Un malavitoso “che aveva i suoi momenti di depressione”, un uomo “dalla doppia personalità, afflitto dai suoi fantasmi, uscito perdente dalla guerra contro i suoi avversari e contro lo Stato”: in poche parole “un gigante diventato nano, un ragazzo diventato criminale, e poi boss in carcere, per una condanna troppo dura”. A delineare la personalita’ del boss della Nuova Camorra Organizzata Raffaele Cutolo è una esperta giornalista della sua città, Ottaviano, che con il “professore”, per molti anni, ha tenuto in piedi un fitto scambio epistolare. Lei si chiama Gemma Tisci, una giornalista esperta che su “don Raffaele” ha scritto un libro intitolato “Ricordi in bianco e nero”, ricavato proprio da quelle lettere che Cutolo le mandava quando era già in cella. “L’ho intitolato cosi’ – dice Gemma – perche’ l’epoca in cui quei fatti sono accaduti, le fotografie erano in bianco e nero. Ed io l’ho sempre immaginato così, quell’uomo: sempre solo, con i suoi fantasmi attorno, e con queste lettere che per me erano fotogrammi della sua vita e delle sue verità”. Gemma è convinta che è stato il primo delitto di Cutolo, e la pena esemplare che gli venne comminata, “senza tenere conto che a subirla sarebbe stato un giovane di appena 22 anni incensurato” a creare “il mostro”, colui che poi, caso più unico che raro, “sarebbe diventato un boss feroce dotato di un’enorme caratura criminale, emerso tra le mura di una prigione”. “Dalle lettere che mi spediva – ricorda la giornalista e scrittrice – traspariva la sua depressione, il pentimento per avere rovinato la vita della moglie, la signora Jacone”. “Credo che se quel giudice avesse avuto un po’ di compassione nei confronti di quel ragazzo – dice convinta Gemma – condannandolo, certo, ma a una pena maggiormente adatta a un incensurato, probabilmente, oggi non staremmo qui a parlare del capoclan Raffaele Cutolo”. “Molti anni dopo – ricorda ancora Gemma – quel giudice, confidandosi con un avvocato, disse, affranto: “il mostro l’ho creato io”. Gemma ci tiene anche sottolineare che il delitto in questione, quello di Mario Viscito, avvenuto il 24 settembre 1963, lungo il corso di Ottaviano, scaturì da una rissa e non per vendicare l’onore della sorella Rossetta. Come anche altri prima di lei, anche Gemma, che ha respirato una guerra di camorra ferocissima e vissuto gli sviluppi processuali di molti di quegli omicidi, ritiene che i segreti del “professore”, “sono segreti di pulcinella”. “E se ce ne sono, – aggiunge – anche se ne dubito fortemente, finiranno nella tomba della sorella Rosetta, oltre che nella sua”. Gemma Tisci ricorda anche come è nato lo scambio epistolare con Raffaele Cutolo, durato molti anni: “Dovevo intervistare la moglie, Immacolata Jacone, e decisi di recarmi a casa sua, così senza alcun preavviso. Bussai alla sua porta, mi aprì donna Jacone. Le chiesi se potevo intervistarla e lei, in maniera estremamente gentile, mi risposte che per rispetto al marito dovevo prima chiedere il permesso a lui. Non mi persi d’animo: lo feci. Il giorno successivo gli mandai un telegramma. E lui, dopo 24 ore, mi rispose, con un altro telegramma, concedendomi l’intervista. E fu così, che tra noi, iniziò questa corrispondenza, a periodi altalenante. Lettere nelle quali – ricorda – mi confessò addirittura di essere stato il mandante di omicidio per il quale invece era stato assolto”. “Sia ben chiaro – sottolinea Gemma Tisci – era un uomo intelligente e quindi sapevo che si trattava della sua verità, ma molto di quello che mi diceva in quelle missive, dopo tempo trovavano conferma”.
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