per la sua cultura, sapeva scegliere i propri architetti e ingegneri, e che i tecnici operanti nella nostra città hanno finito con il rovinarla, non si può non dare a De Luca, che ha scelto in qualche maniera gli scadenti progettisti, la responsabilità della deformazione e del disfacimento di Salerno, tanto più che l’ex sindaco, oggi presidente regionale, sovente presente nei cantieri con suggerimenti ai direttori dei lavori, accampa competenze nel campo del progetto, secondo la nota sindrome di Dunning-Kuger, dal nome degli psicologi che l’hanno individuata, manifesta in alcuni soggetti caratterizzati da una distorsione cognitiva, secondo cui, pur essendo poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare in quel campo le proprie abilità.