Don Raimo, l’odore delle pecore tra i numeri della ragioneria - Le Cronache Attualità
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Don Raimo, l’odore delle pecore tra i numeri della ragioneria

Don Raimo, l’odore delle pecore tra i numeri della ragioneria

di Nicola Russomando

La notizia della nomina di d. Alfonso Raimo, vicario generale, a vescovo ausiliare dell’arcivescovo Andrea Bellandi per la diocesi di Salerno-Campagna Acerno ha suscitato un indubbio clamore per la singolarità dell’evento. Infatti, la diocesi di Salerno, pur nella sua dimensione territoriale che non coincide affatto con l’estensione della vasta provincia, con la sua popolazione di circa 500.000 cattolici, distribuiti in 163 parrocchie, secondo i dati dell’Annuario pontificio, è tra quelle che normalmente non si avvalgono di uno o più vescovi ausiliari nell’esercizio ordinario del governo episcopale. Neppure il limitato sconfinamento della giurisdizione episcopale salernitana nella provincia di Avellino, coincidente con la forania di Solofra-Montoro, è tale da conferire alla diocesi una particolare fisionomia. Tuttavia, l’arcivescovo Bellandi, nella sua conferenza di presentazione della nomina di d. Raimo, ha fatto riferimento, a titolo di precedente, alla diocesi di Napoli, che, con l’arcivescovo Domenico Battaglia, si avvale di ben tre vescovi ausiliari. Un precedente poco calzante, se si considera che Napoli, la città per antonomasia del Mezzogiorno, con la sua diocesi conta una popolazione cattolica nell’ordine di oltre 1.600.000 battezzati, tre volte quelli di Salerno, su 288 parrocchie, tale da giustificare la presenza storica di vescovi ausiliari. A Salerno si ha memoria, invece, di un vescovo coadiutore con diritto di successione nella persona di Guerino Grimaldi, che affiancò l’indimenticabile arcivescovo Gaetano Pollio, gravemente ammalato, nel biennio 1982-84 prima dell’anticipata rinuncia di questi per ragioni di salute. In ogni caso, come ha sottolineato Bellandi, la nomina di uno o più vescovi ausiliari è suggerita, secondo il canone 403 del Codice di diritto canonico, dalle necessità pastorali e avanzata su esclusiva richiesta del vescovo diocesano. Dunque, in una tale richiesta si ritrovano tutte le motivazioni anche di ordine personale che hanno indotto l’arcivescovo Bellandi ad un atto così espressivo dell’azione di governo che intende imprimere alla sua diocesi. L’accento ricorrente nella presentazione alla dimensione missionaria del ministero di d. Raimo, peraltro confermata dalla sua azione sul terreno concreto con missioni in Africa oltre che dalla sua specifica formazione all’Urbaniana, l’università pontificia dedicata alle missioni, rappresenta una motivazione di carattere oggettivo che ben giustifica l’elevazione alla dignità episcopale di chi, per sua stessa ammissione, non ha mai concepito l’identità sacerdotale come avulsa dalla dimensione parrocchiale. E, nell’ultimo incarico come parroco di S. Bartolomeo in Eboli, lascia anche un segno tangibile, rivelatorio per tanti aspetti di una vera sensibilità sacerdotale, con il ripristino della centralità del tabernacolo sull’altare maggiore, decentrato dai novatori liturgici per far posto al seggio del celebrante. La nomina di un vescovo ausiliare per Salerno va in senso opposto anche a ciò che papa Francesco ha imposto per molte realtà diocesane italiane con l’unione “in persona episcopi” di più diocesi tra loro. Soprattutto in Campania dove, negli ultimi anni, si è assistito all’unione di Ischia con Pozzuoli, o, addirittura, del prestigioso arcivescovado di Capua con il vescovado di Caserta, con il precedente dell’incorporazione della diocesi di Alife-Caiazzo in Teano-Calvi che, a sua volta, ha acquisito Sessa Aurunca. Un’operazione di razionalizzazione delle giurisdizioni episcopali con la relativa riduzione del numero dei vescovi che però non tiene conto né di presupposti storici né di specificità territoriali, all’origine della ricchezza di tradizioni della cultura ecclesiastica italiana. Una circostanza questa che è stata al centro del confronto tra i vescovi campani e Francesco in occasione della loro recente visita “ad limina”, nella quale è stata sollevata la questione della paventata unione delle diocesi più interne, come quella di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia, semmai a diocesi di città capoluogo. Un progetto di questo tipo, assunto più con criteri ragionieristici che pastorali, contraddice anche l’assunto con cui Francesco inaugurava il suo pontificato sotto le insegne di “pastori con l’odore delle pecore”, condannando quei territori a marginalità anche spirituale e declassandoli a periferie con la perdita del loro vescovo. La concretezza di cui Francesco ha dato atto alle argomentazioni avanzate dall’episcopato campano può essere il segno di un salutare ripensamento di certe strategie studiate a tavolino, cosicché anche “la squisita e grande attenzione” dimostrata dal papa con la nomina di d. Alfonso Raimo a vescovo ausiliare di Salerno può essere letta nella più generale riconsiderazione di suggestioni puramente numeriche.

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