Da A qualcuno piace caldo a Bibbidi-bobbidi… mah! - Le Cronache
Spettacolo e Cultura Musica

Da A qualcuno piace caldo a Bibbidi-bobbidi… mah!

Da A qualcuno piace caldo a Bibbidi-bobbidi… mah!

di Alfonso Mauro

Tre sbirri… una carrozza… presto! Un altro caso di bigotta e poliziesca censura nel baciapile Centro-sud preunitario (1817). Niente incantesimi e sovrannaturale: è irreligioso. Perdere scarpette e star scalze in scena: è sconveniente. Fate madrine? Meglio un filosofo timorato di Dio… e altre variazioni su tema censorio. Nonché un soggetto da realizzarsi e presentarsi in capo a pochi giorni nel Teatro pontificio — da raffazzonarsi, onde me’ dire; né tuttavia questa essente prima ragione, per d’infausta temperie che si trascinasse, della fondamentale infelicità dell’opera rossiniana in questione. S’abbia l’ardire a confessarcelo in prima battuta. “Autoimprestiti”, così cresimati dal politically correct della critica, ma vere e proprie carenze d’inventiva musicale troppo sbircianti nel mestiere del mestierante; intieri brani subappaltati a compositore-assistente minor minorissimo; e un libretto definir tale il quale è spettacolarmente mendace e lusinghiero eufemismo. Jacopo Ferretti antepose un’apologetica avvertenza al primo atto, onde chieder venia per il penoso lavoro spiaccicato “conosco la mediocrità dei miei versi”… Insomma una sabbia mobile in cui il Genio pesarese e il due-terzi-Carneade librettista hanno lor malgrado avuto la sfortuna di sprofondare la sognante leggerezza della fiaba. I sogni son desideri, ci chiosò Disney, citatissimo dal clavicembalo improvvisante sopra le righe, sotto le righe, oltre le righe; ma il sogno che abbiam covato alla Cenerentola al Massimo salernitano venerdì sera è quello che un curiosamente napoletanizzato (salernitanizzato?) Don Magnifico racconta nella scena seconda: un ciuccio che vola. Lo sfondo dello svolazzamento icariano è appunto una Salerno (Don Ramiro n’è principe) vagheggiata dai bozzetti di scena (Palazzo Ruggi d’Aragona e altro) ma solo in parte ritratta e conseguita — e con l’ausilio di proiezioni sbilenche su un fondo di scena altrimenti piuttosto convincente e necessarissimo al bel fingimento del teatro. Una fiaba — e ciò che di magia han sottratto compositore e librettista e censura papalina sarebbe stato compito di regia e scenografia (appunto!) restituire. Ma la malìa fiabesca è delicata, reminiscente, lascia il non-detto all’immaginazione dell’ascoltatore; quivi invece ha strillato anzitutto le dette proiezioni di stucchevoli, insensate, retoriche immaginette di scadente computer-grafica: asini aviari, api spiacevolmente pulsanti, cocchi a cavalli bolsi, silhouettes di Totò (sic!), e la scena madre-matrigna di spettacolare gratuità in cui τά τοῦ δράματος πρόσωπα sterzano da Rossini a Miseria e Nobiltà impiastricciandosi spaghetti… insomma una zucca scenografico-coreografica che abbiam due ore disperato si tramutasse per incantamento in elegante carrozza onde menarci al ballo. Se il fiabesco ha latitato, qualche malocchio acustico dalla buca orchestrale e dalle ugole-ugoline di Ramiro e Clorinda è sicuramente sdrucciolato — scongiurato, facendo corna!, dagli eccellenti Lepore e Iervolino. Ma il disperato scollinamento resta la cattiva economia scenica i cui momenti ripetitivi costringono le regie a inusitatezze costernanti pur di non far stare impalati i cantanti e spazientito il pubblico; godibile tutto sommato il gigioneggiar decurtisiano calzato dal coturno d’un sestetto imitante le marionettesche moine del succitato Totò, ma altrove relativamente poveri i momenti cui un po’ di dinamismo buffo avrebbe insistito l’azione scenica e concesso alleggerire le suddette ripetizioni rossiniane. Se non altro, il taglia e cuci dei recitativi ha concesso un sospirato egresso quasi mezz’ora prima del previsto. Tale per sua natura è lo spettacolo lirico, massime quello già marchiato di infauste contingenze, che lieve è a rompersene la magia — persino quella archetipa della fiaba; il tentativo di restituirla a una meridionalità nota (La Gatta Cenerentola) e alla salernitanità delle pie inattuate intenzioni scenografiche è solo in parte riuscito. E anziché acciambellarci il braccio a Basile, Perrault, i Grimm, e Disney, ci s’è dovuti riaccomodare accanto a Scarpia.